Non era mica finita…

Essì cari amici miei, la Great Ocean Road non era mica finita…

Abbiamo campeggiato ad Apollo Bay per la notte. Pioggia torrenziale e mare impetuoso sono stati i protagonisti in questa sosta e vi giuro che non è semplice vivere in un Van, quando appena apri la porta, qualsiasi cosa che sta sul ciglio si bagna inevitabilmente, si è costretti a dormire chiusi dentro senza nemmeno lasciare che uno spiffero faccia circolare un po’ d’aria e tutto diventa più stretto e scomodo.

Quando piove è davvero difficile.

Stamattina abbiamo quindi proseguito la gita, percorrendo la restante parte di strada che ci mancava per ultimare lo scenico tragitto. Le sorprese a quanto pare non erano finite! Da Apollo Bay la strada costeggia il mare offrendo un panorama del tutto diverso da quello visto ieri. Oggi l’oceano era costantemente alla nostra destra, a pochi metri da noi.

Scusate ma lo devo dire…

Era davvero infinito!!

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Ad ogni tornante, l’orizzonte si faceva sempre più ampio e mi sembrava quasi di percepire la sfericità della Terra. Difficile spiegarlo a parole ma se mi affacciavo sul mare, sembrava che l’orizzonte davanti a me fosse più lontano degli orizzonti di destra e sinistra. Non so, una sensazione davvero sferica, Atmosferica.

🙂

Ad un certo punto…

Qualche macchina parcheggiata sul lato destro, segnalava un punto interessante. Cosa si nascondeva dietro quei cespugli?

La conformazione della strada lasciava pensare che ci fosse una piccola spiaggia ma nulla di nuovo o degno di una meritata fotografia.

Non appena superati i cespugli che oscuravano la vista, mi sono emozionata. La baia era interamente ricoperta da piccoli, medi e grandi ammassi di pietre, sassi. Credo che ogni persona passata di lì, abbia contribuito con la propria opera d’arte. Un gruppo di ragazzetti creativi, avrà dato vita a questa iniziativa che con il tempo, si è alimentata fino a ricoprire tutto lo spazio disponibile.

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Ero stranita, curiosa e soprattutto avrei voluto anche io aggiungere un pezzo al “puzzle”. Così ho fatto. Ho raccolto qualche sasso qua e là, dove avanzavano. Mi sono accovacciata e per qualche minuto mi sono impegnata nella mia traballante costruzione. Mentre assemblavo quei tondeggianti piccoli massi, mi chiedevo come fosse possibile che tutte le altre costruzioni, sicuramente artigianali, potessero reggere senza crollare alla prima folata di vento.

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Non ne ho la più pallida idea ma sono sicura che tutta quella meraviglia, mi ha fatto sentire speciale. Speciale per il semplice fatto che ero lì, speciale perché ci ho messo del mio con il cuore e speciale soprattuto perché percepivo voglia di unione e condivisione. Un accordo segreto, un progetto mondiale, un’intesa particolare tra i viaggiatori della Great Ocean Road. Quanti artisti lungo la via!

Beh, fantastico.

Mi sono sentita parte di tutto ciò e questa in pole-position è la mia piccola costruzione.

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Con molta gioia e un filo di stanchezza, ho il piacere di comunicarvi che sono connessa da Melbourne. Non ci siamo ancora addentrati nel pieno movimento della città ma devo dire che il fitto traffico alle porte, ci ha già permesso di capire qualcosina di questa metropoli. Che intasamento! Ho già visto un paio di tram, bianchi e verdi. Hanno la forma simile a quelli di Milano, mi riferisco a quelli arancioni per intenderci.

Domani vi saprò dire qualcosa di più sicuramente, intanto godetevi ancora per un po’ questo spettacolo!

Erica, anzi Atmosferica.

Great Ocean Road.

La Great Ocean Road, che costeggia la costa sud del Victoria, ha aperto le danze con la “Bay of Islands” (immagine in copertina). La baia era appiattita dal tempo uggioso ma quegli scogli possenti, prendevano comunque forma tra le creste delle onde. Ammassi di roccia tanto grandi da essere identificati come “Islands” (isole), erano modellati dal mare un po’ come la forza delle dita può dare forma ad un pezzo di argilla che gira sul tornio, creando un bel vaso di forma particolare e personale.
I colori stratificati portavano a pensare che un tempo il livello del mare era davvero davvero alto, lasciando un’impronta ancora oggi ben visibile.

Proseguendo di circa un chilometro, eccoci al “The Grotto”, anch’esso raggiungibile attraverso una passerella in legno che dal parcheggio raggiungeva il punto di vista o visita, decidete voi.
Anche qui la potenza del mare si è costruita un rifugio, a intervalli di cinque/dieci minuti, un’onda più potente delle altre schizzava fino al punto più alto tra le rocce, andando a formare una pozza di acqua tiepida e calma. Questa grotta mi dato emozioni contrastanti e vicine. L’irruenza a pochi centrimetri dalla calma, l’invadenza non distante dalla riservatezza, il freddo a due passi dal caldo e la profondità dalla piattezza. Contrari ravvicinati e in contatto tra loro mi facevano paura.

Non poteva essere vero.

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Il terzo stop è segnalato da un cartello marrone, con una scritta chiara che indicava dopo 300 metri, il successivo “Lookout”, un’altra finestra sull’oceano:

“The London Bridge”.

Mentre percorrevo il nero sentiero asfaltato, mi domandavo cosa mai avrei potuto vedere da lì a pochi metri, non appena mi fossi affacciata sul mare.

“Un ponte? Il ponte di Londra…? Cioè?”

Ebbene sì, la roccia erosa dalle acque andava a formare un ponte tra le onde schiumeggianti. Un tempo, anche la parte di roccia più spostata a sinistra era un tutt’uno con il pezzo rimasto attualmente, resistito alle forze oceaniche. Diciamo che esisteva un ponte, con due arcate. Una è la sopravvissuta.

Immagino che tonfo e che inondazione quando quella parte di roccia ha deciso di staccarsi e tuffarsi in mare. Aiuto!

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Dopo pochi chilometri, un’altra deviazione: “The Arch”. Ancora una volta, la perfezione e la simmetria dell’energia oceanica, ha modellato con precisione lo scoglio. Una forma tondeggiante fuori e tondeggiante dentro, sopra e sotto.

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La pioggia non si placava e la nebbia si faceva sempre più fitta, mano a mano che proseguivamo sulla costa. L’ultimo stop doveva essere il più suggestivo, incredibile.

“Twelve Apostles”

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“I dodici apostoli”.

Il grigiore del cielo non mi permetteva di spaziare e quei dodici grandi scogli, che più che apostoli mi sembravano grandi totem, erano coperti e offuscati.
Ne vedevo sei, al massimo sette. Li ho contati più volte perché li avrei voluti identificare tutti ma nervosamente ci ho dovuto rinunciare. In una bella giornata di sole mi sarei persa tra la luce dorata di quelle rocce rosse, sarebbe stato bello.

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Non mi resta che cercare di dare una chiave di lettura più profonda a questo tempo malinconico e riflessivo.

Posso dirvi che l’atmosfera era magica, gli apostoli misteriosi, il mare incazzato ma io ero comunque felice.

Erica, anzi atmosferica.