Casa mia.

Sono andata alla ricerca di un po’ di storia. Ieri.
Non che io ne sia appassionata, ricordo che a scuola facevo una fatica allucinante a ricordare date, luoghi e nomi importanti. Mi facevo aiutare da mamma e zie, cercavo di trovare trucchi e connessioni per assimilare almeno le informazioni di base, quelle fondamentali. Ad oggi, credo di avere ancora lo stesso problema ma se mi trovo in una città e posso toccare con mano la storia…

…è tutta un’altra storia.
🙂

The Rocks è il quartiere più “antico” della città. Si trova all’ombra dell’ Harbour Bridge e assume caratteristiche totalmente diverse dal generale contesto di Sydney. Ero curiosa. Molto curiosa.

Ieri, dopo il lavoro, una passeggiata di venti minuti mi ha portato lì. C’era il sole e io avevo voglia di una piccola esplorazione prima del mio appuntamento con lo Yoga. Appuntamento fisso. Quello del mercoledì particolarmente, troppo brava l’insegnante. Mentre camminavo pensavo che il clima dovrebbe essere simile a quello della tua Primavera. Credo proprio che sia così. Forse qui fa un pelo più caldo.
Ancora vestita da lavoro, tutta di nero, mi sono appropinquata quindi alla scoperta di questo piccolo quartiere di cui ho sentito parlare. È il più “antico” di Sydney, strette vie ciottolate e edifici bassi lo caratterizzano. Una pace estrema tra quelle pietre e pochi turisti. Perlomeno pochi asiatici. Stranamente.
Forse è una parte della città che in foto non trasmette l’energia e la potenza di Sydney, non ci sono grandi costruzioni, ponti, grattacieli. Nulla di tutto questo.

Se vedi una foto di The Rocks, non crederesti mai che si trova a due passi dall’Opera House o dall’Harbour Bridge. Forse per questo, nessun “classico” turista è a conoscenza di quel posto senza tempo.

Mentre mi avvicinavo, il mio cuore ha iniziato a battere forte. Non so che mi è preso. La sorpresa, la curiosità, la novità. Mi sentivo turista, mi sentivo bambina nel grembo di una città che in fin dei conti mi sta coccolando. Sydney, mamma mia, quando ci penso mi vengono i brividi.
Per tutta la vita sarà parte di me e solo io saprò.
Ai primi ciottoli rossi del piccolo quartiere, mi sono emozionata. Mi sembrava di stare a casa, a Lecco o forse a Bellagio.
Non so spiegarti la sensazione di casa e di lago, ero sola ma non mi ci sentivo. Ero una viaggiatrice e captavo ogni particolare. Gli edifici sembravano antichi ma se li guardavi bene, erano nuovi. La via di piccole pietre incastrate, sembrava antica ma non lo era. Dico questo perché tutto è nato nel 1800.
Non volevo badare alla giovinezza di quel posto. Per una volta non ci volevo pensare. Catturavo immagini e silenzio, camminavo in salita e poi in discesa, scalinate tante e viuzze ad ogni angolo. Se alzavo lo sguardo, il possente Ponte era dietro a quelle case.
Invadente, vanitoso, troppo esuberante.
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Mi sentivo italiana e guardavo le vetrine. Pietre e minerali, gioielli artigianali e ristoranti particolari. Mi sentivo talmente italiana che quando ho girato l’angolo e mi sono trovata davanti quella piccola osteria apparecchiata con tovaglie a quadri rossi e bianchi, mi è venuta quasi la voglia di sedermi lì per un momento.

Si chiamava “Appetito”.

Ho fatto un altro giro e mi sono trovata sotto al ponte. Ho camminato ancora e sono tornata al punto di partenza. Una piazzetta tranquilla, un sole splendido.
Le persone che vivono lì, hanno scelto uno scenario diverso a due passi dal centro della città. Hanno scelto la piena Sydney ma lontana dal traffico.
Un buon compromesso.

A me,
nel frattempo,
manca casa mia.

Erica, anzi Atmosferica.

Che domenica Bestiale.

Sai che a volte mi piace sedermi per terra??
In casa lo faccio spesso, soprattutto quando i divani e le sedie sono pieni. Si vede tutto dal basso, dal suolo, dal contatto.
Osservo ciò che accade intorno a me come se fossi invisibile e la mia attenzione viene catturata da cose che quando sono in piedi non vedo.

Adesso sono seduta sul pavimento, abbiamo una moquette grigia in soggiorno. Una vera merda.
La moquette l’ho sempre odiata, sarà anche morbida ma trattiene troppa polvere, troppo sporco invisibile ma che poi finisce nel mio naso senza che me ne accorga. Tipo in questo momento, acari volanti stanno sicuramente sguazzando nei miei polmoni. Io che sono allergica alla polvere, io che dovrei evitare di sedermi così, con le gambe incrociate e la schiena appoggiata al muro.

Ma voglio farlo. Mi piace sentirmi invisibile.

Oggi il tempo era bello e ho visto un gabbiano spiccare il volo a pochissimi centimetri dal mio naso. Anzi, una gabbiana.
Caspita non sarà mica sempre lei!
Secondo me mi segue, sarà mica quella curiosona di mia mamma che vuole sempre sapere tutto e se potesse trasformarsi in una gabbiana, mi seguirebbe in ogni dove, anche solo per starmi vicino e trasmettermi il suo amore.


Mammina tranquilla che lo sento molto.

Prima di Yoga ti stavo pensando perché sentivo uno strano calore nell’interno coscia. Gamba sinistra. Ho giusto pensato che avrei voluto parlare con te ma ancora dormivi. Mattia, l’Ingegnere Calciatore, mi ha detto che dovrebbe essere solo una leggera infiammazione del muscolo. La maestra di Yoga ha detto la stessa cosa e mi ha suggerito di fare un adeguato stretching.
Ora sto bene, non lo sento più da qualche ora.
Dicevo… Avrei voluto chiamarti ma dormivi.
La gabbiana è intervenuta, mi ha dato le spalle per qualche secondo e poi si è girata. Mi ha guardato e poi ha spiccato il volo.

Mamma… Eri tu?
Avevo davvero bisogno di te. Di uno dei tuoi consigli. Mi mancavi.

Coogee oggi era spettacolare, il mare era mosso e ad un certo punto una bolla di sapone è volata sopra la mia testa. Una bimba stava soffiando sulla spiaggia, l’ho intravista poco dopo, guardando tra i rami di un albero che copriva la vista.
Il cielo era favoloso, aperto, azzurro, sereno. Qualche nuvola sì, ma bianca.

Come va la vostra domenica pomeriggio? Mammina?

Qui tutto regolare a parte qualche acciacco.

L’Ingegnere Calciatore oggi è stato male. Sono corsa in soccorso con una Pepsi Cola. Ne aveva bisogno per digerire, per buttare giù o per tirare su. Aveva una faccia da panico ma sono certa di averlo fatto ripigliare un po’.
Parlava strascicando frasi serie ma faceva ridere, mi sembrava il Papà quando sta male.
Non riuscivo a preoccuparmi! Sembrava la fine del mondo e non sapevo come fare. Mammina mi rendo conto che quando qualcuno sta male, parlo come te. Dico le stesse cose, nello stesso modo.

“Dai…mettiti dritto con la schiena, non stare storto che se no ti senti peggio.”

“Dai…fai qualche sorso di Pepsi e limone, vedrai che digerisci.”

“Dai…però più tardi mangia qualcosa eh, non puoi vivere d’aria.”

“Dai…magari adesso ti fai una bella dormita, vedrai che poi ti senti meglio!”

“Dai fai dei respiri profondi, non stare in apnea…”

Ahahaha! 🙂

No, vabbè, sono stata brava Mammi…Giuro che poi si sentiva meglio!

Ora sono a casa, mi rilasso e mi sento bene. Lo Yoga mi fa rifiorire e respirare! Oggi la maestra mi correggeva e mi sorrideva. Ormai sono una della classe, sono integrata. Sono contenta!

Quella vetrata che si apre sull’oceano poi è sempre un’emozione unica. Quando facciamo lo stretching finale, mi concentro sul rumore delle onde e respiro con loro. Una meraviglia Mammina Mia.

Continua a seguirmi, miraccomando.
Vola ancora da me!
Se hai voglia di venirmi a trovare, ti aspetto domattina sul balcone di casa.

Erica, il tuo Granellino.

Vorrei incontrarti tra tre anni.

Eccomi!
Scusami!
Il venerdì è sempre super busy, come direbbero qui.
Significa pieno, impegnato, affollato.
Busy può essere un locale, una persona, una giornata…ecco.

Sono un po’ influenzata e il freddo sta arrivando. Mi godo la pace uggiosa di un pomeriggio d’autunno. Un sabato da cinema, una maratona di film in compagnia, commedie e drammi, lacrime e risate.
Uno sfogo e una coccola.
La vetrata è già buia e riflette la nostra immagine come uno specchio.

Ieri sera sono andata ad un evento yogi con la mia collega di lavoro, Sarah. In occasione del Full Moon Party, una serata tutta bianca accoglieva un centinaio di persone piene di energia e connessione. Un’ esperienza particolare, musica dal vivo, un giovane ragazzo ha parlato a inizio serata, un’ introduzione unificatrice e decisamente mai sperimentata prima. Dopodiché balli liberi, espressione del corpo, colori sulle facce sorridenti e pura vida.
Zero alchool.
Solo musica ed energia.

Già dall’inizio, la serata si prospettava speciale. A Bondi Beach il cielo mi chiamava, colori rosati e gialli si mescolavano senza sosta, nuvole fitte ricoprivano la luna piena che già dalle 18, era sopra la mia testa. Un cielo strano che apriva una serata strana, voleva dirmi qualcosa? Mi sono lasciata accompagnare, ho catturato tutto, anche quella foto di una comune via che però mi sembrava speciale. Ho aspettato un momento in cui l’immagine fosse come volevo, ma nemmeno troppo perché il cielo sarebbe cambiato nel giro di pochi minuti. Secondi.

Ho incontrato Jennifer, una ragazza italiana. Piemontese. Non ho approfondito la conoscenza con molte persone, lei però mi parlava con gli occhi e ho deciso di ascoltarla. Ho deciso di parlare anche io. L’atmosfera era bianca in quella sala di luci colorate, però, lei già si distingueva. Era vestita di un colore prugna, marrone, scuro comunque.
Ci siamo incontrate all’ingresso e poi di nuovo dentro, dove per caso ci siamo trovate sedute vicine. In attesa dell’inizio, eravamo tutti accomodati sul pavimento, tutti molto vicini. Già si sentiva un’unione strana. Coinvolgente.
Lei vive a Sydney da qualche anno, tramite ogni tipo di visto e poi finalmente uno sponsorship, è riuscita a rimanere nella sua amata città, che tanto l’ha cambiata e fatta rinascere. È tornata in Italia poche volte, qui è sempre stata troppo bene e ha sempre cercato e creato ogni soluzione per prolungare la sua permanenza. Mi sono bastati pochi minuti per sentirmi del suo stesso colore, sulla sua stessa frequenza.

Con la sorella ha viaggiato per l’Australia a bordo di un Van, ha gli occhi azzurri e i capelli rossicci, scuri. Abbastanza lunghi. Era elegante e profonda, era timida ma estremamente aperta. Occhi accoglienti. Percepivo il suo vasto ed esplorato mondo interiore. Lei sapeva.

Qui fa la maestra di Yoga, con il suo sorriso mi raccontava di quanto è grata a questa disciplina che le ha cambiato la vita. A causa della sua timidezza, non avrebbe mai pensato di arrivare ad insegnarlo, ma con grande gioia, oggi può trasmettere alle persone tutto il benessere e la magia che lo Yoga le regala.

Le ho parlato della mia personale esperienza. Anche io mi sento grata a questa sorpresa che è venuta a bussare alla mia porta in un momento di piattezza emotiva. È entrata nella mia vita in un momento in cui potevo capirla, la aspettavo e mi ha portato aiuto e sostegno. Fisico ed emotivo. Lo Yoga mi apre e mi fa sentire leggera, la sensazione che sento nel cuore è appagante e il cambiamento nei miei occhi e nel mio fisico è già evidente. Lo vedo. Ora mi vedo.

Abbiamo parlato poi di dove viviamo, abita nella mia stessa via.

Quando le ho detto il mio numero civico, ha sgranato gli occhi.
Quando le ho detto il numero del mio appartamento, è rimasta ancor più basita.

Tre anni fa, abitava nella mia stessa casa.
Piano 22, appartamento 146A.
Dormiva nella mia stessa stanza e come ha ben detto, questa casa ha una vista spettacolare sulla baia. Non la dimenticherà mai.

È stato strano.
Ero incredula.
Mi sono quasi rivista in lei, come sei lei volesse farmi vedere un po’ di quel che sarò tra tre anni.
Come se io stessi vivendo la sua vita di tre anni fa e fossi arrivata a lei per ricordargliela, qualche scena, la sua vecchia casa.

Una sensazione assurda. Uno scambio di realtà.
Mi sono anche sempre chiesta come starei con i capelli rossicci, scuri e lunghi fin sotto le spalle.

Lei mi ha fatto vedere che starei molto bene.

Namastè Jennifer.

Erica, anzi Atmosferica.

Sogno un tempo senza tempo.

Sai, da qualche giorno faccio sogni strani. Brutti. Incubi.
Mi sveglio con il cuore in gola o ancora peggio, continuo a sognare nel dormiveglia, cerco di aprire gli occhi, ma la forza della mia mente è più forte. Il mio inconscio mi trattiene lì, a guardare ancora un po’ uno dei film più terribili.

Ovviamente sto provando a capire quale sia il motivo di tutto ciò anche perché, come sai, mi piace andare a fondo nelle cose.
Voglio capire.
La cosa certa è che prima di partire, non sognavo.
Non così tanto.
Ricordo bene che quando le persone mi dicevano…
“Uh, non sai che sogno ho fatto stanotte!!”
…io ascoltavo incuriosita, domandandomi perché io non sognavo o comunque, non ricordavo i viaggi della notte.
La mia.

In Australia, ho iniziato anche io a ricordare i miei voli notturni, le mie spedizioni spaziali. Sono molto felice di questo, mi sento più viva e qualche volta ho anche io racconti assurdi o incredibili da condividere.
Beh, il fatto di ricordarmi anche gli incubi, fa parte del gioco.
Sarebbe troppo bello correre per prati infiniti, far volare aquiloni, baciare l’uomo perfetto e vedere pesci colorati. Sarebbe troppo bello attraversare solo tutto questo, senza punte di tristezza, cattiveria, paura, rabbia e abissi.
No?

Beh. Gli incubi di questi giorni sono proprio assurdi.
Voglio parlartene perché magari potrebbe aiutarmi.
Ieri, stavo per addormentarmi quando ho iniziato a sentire il letto inclinarsi, come se la parte superiore del mio palazzo, stesse per staccarsi e crollare a terra. Come sai, abito al 22esimo piano e quindi sembrava troppo reale. Era possibile.
Ricordo esattamente che ho pensato: “Ecco, sto per morire”. Dopo quella sensazione, ho sentito il vuoto nelle orecchie e nella pancia, proprio come mi è successo di sentire sulle giostre più alte.
Quando per un attimo pensi di non respirare più.
Una paura fottuta. L’impotenza più assoluta.
Ecco mi sono sentita cadere, nel nulla.
Lì ho proprio parlato, ho detto: “Ciao Mamma, ciao Papà, vi voglio bene.”

Oh santo cielo!!

Mi sono alzata di colpo con il magone, il mio letto era fermo e il palazzo in cui vivo intatto. Fuori c’erano le stelle e un’atmosfera di pace che illuminava la baia di Darling Harbour. Ero ansiosa e preoccupata.

Ora, la solita domanda è:

Ma perché? 

I papabili motivi sono tanti. Cuscino sbagliato, materasso scomodo, particolari pensieri, preoccupazioni, alimentazione scorretta, stimolo della pipì, paure…
Mi sto analizzando per risalire alla sorgente e come sai, non mi fermerò fino a quando non avrò trovato una spiegazione.
La mente è talmente complessa che a volte è impossibile interpretarla e inseguirla.
È davvero una stronza.
Scusa eh…
Ma quando ci vuole, ci vuole!

Ho anche sognato per ben due volte di rincontrare casualmente due persone molto importanti. Le ho ritrovate vecchie, con le rughe, la barba bianca e gli occhi stanchi. Ma vecchie vecchie.
Ero incredula, mi strofinavo gli occhi e piangevo. Urlavo al cielo chiedendo spiegazioni e sostenevo di non essere stata lontana tutti quegli anni.
Non era possibile! Che rabbia!

E anche qui…
Ma perché?

Questo forse riesco a spiegarlo.
Ho spesso la brutta sensazione di avere poco tempo, so di essere lontana da persone per me di vitale importanza. Ho come la paura di perdermi troppo della loro vita, ho paura di trovarle evolute e cambiate.
Perché sì…
…non sarò solo io ad aver subìto una trasformazione.
Il tempo è per tutti trasformante.
Oppure vedrò in maniera diversa persone poco cambiate, accadrà ciò perché sarò io ad avere occhi nuovi.
Senza dubbio.

In più, come se tutto ciò non bastasse, mi frulla continuamente in testa un pensiero a cui non posso fare altro che rivolgermi come se fossi la sua mamma.
Eh sì, l’ho creato io.
Devo farlo crescere, devo educarlo.
Sto cercando di accudirlo ed è difficilissimo.
Aiuto!
Questo pensiero mi dice che devo impegnarmi a vivere ogni giorno con grande gratitudine, devo emozionarmi e rendere la mia vita speciale. Devo aiutare gli altri e fare dei piccoli doni anche attraverso un mio sorriso, uno sguardo. Non devo aspettare, non devo farmi aspettare, devo lavorare diligentemente e guardare sempre il cielo, anche quando piove.
Mi dice tutto ciò perché la vita è breve, è corta.
Questo pensiero mi assilla.

Sono ancora giovane e pensare oggi che la vita finirà, mi rattrista.
Mi destabilizza. Vorrei appunto educare questa mia creazione e vorrei farle capire che se la vita fosse infinita, non sarebbe uno stimolo, una ricerca della verità. Non sarebbe passione, non sarebbe maestra e non assumerebbe un grande valore. Non ci sarebbe condivisione, l’amore vero e tutte quelle emozioni che esistono solo perché c’è poco tempo.

Sarebbe una banalità scontata, un tempo senza tempo, una strada senza fine.

Invece no.
Voglio che la vita sia un successo, voglio lasciare una traccia e voglio che qualcuno un giorno abbia la fortuna di viverne una grazie a me. Voglio fare del bene perché qualcuno possa farlo a sua volta e voglio conoscere con curiosità perché sarà la stessa conoscenza ad essere tramandata.

Non voglio più pensare di avere poco tempo perché,
solo nell’atto di pensarlo,
perdo tempo.

Erica, anzi Atmosferica.

Il meglio di me.

Ecco che in un batter d’occhio, mi trovo a scrivervi dal Victoria, la Regione che ospita la città di Melbourne. In pochi giorni ci siamo lasciati alle spalle il Western Australia e il South, posizionandoci così ai posti di blocco per una nuova meta. La strada che ci separa dalla grande città si chiama Great Ocean Road e anche solo il nome può dirvi molto. È uno dei tratti più spettacolari dell’Australia a cui è difficile rinunciare scegliendo così di percorrerlo non badando a strade alternative, più brevi.

La connessione Wi-Fi in questo campeggio di Warrnambool è potente e stranamente di durata giornaliera. Posso così prendermi la calma di scrivervi e sbizzarrirmi più tardi sul web facendo un sano zapping tra siti di mio interesse.

Oggi me la godo.

Siamo partiti stamattina da Mount Gambier (Sembra anche a voi un nome francese?) dove abbiamo passato la notte e prima di riaccendere i motori, abbiamo visitato il Blue Lake. Un lago formatosi nella bocca di un vulcano che mette a tacere ogni possibile lamentela o borbottìo. Sulla ringhiera lucchetti colorati, di amici o innamorati, hanno attirato la mia attenzione diventando parte integrante del paesaggio, della visione.

Una giornata grigia e umida ci ha accompagnato fino a qui, per 187 chilometri verso sud-est.

Per combattere con il problemino di cui vi ho parlato ieri, mi sono piazzata alla guida, ricercando stimoli creativi nella concentrazione. Quando si viaggia, tutto passa veloce ma può succedere che pensieri birichini, vogliano essere ancora più veloci azzardando con un sorpasso sulla sinistra (Qui è vietato!!). Ti trovi così sorpreso e impotente davanti a un azzardo del genere, vai su tutte le furie ma devi placare l’istinto di accelerare per corrergli dietro.

È difficile ma devi, altrimenti finisci per farti male.

Nel tragitto abbiamo deviato per Portland, un paesino sulla punta di una piccola penisola, attraversando valli verdi coperte dalla nebbia. Eh sì, una fitta nebbia. Il paesaggio era collinare e la strada seguiva le sue curve, mucche nere nere pascolavano nutrendosi di sana erba e pecore grigie grigie si intonavano con il cielo. Non avrei mai pensato di imbattermi in banchi di nebbia del genere ma appunto per questo, è stato suggestivo. Sorprendente.

Sulla punta di Portland, ho visto l’orizzonte dell’oceano annebbiato e ho iniziato a “canticchiare” inconsciamente quella poesia di Carducci che la Maestra Enza mi aveva fatto imparare a memoria alla scuola elementare.

“La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar.”

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La prima strofa faceva così e continuavo a ripetere quella perché parlare de  “l’aspro odor dei vini” o dello spiedo che gira sui ceppi accesi scoppiettando, mi sembrava del tutto fuori luogo.

🙂

La Maestra Enza.

Che ricordi che ho rispolverato…

Mi voleva bene ed ero la sua seconda preferita dopo la Bonfanti, la sua cocca nonché mia migliore amica. Ricordo che quando aveva bisogno di un quaderno di italiano per ricordare a che punto si fosse fermata con la spiegazione la lezione precedente, chiedeva sempre il suo. Il mio lo chiedeva solo quando la Bonfanti era assente.

Iniziai così a scrivere come lei e a comportarmi come lei perché sotto sotto, avrei voluto essere io la cocca della Maestra Enza. Ricordo che era una signora di mezza età e portava occhiali da vista con lenti spesse spesse. Sulle sue labbra non mancava mai un filo di rossetto e sulle sue unghie uno smalto rosato. Quando si arrabbiava faceva abbastanza paura e quando si lasciava andare a momenti di dolcezza, mangiava il suo Pocket Coffee che custodiva golosamente nel taschino.

Al momento di imparare le poesie a memoria diventavo matta. Mia mamma mi aiutava e ricordo che ripetevo la stessa manfrina più e più volte, commettendo più e più volte gli stessi dannati errori.

Invece che dire…

“Va l’aspro odor dei vini..”

dicevo…

“Va l’aspro odore del vino…”

Banale errore che toglieva poesia alla poesia. Non riuscivo ad immedesimarmi nello scrittore, nella sua mente, nelle immagini da lui descritte. Studiavo come fossi una macchinetta, senza capire il significato di quei versi in rima che mi facevano impazzire per lunghe ore. Al momento dell’interrogazione, mi batteva il cuore, mi sudavano le mani e ripetevo meccanicamente quel che avevo ripassato fino alla noia, la sera precedente.

Volevo essere perfetta, almeno come la Bonfanti. Volevo prendere un bel voto e tornare a casa soddisfatta dalla mamma. Ogni volta però, qualcosa mi bloccava e non riuscivo mai a dare il meglio di me.

Vorrei incontrare la Maestra Enza, vorrei farle leggere una poesia scritta da me. Magari quella che ho scritto quando “Il deserto, mi ha parlato.” oppure quella che ho scritto su “Una panchina blu e bianca…” in quel poetico 4 Dicembre. Vorrei recitargliela e prendere finalmente un voto, il mio voto.

Il meglio di me.

Erica, anzi Atmosferica.

La pazienza è una virtù.

Buongiorno amici curiosi!

Oggi vi scrivo dalla poltrona malmessa dell’area relax di Avonova. Un problema alla grande macchina dei rulli, ha deciso per noi una pausa più lunga del solito. Stiamo attendendo un controllo da parte di un tecnico e conoscendo le tempistiche australiane, non so quanto ci metterà ad arrivare. Magari subito, magari MAI!

Il cielo è bellissimo e la temperatura deliziosa. Il venticello gioca delicatamente con i miei capelli regalandomi una sana sensazione di pace. Non mi sono ancora tolta la felpa che la mattina alle sei è strettamente necessaria! Sono seduta fuori nel portichetto che si affaccia su una piccola coltivazione di piante di Avocados e, a separarmi da questa, una stradina sterrata di ghiaia rossa.

Vi state chiedendo come sia fatta una pianta di Avocados?

Tronco basso e tozzo, foglie verdi a forma di spicchio allungato. L’altezza non supera i tre metri ma non ho idea se questa coltivazione sia al massimo della sua fioritura. La stagione è ormai finita e gli alberi, di conseguenza, non sono più ricchi di frutti e forza.

Stamattina infatti, sono più gli Avocados da scartare che quelli da tenere. Tanti presentano una superficie “soft” come ci ha segnalato la nostra supervisor Jenny. Le macchie rosse, gialle e arancioni causate dal sole, rendono il frutto non commerciabile ed è bene ruotare  ognuno di 360 gradi prima di posizionarlo nella scatola. L’azienda potrebbe perdere la licenza a causa di troppe nostre disattenzioni.

Che responsabilità!

Non vi ho mai parlato di Jenny!

Ha sempre un’espressione sorridente ma non riesco mai a capire quando davvero stia esclamando simpatiche raccomandazioni o se invece ci stia ammonendo severamente chiedendoci la massima attenzione. Come ho detto ai miei colleghi, sembra un po’ la Professoressa cattiva del film “Matilda sei mitica”. Quante volte l’ho visto quando ero più piccola! Me la ricorda molto. Quando si sta per avvicinare, prima di scorgerla tra le innumerevoli scatole impilate, senti l’odore di fragola emanato da quella gigante Bigbabol che mastica costantemente, ad ogni ora del giorno.

Quando lei parla, mi capita di non capire una singola parola. I miei occhi li immagino grandi grandi, bianchi, con all’interno due rossi punti di domanda!

🙂

Stile cartone animato.

Gli australiani, hanno il brutto vizio di formare frasi complesse per esprimere semplici concetti. Riescono a mandarti in tilt anche se devono darti una semplice indicazione. La mia logica mi porta ad estrapolare parole chiave, permettendomi di capire il concetto di fondo.

È la classica persona che potrebbe iniziare con il parlare tranquillamente, per poi scattare all’improvviso con un urlo dall’occhio sbarrato.

Per fortuna con noi non si è mai arrabbiata data la nostra estrema diligenza, attenzione e puntualità.

Doveva essere l’ultimo giorno di lavoro ma credo che domani dovremo tornare e imballare gli ultimi frutti che oggi sono fermi in stand-by. Io e Mattia avevamo programmato la nostra partenza e una bella cena di ARRIVEDERCI con i nostri amici del campeggio a base di riso e crema di Avocados. Sembra, però, che Pemberton non voglia lasciarci andare, ci sta trattenendo, ci vuole ancora per un po’.

Accogliamo la richiesta e portiamo pazienza, la virtù dei forti.

Ciao Amici! A domani!

Erica, anzi Atmosferica.


In foto vedete la Nursery di Avonova. La serra dove sono disposte e coccolate le piccole piantine appena nate, situata dietro al capannone in cui lavoriamo. Quando vi ho raccontato che abbiamo fatto Planting, beh… Abbiamo dato vita proprio a loro!

Ridere per non piangere.

La giornata lavorativa di ieri, è stata straordinaria, nel senso di NON ORDINARIA. Ci siamo presentati puntuali come sempre alle 6.45 della mattina e le nostre colleghe asiatiche erano come al solito sedute al tavolo della piccola saletta relax, consumando la loro colazione.

RISO E POLLO.

I rulli avrebbero iniziato a girare alle ore 7 e i pochi minuti prima della partenza, sono sempre pieni di tensione come se si dovesse fare una gara tutti insieme. Le ho viste mangiare di fretta, trangugiare latte alle mandorle scambiando velocissime parole incomprensibili.

Abbiamo iniziato a scartabellare Avocados di ogni misura e forma, cercando motivazione e ritmo nella musica di Pan, dolce ragazza proveniente dal Taiwan.

Come sempre zero telefoni nelle tasche, nemmeno l’ombra di orologi ai polsi. Avocados dopo Avocados, passano i minuti, le ore. Molti momenti di cedimento, bloccati dall’introduzione di pensieri positivi e nuovi, mi facevano perdere il ritmo accumulando frutti verdi che scorrevano sul tappeto rotante come un fiume incazzato.

Bene, arriva la pausa delle 9.30 e quindici minuti di aria fresca e respiri profondi sono pronti per essere gustati a pieni polmoni. Era la prima pausa delle due in programma perché sarebbe stata una giornata “corta”. Gli Avocados da inscatolare non erano moltissimi e la previsione a inizio mattinata era quella di lavorare sei ore, massimo sette.

Si avvicina Ed (pronunciato E D), Mattia mi guarda stranito perché non capita spesso che una di loro si appropinqui verso di noi per cercare dialogo.

“Avreste voglia di fermarvi a lavorare quando avremo finito?”

Guardo Mattia.

Guardo Ed.

Mattia mi guarda.

GHIACCIO

I nostri pensieri esclamano all’unisono:

“Ma scusa… Ma non stiamo già lavorando? Stiamo per caso giocando?”

Io la guardo, le sorrido, penso all’ulteriore guadagno che avremmo intascato e con tutta la forza in corpo, esclamo:

“Ok!”

Sorriso

Sorriso

Guardo Mattia e potevo parlare in italiano, senza paura:

“Io non voglio lavorare 10 ore! Voglio andare a casa, voglio andare a casa!!”

AHAHAH

🙂

Con una risata divertita abbiamo sdrammatizzato quella che per noi era davvero una brutta novità. Faceva già caldo ma non importava, il valore del soldo ci ingolosiva.

Il LAVORO sarebbe stato quello del Planting.

Prendi vaso – metti terra – metti fertilizzante – metti terra – metti seme – metti terra.

Seduti su quell’asse di legno che faceva da base ad un bancale, io e Mattia ridevamo per ogni stupidata come quando succede nei momenti di sconforto. La schiena urlava, il sedere piangeva, la terra sotto le unghie, il sudore in fronte e sotto le ascelle, volevamo svenire e svegliarci in un letto, tutto era amplificato, assurdo e inconcepito.

Tre ore a creare piante di avocado, tre ore di LAVORO, unite però alle altre sette facevano DIECI.

A Tommaso spettava un compito più tranquillo, annaffiare piccoli sacchetti di terra (Soil), in modo da farla letteralmente lievitare. Anche quello si è comunque rivelato un ruolo stancante, dovevate sentire le lamentele che sgorgavano dalle nostre bocche spassose.

La nota divertente è che ED, ci ha concesso l’onore di salire a bordo del suo rosso quod 4×4. È sportiva lei, molto mascolina e non molla un colpo. Sempre elettrizzata, mai rallentata o apparentemente calma. Mai. Governava il mezzo con sicurezza e non ho potuto non scattare un mitico selfie alle nostre facce esaltate.

Anche la seconda settimana di lavoro è conclusa! Il tempo fortunatamente sta scorrendo veloce e il bonifico è stato anche questa volta puntuale.

Da Avonova è tutto, a voi la linea…

Erica, anzi Atmosferica.

“Quel giorno, io c’ero!”

Ecco davanti a me l’ennesimo foglio bianco. Dico ENNESIMO perché ormai siamo arrivati al punto di NON poter contare un numero sostanzioso di pensieri scritti, poesie, parole ricercate e fantasie volate.

Inaspettatamente.

Nel momento in cui ho deciso di prendere nota di ogni mia giornata di questo splendido viaggio, non avrei mai pensato di scoprirmi così, come un pozzo senza fondo.

Tanti di voi mi scrivono per chiedermi un consiglio o farmi i complimenti dicendomi di sentirsi vicini a me. È davvero emozionante e sorprendente il fatto di potervi essere di aiuto o di compagnia, mi fate sentire piena ed è anche grazie a voi che la mia testa non smette mai di frullare, il mio cuore di assorbire e le mie mani di scrivere.

Sono convinta che vorreste qualche aggiornamento sostanzioso sulle mie giornate che sto trascorrendo a Pemberton e maggiori descrizioni della mia, anzi, nostra giornata lavorativa.

Siamo provati soprattutto fisicamente da queste ultime sessioni di nove ore che ci vedono impegnati ad inscatolare Avocados. Il nostro compito è tutto il giorno molto meccanico e monotono, intervallato da brevi pause.

La pausa scatta quando i rulli si fermano, la pausa finisce quando, dalla stanza in cui facciamo break, sentiamo la grande macchina riaccendersi.

Non servono orologi e vi dirò di più, noi non vogliamo MAI guardare l’ora. Dal primo giorno abbiamo preso questa decisione e dato che i telefoni non danno segnale, questo è un ottimo motivo per lasciarli lontani.

Ogni volta che ci mettiamo in posizione, lo scorrere degli Avocados tra le nostre mani è accompagnato dal fluire dei nostri pensieri. Poche volte ci perdiamo in chiacchiere visto che una piccola distrazione, può causare un sovraffollamento di frutta sul rullo, tale da creare un possibile danno.


Prendi Avocados.

Guarda Avocados.

Bello?

Scatola “PREMIUM”

Brutto?

Scatola “SECOND”


Questo è il ragionamento da fare per ognuno. Non è difficile. È noioso e lobotomizzante.

Quello che stiamo cercando di fare è renderlo il più piacevole possibile. Anche le canzoni ormai, sono diventate sempre le stesse e quando ne parte una già sentita altre dieci volte nelle sette ore precedenti, parte la risata.

“Bella questa! Non la sentivo da un pezzo!”

Oltre alla parte fisica c’è anche quella psicologica. Il gioco sta tutto nel cercare di direzionare i pensieri nel giusto senso e, quando sono belli, farli durare il più possibile.

A quante cose ho pensato! Partendo magari da un piccolo aneddoto, ho creato una grande storia. Ho pensato profondamente alle mie amiche, dando ad ognuna il giusto tempo che merita. Penso al mio futuro, a quello che vorrei fare ma vi confesso che quel pensiero lo vado immediatamente ad inscatolare.

Sì, senza osservarlo troppo, lo piazzo nella PREMIUM.

Cerco di trasformare la lobotomia in introspezione, la monotonia in immaginazione e la musica la seguo, vado a ritmo, la fermo e provo ad imparare parole.

Stiamo lavorando molto prima dell’arrivo del caldo. Nei prossimi giorni dicono che le temperature si alzeranno notevolmente infatti domenica e lunedì saremo di riposo.

Per quanto riguarda le questioni finanziarie, abbiamo ricevuto i soldini meritati per le 44 ore di lavoro della settimana scorsa. Siamo soddisfatti e ci siamo dati una bella pacca sulla spalla come incoraggiamento.

Qui sta balenando l’intenzione di andare un paio di giorni a Perth. Due ragazzi del gruppo festeggiano il compleanno e si sta organizzando una trasferta generale. Potrei cogliere l’occasione per rivedere delle persone e perché no, per la terza volta la città. Con una nuova compagnia, magari mi sembrerà diversa. Direi che potrebbe essere una giusta filosofia.

Non nego seconde possibilità nemmeno alle città.

Sono felice, sono energica, stiamo lavorando, stiamo guadagnando e nonostante la stanchezza, ci stiamo divertendo.

La manager oggi ci ha detto che probabilmente la raccolta di Avocados si prolungherà fino a metà febbraio e, di conseguenza, anche l’imballaggio. Noi rimarremo qui fino a quando l’ultimo frutto non verrà riposto ordinatamente in scatola.

Lo vogliamo vedere con i nostri occhi, lo vogliamo posizionare con le nostre mani perché poi un giorno, ripensandoci, diremo:

“QUEL GIORNO, IO C’ERO!”

Erica, anzi Atmosferica.

Due scarpe appese.

Incuriosita e sorpresa, ho digitato su google queste parole:

“Scarpe appese fili corrente”

Ho scoperto che dietro a questo fenomeno, si nasconde un’arte, una storia, un racconto.

Lo “shoefiti”, racchiude in sè l’unione di due parole ovvero “shoe” (scarpa) e “fiti” (graffiti). Come potete apprendere, l’etimologia della parola spiega già molto. L’iniziativa ribelle di lanciare le scarpe legate da un laccio verso il cielo, nasce per la prima volta negli Stati Uniti e si diffonde poi in tutto il mondo.

Anche qui, a Pemberton, nel Western Australia, un signore che portava ai piedi scarponcini marroni da lavoro, ha deciso un giorno di liberarsene. Magari l’ha fatto per festeggiare un evento particolare, un nuovo lavoro o il matrimonio, magari per rendere nota a tutti una sua cattiva intenzione.

Dietro a due scarpe appese ai fili dell’alta tensione, si celano decine di leggende metropolitane che parlano di fatti positivi come avvenimenti importanti e nuove scoperte, come di spiegazioni raccapriccianti legate alla droga o a segnali in codice per ladri e malviventi.

Come sempre però, voglio viaggiare liberamente dando, a quel che ho visto e che noto ogni giorno camminando sulla strada, una motivazione tutta mia. Non mi interessano le teorie inventate nel corso degli anni perché tali rimarranno senza mai permettermi di sapere se quella vera è una, qualcuna o nessuna.

Era un uomo, sulla cinquantina.
Aveva lottato tutto il giorno contro il caldo infernale e contro quel sole che batteva sulle sue spalle, in quel campo immenso pieno di mucche rinchiuse a pascolare.
Sentiva i piedi caldi e costretti, chiusi e sudati. Avrebbe voluto toglierle quelle scarpe, avrebbe voluto sentire l’erba solleticare.

Quella sera, una strada in salita lo portava a casa e sentiva la sua vita scorrere sotto quel tocco rigido di passi veloci e stanchi.
L’asfalto emanava il caldo assorbito in una giornata e lui ancora pensava, pensava ma non agiva.

Visti i cavi dell’alta corrente, ha deciso bene di agire. Un filo alto nel cielo, avrebbe potuto liberarlo per sempre da quella sensazione di costrizione. Ha levato le scarpe dai piedi, con un laccio ha fatto due nodi. Le ha lanciate, urlando di gioia e finalmente si è sentito potente, quasi un mago, sorprendente.

Ha scelto il punto più alto e visibile a tutti. Un equilibrio impossibile ma realizzabile. Tutti quelli del Paese le avrebbero viste e avrebbero pensato…

“Pensa te, quel pazzo trasandato..”

Voleva farsi vedere tenendosi nascosto, liberarsi in alto e non buttarle in fondo ad un fosso.

Sono rimaste lì per anni, e resteranno lì per altrettanti. Ogni giorno, quell’uomo sulla cinquantina va a lavorare nei campi ricordandosi sempre di quei pensieri emozionanti. La libertà prima di tutto, poi il lavoro. Il solletico dell’erbetta fresca sotto ia piedi e il calore dell’asfalto sono ogni giorno per lui i due rimedi, dei magici antidoti o come dire, i suoi amici veri.

Io quell’uomo l’ho forse visto, e forse l’ho pure conosciuto. Chi lo può sapere. Ogni giorno è buono per poterlo incontrare.

Non avrei molte cose da dirgli se non…

“Complimenti Professore, da quelle scarpe appese, apprendo che avrebbe molto da insegnare!”

Erica, anzi Atmosferica.

Vivere la vita.

La passeggiata con Matteo mi ha cambiato la giornata. Mi ha invitata alla scoperta di un piccolo lago che si nasconde dietro a una collina boscosa alle porte del nostro campeggio. Mi aveva già parlato di quell’angolo di pace dove cercare un po’ di tranquillità e liberare i pensieri.

Una camminata tra arbusti secchi ed erbacce pungenti, ci ha portati in pochi minuti alla meta nascosta. Mi ha raccontato di lui e della sua singolare ed incredibile storia, ho ascoltato i suoi pensieri e gli ho parlato un po’ di me, in maniera naturale, come veniva.

Mi sono confidata ed è stato anche terapeutico, mi sono aperta come quel cielo che si rifletteva nell’acqua scura. Non si vedeva il fondo ma i tronchi degli alberi, creavano un’illusione ottica come se fosse assai profondo. Finalmente è tornato il sole e ci siamo goduti per bene il suo calore e la sua luce. Ci siamo specchiati nell’acqua pulita ma nera. Ci siamo visti entrambi diversi, cambiati.

Matteo mi ha fatto ascoltare una canzone.

Non voglio scrivervi delle emozioni che ho provato nel sentire quel bambino che esprimeva concetti così forti e concreti. Vi chiedo semplicemente di chiudere gli occhi e di lasciarvi cullare, accompagnare.

Vi confido che il mio cuore batteva forte, ero viva e stavo vivendo.

Posso dirvi, inoltre, che la melodia e il testo racchiudono i discorsi di un pomeriggio. Uno splendido pomeriggio.

Racchiudono il senso della vita.

Racchiudono quel che per Matteo è felicità ovvero, la condivisione di amore.

Puoi cambiare camicia se ne hai voglia

E se hai fiducia puoi cambiare scarpe…

Se hai scarpe nuove puoi cambiare strada

E cambiando strada puoi cambiare idee

E con le idee puoi cambiare il mondo…

Ma il mondo non cambia spesso

Allora la tua vera Rivoluzione sarà cambiare tè stesso.

Vivere la vita – Mannarino

Queste sono solo alcune parole, poche di tutte quelle che ora stanno nuotando verso il basso, alla ricerca di un fondale nascosto.

Erica, anzi Atmosferica.