Sono tornata.
Anzi, parto ora.
Dopo dieci giorni di silenzio torno ad avere un contatto con la vita diverso.
Dieci giorni di meditazione continua in un monastero chiuso in un’atmosfera indescrivibile, dieci giorni nella giungla thailandese che con i suoi animali mi ha fatta tornare all’essenza e alla povertà che ancora non conoscevo.
Il contatto con il vero, la percezione della realtà e del momento presente.
È stato difficile dormire su un letto duro come pietra, rinchiusa in una bianca zanzariera che mi proteggeva da ragni, serpenti, scorpioni e zanzare. No, non mi faceva sentire imprigionata, mi regalava solo protezione in un mondo tanto sconosciuto e pieno di sorprese come quello della giungla. Un viscido geco lungo mezzo metro puntualmente veniva a farmi visita nei momenti di relax, mi rendeva nervosa e con quella consistenza gelatinosa mi impressionava.
Però c’è da dire che da quella collina vedevo il mare limpido come non l’avevo mai visto prima. Questo lo devo confessare. Mi sedevo su quei gradini blu del tempio e osservavo tutto il paesaggio. Ai piedi del piccolo monte si stendeva una distesa di palme e verde. Un colore pazzesco che nelle giornate di sole mi sembrava brillante. A volte davo uno sguardo anche dentro, nel tempio, dove un Buddha dorato stava disteso su un fianco. Mi chiedevo chi fosse, cosa fosse, guardavo colori, cercavo di capire e puntualmente accendevo un incenso profumato.
Era un segno di rispetto, per me era un messaggio.
“Non ti conosco ma ti rispetto.”
Oggi dopo dieci giorni di silenzio senza un orologio e un telefono, senza distrazioni o giornali, senza televisione o uno sguardo amico, senza musica e senza un messaggio dalla mamma, sento forte in me la vera essenza della vita. Ero guidata da una campana che suonava puntuale alle 4 del mattino buttandomi giù dal “letto” quando nella foresta regnava ancora il buio pesto, ero trascinata dai miei pensieri, dal terriccio del bosco e dal nulla più assoluto. Un’esperienza trasformante che forse rimarrà la più importante scoperta della mia vita per un lunghissimo tempo.
Anzi per sempre credo.
Una scoperta, una rivelazione, una confidenza e una confessione.
Ho capito e pensato, ho pianto e meditato in un monastero per undici ore al giorno, ho davvero capito chi sono e chi sono sempre stata senza saperlo davvero.
Sono libertà, pura libertà.
Non ho fatto un intenso percorso meditativo ma ho fatto una lunga pulizia nella mia mente, ho esplorato tutte le stanze e ripulito tutti gli angoli più nascosti. Avevo paura che un lungo silenzio avrebbe potuto riportare alla memoria traumi rimossi, cancellati.
Sai, quando si sta soli con la propria coscienza per giornate interminabili, ci si mette alla prova.
Brutte esperienze potrebbero bussare alla porta, sensi di colpa potrebbero ritirarti giù e dimostrarti che hanno ancora la forza di condizionarti e di mettere a rischio un lavoro lungo mesi, un impegno costato fatica.
Io sono stata felice di scoprire che il viaggio che mi guida da Novembre, mi ha portata in posti reali davvero esistenti.
Mi ha regalato verità.
Non avevo nessuna illusione di stare bene, ora so di stare bene davvero.
Sono pulita.
Questa è stata la conferma.
Immagino tu voglia sapere le dinamiche di una giornata tipo oppure che diamine significhi meditare, che cavolo si possa nascondere in questo mondo pieno di mistero.
In poche parole devi immaginare una giornata lunga e silenziosa, il rumore dei grilli di sottofondo e il tempo segnato dal rumore di una campana che rimbombava su tutta la collina.
Quello era il segnale, l’orologio e il richiamo.
La meditazione, invece, si basa sul presente e sulla concentrazione, sul respiro e sull’azione che il corpo sta svolgendo.
Qui ed ora.
Quante volte chiudi gli occhi e scappi in posti lontani, passati, futuri o addirittura immaginari?
Quante volte ti crei aspettative senza nemmeno valutarne l’impossibile realizzazione?
Quante volte scappi da un pensiero scomodo per paura di affrontarlo?
La meditazione vuole liberare l’anima da questa prigione.
Vuole creare distacco tra passato e futuro permettendoti di non identificarti in ciò che oggi non ti rappresenta.
E che forse non ti rappresenterà mai.
Un grande maestro e monaco australiano, Anthony, ha guidato me e i miei quasi sessanta compagni di viaggio e silenzio, verso una luce per ognuno diversa ma sicuramente illuminante. Ha raccontato storie e riflettuto su temi di vita o illusione di vita.
È davvero una persona pazzesca, ricca di dottrina e sapienza, ricca di senso.
A volte mi estraniavo da tutto e osservavo la situazione dall’esterno. Come se fossi una spettatrice, come se non fossi la diretta protagonista di un silenzioso film. Vedevo i cambiamenti nel volto delle persone, ero impressionata da come contatti visivi fossero più espliciti di parole. Vedevo chi praticava meditazione con costanza e determinazione e chi, come me, apriva gli occhi in cerca di altro.
Dal quinto giorno è iniziata per me una sofferenza che chiedeva il suono della mia voce ma soprattutto della mia risata. Avevo inoltre bisogno di scrivere ed esprimere la mia dimensione in una parola, in un piccolo disegno astratto.
La mancanza della mia risata mi ha fatto piangere, e la mancanza della scrittura mi ha fatto scrivere il mio nome con un ramo nel terriccio del bosco.
Mi rivedevo tra quelle foglie. Ero io. Ero natura.
Quando anche questo non bastava ho chiesto aiuto, ho domandato di poter avere una penna e ti giuro che appena l’ho avuta, mi sono sentita libera, finalmente ricca!
Avevo come un pezzo d’oro tra le mani.
Un oggetto dal valore inestimabile.
Ho iniziato a scarabocchiare le fotocopie del mio visto australiano che casualmente avevo nello zaino, ho iniziato a disegnare greche e a scrivere nomi. Dedicavo ore ad un disegno astratto di inchiostro blu ma non ho scritto, questo ho cercato di non farlo.
La frase che più mi piaceva scrivere era “Let’s laugh forever!”, pensavo di voler ridere per sempre allo scadere del silenzio, al suono dell’ultima campana.
È pazzesco, non credi?
Non pensavo fosse così fondamentale per me.
La mia risata.
Se mi conosci la potresti sentire ora.
Sto ridendo per te, e per me.
Non ti nascondo che ho anche pensato di andarmene.
Il giorno sei.
Non meritavo quel dolore e quell’implosione, non potevo accettare di dover ridere in silenzio.
Nella mente.
Ho pianto e ho parlato con uno dei volontari, ho chiesto aiuto e ho ricevuto un grande sostegno emotivo da Giulia, una magica ragazza incontrata lì.
Con i suoi occhi neri ed espressivi, mi capiva e silenziosamente mi parlava.
Sono così riuscita a farmi forza, era per me importante portare a termine un percorso. Sapevo da sempre che sarebbero stati otto giorni di silenzio, non volevo scappare al sesto.
Ho cercato in me la determinazione e la voglia di toccare il traguardo.
Le ultime 24 ore sono state infinite e piene di adrenalina, non vedevo l’ora di poter tornare a respirare. A ridere. Dovevo farmi una di quelle risate lunghe una vita, da crampi allo stomaco e lacrime di gioia.
Per fortuna ho incontrato la simpatia di Giulia che con il suo accento sardo mi regala esilaranti momenti di pura vita.
Quanto rido!
L’ho incontrata il primo giorno e dopo una breve conoscenza di poche ore, è iniziato il silenzio. Ci siamo sempre supportate, capite, e ringrazio la vita di averla fatta passare dalla mia strada, di avermi portato sulla sua.
Nel suo viaggio attraverso gli stati del sud-est asiatico non aveva in programma l’isola di Koh Phangan ma, il destino l’ha portata qui.
Forse l’ho chiamata io.
Ora, prima che riparta la vorrei tenere con me qualche giorno per conoscere altro oltre a quello che ho capito dai suoi occhi, durante questi giorni vuoti di parole ma pieni di tutto.
La tengo con me per condividere momenti di pura gioia.
Perché voglio ridere, ridere per sempre.
Erica, anzi Atmosferica.