Il mio viaggio continua…

Viaggiavo e sorridevo.
Ai capelli qualche boccolo, la pelle dorata e secca di salsedine.
Del mare.
Poggiavo i piedi sul sedile, tenevo le gambe piegate in uno stretto abbraccio.
Era il mio.
Più stringevo, più liberavo.
L’asfalto bollente correva veloce.

Ero felice.

La strada era al contrario e il cielo infinito.
Come fosse ieri ricordo che, ogni volta che guardavo su, faticavo con il respiro.
Erano giorni strani, pieni di tutto e di niente.
Ricordo come fosse ieri.
Ero talmente bella da farmi mancare il fiato.

Ehi cos’hai capito…

Ero bella dentro, ero un fiume in piena, forte e potente.
Nessuna barriera, nessun limite.
C’era solo quella strada e, su di lei, ho imparato a respirare.

Diritta e infinita.

Migliaia di secchi chilometri, il deserto, l’oceano e ancora il deserto.
Era verde.
Secco ma verde.
Avrei chiesto la velocità al suono, avrei voluto vedere la fine

ma non è mai arrivata.
Nemmeno quando mi sono fermata.

Quella strada continua, cambiano i colori e i paesaggi.
Migliaia di secchi chilometri, il deserto, l’oceano e poi ancora il deserto.

È verde.

Secco ma verde.

Il deserto della mia anima

che rinasce.

Erica, anzi Atmosferica.

Un motivo c’era.

Forse serve una mattina tranquilla anche se un po’ influenzata per lasciare che il corpo si rilassi e che la mente torni a viaggiare un po’.
Forse serve una fotografia ricevuta da Valentina, una mappa di quel Paese lontano che ancora oggi mi rende orgogliosa dei passi da gigante che mi ha fatto fare per poterlo attraversare tutto, da Ovest a Est.

Leggo dei nomi, vedo le poche e lunghe strade tracciate di rosso, le ripercorro con Amore ma senza nostalgia.
Lí ci sono andata davvero.
Un posto lontano di cui ricordo la fatica mentale, la mancanza di casa unita alla voglia di farcela. Un viaggio di scoperta e rivelazione che mi ha permesso di affermare la mia forza, il mio coraggio, la mia grande libertà, il mio “io”, il mio potere, i miei desideri.

“Australia” per me non vuol dire “canguri e ragni” ma molto di più. Per me significa Viaggio Interiore, cielo immenso e lunghe strade infinite.

Per me “Australia” è sinonimo di grandezza e infinito, indipendenza emotiva e fisica, lavoro stancante e tanta natura.

“Australia” è nel mio cuore e a volte me ne dimentico, concentro tutta l’attenzione sul presente senza pensare a quel posto che mi ha fatto rinascere, mi ha fatto imparare che “Se vuoi, Puoi” e che oltre alle meraviglie naturali c’è molto altro da scoprire, basta volerlo cercare e trovare.

Sono quasi felice, oggi, di non essere troppo in forma. Il mio corpo si è fermato per un motivo.

Sono contenta di poter volare su quell’aereo della mia crescita e sulle ali di quella scelta presa con grande coraggio. Un biglietto di sola andata, pochi soldi in tasca, la preoccupazione dei miei genitori e troppa voglia di dimostrare che “Un motivo c’era” e che dovevano fidarsi di me.

Dovevo fidarmi di me.

Mi serve guardare una cartina, mi serve leggere il nome della città di Perth in cui sono arrivata ma da cui non sono partita. Mi serve leggere Indian Ocean per rivedere onde alte e travolgenti, per sentire l’acqua gelida che mi bagnava i piedi e che voleva portarmi via, il vento forte e la sabbia dritta dritta sugli stinchi, gli schizzi in faccia, i surfisti che erano tanto bravi e coraggiosi ma mai troppo belli come tutti pensano.
I gabbiani sempre compagni, le rocce che cambiavano colore, i miei occhi illuminati dal cielo stellato, la notte.

Poi ritrovo il Nullarbor Plain, una distesa di niente e di sete, il vuoto più assoluto che ho riempito di pensieri, chilometro dopo chilometro. Auto-analisi, canzoni, risate al vento e tante fotografie. Uh, quante.

Detto questo…

Auguro a te, di ritrovarti nel deserto delle paure e delle incertezze per capire chi sei e da dove vieni, ma soprattutto dove vuoi andare.
Lí dove la mente è persa, l’unica possibilità che hai è creare la tua strada e farla tua in ogni curva e ostacolo.

Decidi tu la rotta della tua vita, lasciati guidare dalla tua essenza, e non potrai che prendere la direzione giusta.

Erica, anzi Atmosferica.

Scrivere e volare.

Penso sia il caso di aggiornare questo “diario di poco bordo” a bordo di un treno, quello che mi porta a casa.
Scrivere, come ben sai, aiuta a fare ordine tra i pensieri sempre troppo veloci, aiuta ad ascoltare la parte più profonda, quella che puntualmente viene messa in secondo piano ma anche in discussione.
Penso sia il caso perché credo sia bello, ogni tanto, fare un punto su quel che è, su quel che è stato.
Un po’ meno bello pensare a quel che sarà. Non è molto giusto.

È bello scrivere, dicevo, perché poi è più facile l’analisi e la ricerca di una direzione mai chiara ed esplicita nel vivere le brevi giornate scandite da ritmi e orari, abitudini e volti, appuntamenti e difficili spunti.
Se scrivo dico quel che voglio, seguo il mio filo, sciolgo i nodi pensierosi, grovigli di domande. Scrivo anche per non dimenticare. Quel giorno, quello a cui ancora non voglio pensare, sarò di nuovo diversa e forse avrò bisogno di leggere chi ero. Di capire chi sarò diventata.

Voglio così, interrompere il loop delle usanze solite e decido di scrivere, facendo di questo viaggio in treno, un momento di riflessione.

Mi chiedi che faccio, mi chiedi dove sono.
Mi dici che non scrivo più tanto, mi scuso e chiedo perdono. Mi sono sempre promessa di mantenere vivo questo canale di comunicazione perché aiuta e mi libera però, non è semplice.

Seguo il flusso di una vita di lavoro, di richieste al cielo che forse stanno arrivando. Forse. Altre tardano ad arrivare, bisogna pazientare.

Ho attraversato un periodo nero in cui, sopraffatta dalla negatività e dalle richieste, dall’aspettativa sempre troppo alta e dalla mancanza di riscontri, stavo andando giù. Stavo scendendo per un tunnel di buio e paura, di domande senza risposte, discese senza freno, stanze senza ossigeno. Una strana ansia chiudeva lo stomaco, disturbava il sonno, il cuore e il suo battito.

Mi chiedevo se fossi sbagliata e se la mia perenne insoddisfazione potesse mai portarmi a qualcosa di positivo.

Ero in attesa.

La risposta è no. La risposta era sempre chiara nella mia testa ma mai palesata nei miei gesti, nelle mie decisioni e nelle mie azioni.

Mi rendevo conto di avere la paura del tempo che passa, associata ad una graduale acquisizione di consapevolezza di quel che è stato il mio viaggio. Soprattutto interiore.

L’Australia.

Non voglio tornare sempre lì ma, devi credermi, è stato trasformante e solo ora iniziano a riaffiorare tante emozioni, realizzazioni, flash-back, la linfa vitale che scorreva in me, la crescita, la faccia di quel posto. Lontano.

Mai avrei pensato che potesse dare i suoi effetti così “tardi”, così improvvisi ed ingestibili. Nel periodo di buio, non riuscivo ad accettarmi ferma e cercavo di volare in continuazione, alla ricerca di qualcosa che, come sempre, era già dentro me.

Non era, è.

Per uscire da quel tunnel soffocante, ho dovuto ripercorrere tutta la strada, ho dovuto ripassare la lezione come se, nel mio viaggio anche introspettivo, fossi andata a scuola.
Ho ripercorso gli step che mi hanno portata qui, alla decisione di vivere una vita presente. Ho preso nuovamente decisioni già prese, ho rivissuto le sensazioni e le emozioni che quando ero lontana, mi spezzavano il fiato prendendomi alla gola. Mi accadeva di essere triste, malinconica ma anche gioiosa.

Ho iniziato, quindi, a guardare il mondo con uno sguardo meno assopito da inutili negatività, ho ripreso ad apprezzare le piccole cose e i piccoli gesti. Ho messo a fuoco, di nuovo, la bellezza della vita. Ho messo in discussione le mie esperienze, le ho raccontate nuovamente per riviverle e capirle, ho cercato di apprezzarmi e di complimentarmi con me stessa. Ho avuto coraggio ed è giusto vederlo, conoscerlo.
Mi stavo dimenticando di quanto sia bello vivere di semplicità e di niente, di natura e cielo, di un sorriso e del bacio della mamma.

Ho notato come sia cambiato tutto, non appena io abbia iniziato a concentrarmi sul mio presente. Un attimo esistenziale. Un secondo di tutto ma apparentemente di niente.

Viaggio ancora su questo treno.

I paesaggi fuori dal finestrino, scorrono e mutano. La pioggia cade leggera senza voler disturbare, le nuvole si muovono senza saper dove andare. I panni stesi sul balcone, la tegola rotta che sta lì, in bilico senza cadere. La signora guarda fuori senza realmente guardare, il treno scorre e corre manco volesse volare. Scappare.

Io sono felice di vedere tutto questo. Io guardo il mondo e lo vivo con entusiasmo. Noto i dettagli e i particolari, mi faccio sorprendere dalle ovvietà che  non sono troppo normali.

Bello scoprire come sia proprio il mio atteggiamento nei confronti della vita, a determinare la vita.
Il positivo chiama la luce e la novità, il modo di vedere le cose determina l’esito del cambiamento.

Probabilmente note ovvie, queste.

Dirai.

Probabilmente, però, occorre ricordarle sempre,

perché non si sa mai.

Erica, anzi Atmosferica.

E chi l’avrebbe detto mai…

In questa domenica di luci e Pandoro, riso giallo e thè caldo, provo a scrivere di Brescia.
Dico “provo” perché non è semplice parlare di una città mai vista e incontrata per caso o per fortuna, grazie ad una persona indelebile. Come una stampa a caldo nel cuore.

E chi l’avrebbe detto.

Posso dire con certezza che se non fossi andata in Australia, se non avessi conosciuto Mattia, probabilmente questa gita fuori porta sarebbe stata rimandata. Rimandata a non so quando, forse a mai. Sono queste le conoscenze che la vita ti porta a fare, ti devia su altre strade nei suoi premeditati giri senza fine.

“Grazie del giro, vita!”

Se hai seguito le mie vicessitudini, il suo nome non dovrebbe esserti nuovo.
Mattia, l’Ingegnere, il mio compagno di viaggio per un lungo periodo senza frontiere. Lungo quanto non lo so, non riesco a quantificarlo in giorni e parole.
Diciamo che è stato.
Punto.
Non si può dare un banale numero ad una tale meraviglia piena di improvvisi soffi al cuore, incredibili visioni, canzoni cantate e ora riascoltate.
Dico sul serio.
Tutto ha avuto tra noi un filo conduttore, un odore e un sapore.
Ogni tanto tornano all’improvviso.
Prima di dormire, mentre sorseggio un caffè o quando mi soffermo ad osservare qualcosa.
Qualcuno senza nome.

La classica immagine a cui penso racconta di quando Mattia era alla guida di Vando mentre io guidavo i miei pensieri e le mie scritture. Lui mi guardava chiaramente o con la coda dell’occhio, capiva i miei giri e io cantavo a squarciagola. Lui lo faceva in maniera composta.
Figuriamoci.
Io ridevo sempre, lui mi guardava sorridendo a volte solo con gli occhi.
Io ridevo ancora di più quando lui non rideva e ridevo ancora e ancora di più quando lui capiva e taceva.

Proprio come quel giorno a Brescia,
la sua città.

Una giornata intensa che ancora adesso non ho metabolizzato del tutto.
È passata più di una settimana.
Forse due, anzi tre.
Tante persone, le sue, e tanti ricordi, i nostri.
Una città nuova, la città di Mattia.
Un susseguirsi di incontri, intervallati da una lunga passeggiata per le viuzze e le piazze, per quelle immagini nebbiose piene di fascino e soffusa luce.
La luce della sera.
Già natalizia.
Meravigliosa.
Da Piazza Vittoria a Piazza Della Loggia, Dal Duomo fino al Tempio Capitolino, dalla Piazza del Mercato fino a lassù…
…al Castello fatato.

Le città di sera sono sempre più belle.

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img_4928Brescia non è da sottovalutare, è piena di arte e mistero, di sorprese e citazioni appese ai muri, ai tetti delle case, nei nomi delle vie e delle cose.
È particolare nella sua disposizione, banalmente costruita su quattro piazze ognuna speciale.
Giravamo in tondo quel giorno, con la nebbia che faceva da sfondo.

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Mattia faceva da Cicerone ma sono certa che qualcosina l’abbiamo scoperta insieme, proprio come nei nostri viaggi. Solo nostri.
Sono felice di aver passeggiato con lui e con quell’anima da viaggiatore precisino che l’ha sempre contraddistinto.
A volte l’ho odiato, confesso.
Ma lui non era sbagliato.
Per i miei gusti, però, era troppo quadrato, preciso, fermo nel suo pensiero.
Uh, che nervoso.
È successo che questo suo lato non l’abbia sopportato ma a Brescia, tutto è andato liscio.
Brescia parlava tra le strade silenziose, mi bagnava i capelli di rugiada e vapore. Se ha deciso di farsi trovare così, lo ha fatto per farmi quella bella impressione lì.
È vanitosa, l’ho conosciuta.
Te lo posso assicurare.

Mi piace l’idea di scoprirmi viaggiatrice anche tra le vie di una città vicina, a pochi chilometri da casa. Dalla mia.
Ero a tratti silenziosa, a tratti piena di entusiasmo. Ero stranita e stupita dal tempo.
“Poco fa ero in Australia, ma come…sono già qua?”
Seguivo un percorso, quello che ovunque nel mondo è necessario seguire per non perdere fiato. Per evitare l’affanno e per vivere al meglio il momento.

Ho ricordato con Mattia le zanzare spiaccicate sul tetto di Vando, abbiamo sdrammatizzato sulle difficoltà incontrate e raccontato strani episodi, strane persone.
Quante storie, tante, troppe!
Per non parlare delle risate. Il tonno e il mais, le crisi di panico e il vento fortissimo, il sole bollente, la schiena dolorante, l’oceano potente.
Quanti cassetti che abbiamo riempito, quante le foto che abbiamo scattato.

Brescia mi ha fatto capire che nella vita tutto è possibile e che a volte, a quella città ti viene da pensare, ti viene da volerci tornare perché è la casa di qualcuno che ha viaggiato con te e abita il tuo cuore.

Thank you Mat.

🙂

Erica, anzi Atmosferica.

Questo è il bello.

Un nuovo articolo per festeggiare l’inizio di una nuova realtà, una nuova avventura che prospetta crescita e cambiamento.

Tutto deve sempre cambiare.
Nulla sarà mai fermo.

Il viaggio del “Chissà dove arriverò”,
il viaggio del “Parto da qui”,
è iniziato pochi giorni fa, a Milano, alla fermata Missori della metropolitana.

Settembre e Ottobre,
Due mesi pieni di alti e bassi,
sali e scendi,
energia mancante,
disaccordo emozionale,
accordo astrale,
difficoltà nei volti,
aspettativa negli occhi.

Dal 2 di novembre tutto questo mi ha portato sulla strada del “Da oggi inizio”
e sulla sedia di una scrivania.

La mia.

Un’agenzia di branding dove lo studio del marchio e dei colori sono il centro del mondo ed il primo pensiero giornaliero, quello precedente allo sbadiglio. Io sto dalla parte della gestione del progetto, della supervisione del tutto, dove le responsabilità senza tempo sono sinonimo di impegno.
Fondamentale è il rispetto delle tempistiche, il contatto con il cliente e l’interpretazione delle sue esigenze.

Tutto pane per i miei denti.
Tutta questione di precisione e comprensione, assertività accomodante, puntualità nelle consegne.

Quante parole difficili.
🙂

Sono qui e vorrei fermarmi a guardare il mio posto, il traguardo raggiunto dopo un percorso, dopo giorni di corse e fatica, di grinta mai persa ma qualche volta assopita.
Sono qui e cerco di guardarmi ferma e non già in movimento, mi osservo da fuori e non dall’interno, voglio focalizzare per una frazione di secondo questa realtà di colpo materializzata, diventata improvvisamente “La mia giornata”.

Mi viene in mente il termine in inglese “journey”, una parola che in italiano significa “viaggio” ma che ricorda il suono di una “giornata”.

Appunto.

È proprio vero che non è mai finita.

Mai accadrà di arrivare.

La giornata stessa è un infinito viaggiare.

Questa riflessione mi perseguita dai tempi dell’Australia, della Thailandia, dal mio trascorso in un posto del mondo dove ad andare veloce era solo l’asfalto sotto le ruote, oppure in un altro posto dove avevo tempo, tanto tempo per pensare, riflettere, spaziare.

Ora qui fuori la luce del giorno si riflette nei vetri azzurri del palazzo di fronte e il tramonto scende sulle case, alle 16.45 sempre puntuale. Guardo fuori e la speranza si è fatta realtà, le mille domande trovano risposta nella normalità e io lavoro, con tutta la forza che ho.

Lavoro per il mio futuro e per la mia crescita, lavoro per la mia realizzazione, incastro ogni mia cellula assecondando le mie esigenze,

e quelle degli altri.

È il caso di iniziare a comprendere che la vita va veloce e inutile è cercare di stare dietro alla sua interminabile voglia di arrivare.
È bello e giusto starci dentro, guardando attorno e godendo il momento.

In tutto ciò, vorrei dirti che non appena ho creduto di avercela fatta,
ho iniziato a chiedermi se ce la farò.

Questo è il bello della vita,

Questo è il bello del “Crescerò”.

Erica, anzi Atmosferica.
(Perennemente in viaggio…)

12 NOVEMBRE

Da qualche giorno avrei voluto scriverti, ma ultimamente non succede con facilità che ispirazione e tempo decidano di dedicarsi l’una all’altro anche solo per qualche minuto. Non creano un appuntamento di comune accordo, sono sfuggenti e poco collaborativi. Ispirazione arriva nei momenti più inopportuni in cui non ho nemmeno la possibilità di appuntarmi due pensieri su un pezzo di carta volante, e tempo

Beh, tempo è prezioso e si comporta da tale.


Oggi però hanno deciso di trovarsi e di darsi la mano, vogliono darmi la possibilità di appuntare parole in questa giornata che sentivo strana senza capire il perché, un ordinario sabato con un sapore diverso dal solito.

“Ma che giorno è?”

“12 NOVEMBRE”

Brivido.

La prima cosa che mi viene da dire è un bel PORCA MISERIA.
Un’esclamazione di stupore nel pensare che sia passato GIÀ un anno da quel giorno in cui il mio volo è iniziato. Mi viene da dire anche, però, che ad oggi mi sento molto diversa da quella persona che è partita, mi vedo più grande e più consapevole. Sotto questo punto di vista, pensare sia passato SOLO un anno, ha dell’incredibile.

Una data che rimbomba nei miei timpani e che ho ripetuto un sacco di volte a chi si interessava e mi chiedeva della mia partenza. Una data che mi sono appuntata, che ho aspettato senza aspettare niente.

Solo un salto nel vuoto.

Del 12 NOVEMBRE ho un ricordo sfuocato ma molto forte, emozionato e inconsapevole, curioso e coraggioso.

In aeroporto guardavo fuori dalle vetrate. Ricordo che è stato impattante vedere quegli aerei decollare poco prima del mio, l’aereo che mi avrebbe portato in Australia. Sono partita senza aspettative o programmi e ricordo che mi ripetevo continuamente di stare tranquilla e che sarebbe andato tutto bene. Sono stati minuti confusi, non avevo la più pallida idea di quel che mi sarebbe successo.

Frustrante, snervante.
Elettrizzante.

Non avevo ancora ben chiare le motivazioni che mi stessero spingendo a fare un gesto di quella portata, un passo che mi avrebbe per sempre cambiato la vita e che mi avrebbe aperto le porte della verità. Intendo dire che probabilmente non riuscivo a spiegare a parole il “Perché”, nonostante una grande spinta di ricerca caratterizzasse ormai le mie ultime consapevolezze.

Io volevo cercare e cercarmi, scoprire e scoprirmi, crescere ed evolvere, conoscere il mondo, la mia anima e il mio potere.
Sì, perché tutti ne abbiamo uno.

Quel 12 NOVEMBRE lo ricordo come un nodo alla gola che si è lasciato sciogliere dalla pressione del decollo, quando ti senti schiacciato al sedile e sei pieno di pensieri, ti senti anche solo ma già consapevole che puoi farcela benissimo.

ERO SOLA.

Questo non è mai stato un problema per me.
Partire con me stessa è stata una scelta di cuore e coerente con la mia idea di viaggio, soprattutto interiore. Approdare dall’altra parte del mondo e confermarmi forte e responsabile, sarebbe stata per me una grande vittoria. Avrei potuto gestire ed assecondare i miei stati d’animo al meglio, avrei potuto portarmi nel posto giusto qualora ne avessi avuto bisogno.

Se mi hai letto e seguito, ricorderai anche tu quel giorno che per me non ha anno. Per sempre sarà il 12 NOVEMBRE.
Per tutta la vita ce ne sarà uno e ogni anno sarà lui, pieno delle sue scoperte e dei suoi ricordi di viaggio.
Il 12 NOVEMBRE sarà il giorno della partenza che mi ricorderà, suonando come una campana, che nella vita è importante osare ed essere coraggiosi.
Il 12 NOVEMBRE mi chiederà se sono felice e, se non lo sarò, mi chiederà di fare in modo di esserlo. Mi parlerà di vita e scelte, non facendomi perdere mai la voglia di viaggiare dentro il mio mondo interiore sempre molto più vasto di quel che pensiamo e soprattutto diverso da quello reale.
Il pianeta Terra.
Che invenzione meravigliosa.

Il 12 NOVEMBRE sarà sempre un giorno speciale che potrò assaporare come oggi, guardando un freddo cielo che fa pensare al mare, a quando alzavo le mani in segno di vittoria perché finalmente potevo volare.

Erica, anzi Atmosferica.

Sydney, il mio film.

Vedo Sydney in tutta la sua possenza, la vedo che scorre tra le immagini veloci di un film.
Non posso fare altro che schiacciare il pulsante “STOP” e osservare, rivivere quella scena insieme ai due attori che giocano con un pallone, lì nel perfetto verde del Royal Botanic Garden.

Un giardino, un parco, un museo di natura parcheggiato ai piedi della città ed affacciato sul mare, sulla baia.
Era infinito e pieno di stradine. Alle radici delle piante un piccolo cartellino diceva il nome e una descrizione. Beh, un giardino botanico, appunto.

Guardando queste immagini veloci, rivivo per un momento le mie passeggiate e sento ancora il profumo dei fiori. Ricordo che durante il mio periodo a Sydney la temperatura era gradevole e quel pomeriggio il sole splendeva alto nel suo cielo sempre immenso.
Dico “quel pomeriggio” perché sì, solo una volta decisi di spingermi a passeggiare tra le piante e le fontanelle di quel parco.
Quel giorno avevo bisogno di ossigeno e aria, quella che non riuscivo a respirare tra i grattacieli che fanno da sfondo. Avevo bisogno di svagare e liberare i pensieri, in giornate in cui tutto sembrava ovattato.

Li vedi i palazzi?

Beh, sembrano nuovi, moderni, quasi dorati.
Non trovi?
Si vede la torre più alta di Sydney, ci sono salita. Girava in continuazione su 360 gradi e lassù, in cima, c’era un ristorante. Tu stavi seduto al tavolo e nel frattempo giravi per la città. Una vera figata.

Pensando a Sydney ritorna il profumo di casa e il pensiero di quelle molle nel materasso che a volte non mi lasciavano dormire. La moquette tanto odiata tappezzava tutte le stanze della casa e quella vista su Darling Harbour ogni sera aveva una luce diversa. La ricordi? Che tramonti, che colori. Ho visto anche qualche alba. Ritorno alle serate con gli amici e alle mattinate a spalmare marmellata su croccanti fette di pane. Quanti ricordi, tutti qui nel cuore.

Guardando queste scene mi sento ancora lì e mi ritengo fortunata. Ho avuto un’idea geniale nel decidere di fermarmi a Sydney per qualche mese, l’ho studiata e vissuta in un momento che ad oggi rivivo come quello “giusto”.
Sto realizzando ora, Sydney…cara.

L’Opera House che simboleggia la città, il vento tagliente e le nuvole sempre troppo bianche.
Io lì ci sono stata.
Io lì ho vissuto.
Vorrei quasi quasi bucare lo schermo e dire a quegli attori che lo so bene dove stanno giocando. Mi sento lì con loro e la sensazione è stranissima.

“Ehi belli, ci sono anche io! Passatemi la palla!”

Ricordo come Sydney mi ha fatta sprofondare in solitudini, mancanze, sofferenze e domande senza risposte. Per non parlare delle malinconie, ora del tutto saziate, guarite. Ricordo quando mi guidava in lunghe passeggiate che seguivo con piacere anche dopo ore di lavoro e con le vesciche ai piedi. Mi faceva incontrare persone e artisti di strada, mi regalava emozioni uniche che non posso spiegare a parole ma posso solo rivivere, annusare.
Sorridere.
Che immenso piacere.

In momenti come questi mi sento piena di esperienza e vita, quei mesi di vita in quella città, sono stati estremamente forti, vivi, difficili e affollati. Ho vissuto normalmente ma forse di normale non c’è stato proprio niente. Ho messo in discussione la mia persona, la mia crescita e la voglia di conoscere ogni mia singola cellula.
Sydney è stata all’altezza ed è stata forte abbastanza.

Sydney si è fatta spesso odiare ma ora, la guardo attraverso questo maledetto schermo con grande ed immenso amore.

Un giorno, presto o tardi che sia, mi vedrà tornare.

Buonanotte Italia, ora vado a sognare.

Erica, anzi Atmosferica.

“Qualcosa che non c’è.”

Quando scrivo ho bisogno di sintonizzarmi sulla giusta frequenza.
È come se le mie parole, andassero ad incastrarsi, accordarsi perfettamente al ritmo del mio cuore, e del tuo.
Non penso ci siano altri modi per spiegare.
Riesco a esprimere i miei alti e bassi, solo quando riesco a seguirli e a posizionarli nelle frequenze della scrittura.
Anche lei ha un ritmo, il mio.

Difficile da capire?

Per te nulla è difficile.

Potrei spiegarti che se ti piace leggere ciò che scrivo, significa che siamo sintonizzati sullo stesso canale. Riusciamo a parlare la stessa lingua o, meglio, sei in grado di capire la mia.
Mi permetto quindi, di continuare senza facilitazioni.
Sei forte!

Pensa che succede anche che io vada a rileggere pezzi scritti da me, dalla mia mente, e mi trovo sorpresa da tutti quei giri strani che non mi sembra nemmeno di percorrere tra i pensieri.
Viaggi di riflessioni lunghe e contorte che spesso vanno perse.
Chissà dove.
Tra la scrittura, invece, nulla sfugge.
Nulla passa inosservato.
Non esiste il “non detto”.
Non esistono paure, non sono ammesse mancanze di coraggio o sincerità verso se stessi.

Non c’è spazio per le esitazioni.

Non scrivo da parecchio.

Succede che ti incontro per strada e ricevo da te buoni riscontri, mi dici che spesso vai a controllare se ho pubblicato “Qualcosa”, mi fai sentire che i miei messaggi ti sono arrivati e che mi apprezzi per quel che sono riuscita a comunicarti. Anche io apprezzo te.
Mi dici che dovrei scrivere un libro (GRAZIE!!), che sono migliorata nel tempo e che non devo fermarmi.
Non posso fermarmi.
Non mi nascondi una lacrima di commozione, mi confidi che ti sono stata di aiuto in brutti momenti o che ti ho fatto viaggiare stando fermo quando anche tu eri curioso di farlo o quando avevi bisogno di scappare, riflettere, cambiare.

Per questo vorrei ringraziarti e dirti che ogni volta che sento il nome “Atmosferica” uscire dalla tua bocca, il cuore si commuove e collego tutto a quello, a questa raccolta di parole che forse solo parole non sono state.
Molto di più.
È assurdo come sia riuscita a parlare con te, senza nemmeno immaginare che tu leggessi veramente.
Tu, la mia compagna di banco delle elementari.
Tu, la ex-fidanzata del mio ex-fidanzato.
Tu, che credevo di starti sulle palle.
Tu, che mi hai scritto calde confidenze durante una gelida notte d’inverno.
Tu, che mai avrei pensato di ricevere un “Grazie” da te.

Questa è una figata pazzesca, grazie alle parole ho mantenuto neutralità e spontaneità, ho viaggiato insieme a te senza mai sentire il tuo peso o l’ingombro del tuo bagaglio.

Beh…

Grazie a te.

Oggi ti scrivo per dirti che se quel “Qualcosa” sta mancando da tempo, è solo per il fatto che sto cercando la mia frequenza nel mondo.
Sto crescendo, mi sto evolvendo.
Sto seguendo i miei battiti, sto lavorando su continui sali-scendi di emozioni, oggi le energie ci sono, domani forse saranno un po’ meno.
Devo preservarle e distribuirle in maniera intelligente.
Ogni giorno è una scommessa.
Ogni attimo è una ricerca.

Non è semplice tornare, non è un cambiamento facile da affrontare.
Non è mai finita.

Non mi sentirò mai tornata del tutto, fino a quando non realizzerò pienamente quel che è stato.
Che ho fatto?
Dove sono andata?
A volte mi sento
mai tornata,
altre,
mai partita.
Vedo cose uguali, altre cambiate e distanti anni-luce da ciò che sono.
Sono diventata.

In questi giorni mi succede di addormentarmi viaggiando nei colori australiani, parlando con amici di viaggio o osservando la vita a Sydney. Passeggio tra la natura, ascolto il rumore del mare pucciando i piedi a riva, guardo il cielo e il solito gabbiano.
Mi risveglio pensando che sono qui, nel letto di casa che non è ancora comodo come un tempo.
Che strano.

Per questo volevo scriverti oggi.

Scriverò,
mai fermerò queste mani.

Sto semplicemente tornando.
Sto decidendo come proseguire il mio viaggio, anche se, sto lasciando potere alla vita.
Solo lei ha la capacità di creare e distruggere, di unire e separare.

L’universo.

La scrittura sarebbe una lente di ingrandimento, un’analisi dettagliata di una fase che ora deve scorrere liscia senza subire rallentamenti.

C’è scritto: “NON DISTURBARE”

Sto seguendo il corso delle cose e questo non mi permette di trovare la giusta frequenza per quel “Qualcosa” che, come dice Elisa, ora “non c’è”.

Erica, anzi Atmosferica.


Elisa – “Qualcosa che non c’è”

Il richiamo.

Mi trovo di nuovo in un campeggio, questa volta dormo in una roulotte. Guardandole dal fuori, mi hanno sempre attirata, avrei sempre voluto dormirci almeno una volta. Mi sono sempre sentita come una bambina che volesse provare un gioco nuovo, un’esperienza in roulotte.

Che figata!
Chissà come sarebbe stato.

Senza nemmeno accorgermene, mi trovo in una delle zone più wild e selvagge della Sardegna e dormire in una piccola casetta con le ruote. All’esterno una veranda di plastica arancione crea una cappa di caldo nelle ore di punta, ma la sera diventa molto accogliente e fresca. Santa Lucia e La Caletta, realtà piccole e strettamente paesane che si affacciano sul mare. Tra loro, una lunga spiaggia fa da unione e oggi l’ho percorsa tutta. Cinque chilometri a bordo piscina.
Sabbia bianca, mare cristallino, ombrelloni colorati e forti folate di vento. Niente di commerciale, niente che avevo già visto in Sardegna. Questa nuova faccia, mi stupisce.

Tutto nuovo.

Ecco che questa vita da campeggio mi ricorda quella Australiana, quella fatta di niente e di tutto, quella del lungo viaggio e dei mille campeggi lungo la strada. Una vita fatta di rumori naturali e bagno comune, la resina degli alberi e piccoli vialetti piastrellati che fanno strada tra tende e bungalow. Sento che questo habitat sia parte di me e mi piace ritrovare queste sensazioni in un posto vicino a Casa, in Italia.

Chi l’avrebbe mai detto che avrei preferito la vita da campeggio, a tutte le altre vite.

Varie vicessitudini tra bed&breakfast e piccoli appartamenti, mi hanno fatto optare per la soluzione più essenziale, la meno dispendiosa, la mia. Devo ancora accettare di rivedermi tra quattro mura di legno di una roulotte senza cucina, devo accettare che sono anche questa e che dopo pochi giorni di ritorno, sono venuta a ritrovarmi e ricercarmi, qui.

Ad ascoltarmi.

Sto seguendo i miei impulsi, chiamalo istinto o sesto senso, sto agendo e viaggiando di pancia ora che ho ancora tempo per farlo.
Questa vita mi riporta al contatto con il vero, alla base e al primario. Appena ho sentito il minimo rischio di perdere tutto questo, sono scappata. Non sono riuscita ad integrarmi subito con la realtà di sempre. Quella di città, quella di persone e tante domande, quella di caffè al bar e treni senza aria condizionata.

Mi dovrò impegnare ma non voglio soffrire.

Mi sono rifugiata tra aghi di pino e una spiaggia bianca, i grilli non fermano mai i loro strani canti e la notte si dorme bene, è fresco e silenzioso.

Questo è il posto giusto in cui stare.

Adesso.

Amo lo Yoga sulla spiaggia, le musiche verso sera e la pace che regna come un accordo comune. Tramonti assurdi e giochi di colore, alberelli selvaggi e cielo aperto. Non voglio niente di ricco, niente di sofisticato o comodo.
Voglio solo questo. Un letto che in fin dei conti è in un bosco senza tetto.

Ancora qualche giorno qui, sarà la cura.
La Sardegna ha sempre disinfettato le mie ferite e ascoltato le mie richieste. È sempre stata impeccabile nella sua bellezza e comprensione, mi ha sempre chiamata a sé quando non ci sarebbe stato altro posto in cui andare.

Erica, anzi Atmosferica.

Il vuoto e “La sera del ritorno”.

Ho altro da raccontare, altro che riguarda il mio ritorno. In questi giorni pieni di spostamenti, viaggi in treno e chilometri di cemento, sto cercando di ritrovare il mio posto nel mondo, in Italia.

Un angolo di pace che mi faccia sentire libera.

Continuo a pensare ad una bellissima serata trascorsa in compagnia di Zie e Amiche, qualche giorno fa. Ero tornata da forse 72 ore e una riunione di saluto e connessione nuova, è stata l’idea di Mamma. Un altro modo per darmi il benvenuto, un gesto amorevole per farmi sentire a casa.

Qualche pasticcino, una sana Macedonia e una bottiglia di prosecco per festeggiare. Questi erano i condimenti che rendevano il tutto più colorato e gustoso, frizzante e dolce. Il giardino di casa faceva da sfondo e delle candele colorate allontanavano le zanzare riscaldando l’Atmosfera.

Dopo i primi minuti di confusione e domande accavallate, il creativo Papà Elio è intervenuto con la sua idea. “Facciamo un gioco, mettiamoci in cerchio e ognuno farà una domanda quando sarà il proprio turno!”

Una risata generale è sfociata nell’accordo pieno, ha creato ordine e curiosità. Ero curiosa anche io, mi sentivo al centro dell’attenzione ma con molto piacere.

Il giro delle domande è partito subito in senso anti-orario. Di fianco a me, Papà osservava la scena dal mio stesso punto di vista. Forse accadeva per la prima volta. Guardavamo con gli stessi occhi, ascoltavamo con le stesse orecchie.

Vorrei condividere con te alcune domande e di seguito le mie risposte. Trovo giusto doverti rendere partecipe di una nostra serata, in cui meritavi di esistere anche tu.

“Hai mangiato qualcosa di particolare?”

Ho risposto che non ho mai assaggiato cibo che mi abbia fatto mancare il fiato. Nulla che mi abbia rapito le papille gustative. Certo, il cibo thailandese piccante mi ha tolto il respiro per ovvi motivi, ma per il resto non sono rimasta mai troppo stupita da quel che avevo nel piatto. In Australia sono arrivata a detestare frutta e verdura, avevano sapore e consistenza chimica e non sapevano di natura. Non troppo.
Non ho mai assaggiato la carne di canguro, non ce l’ho fatta. Per tutto il tempo del mio viaggio, ho mangiato solo carne bianca. Non mi sono mai imposta diete particolari, mangiavo quel che mi andava, quel che il corpo chiedeva.
In Thailandia, invece, mi sono depurata e purificata. Verdure cotte e crude, grandi insalate di frutta e riso ovunque. Una vera goduria per il mio palato.

“C’è mai stato un posto che hai chiamato ‘Casa’?”

No. Sydney mi ha cullata e coccolata, mi ha fatta sentire a casa ma non l’ho mai intesa come la mia città. Mi sentivo ad ogni modo ospite anche perché non ho mai pensato di non tornare in Italia.
Piazze, muretti e panchine, mi richiamavano nei momenti di solitudine in cui volevo sentirmi bene. Guardavo al cielo e vedevo le punte dei palazzi, possenti.
Mi piaceva ritornare nei miei angoli di pace, mi piaceva vedere Sydney in tutti i suoi specchi e colori, mi sentivo bene ma non a Casa. Sarà sempre nel mio cuore quella città, tanto cattiva all’inizio ma piena di amore alla fine.

“In un momento di tristezza hai mai pensato di tornare a casa?”

No. Ero sempre consapevole che ogni momento di tristezza e malinconia, era stato preceduto da un momento di benessere e sarebbe stato seguito da un’altro stato d’animo positivo. Credo che affrontare e superare negatività, sia sinonimo di maturità e voglia di conoscersi davvero. Bisogna essere in grado di guardare il proprio malessere dall’esterno cercando di non identificarsi in lui.
Io ci ho sempre provato, con la consapevolezza di voler tornare a casa per felicità.

“Qual è il tuo obiettivo ora? Dove vuoi andare?”

Il mio prossimo traguardo è quello di trovare pace nel niente. È difficile tornare in una realtà dove in ogni fase della vita si ha sempre avuto uno scopo, ma ora la sensazione di appartenenza non è più così forte. Il mio obiettivo è quello di trovare un equilibrio prima di agire per una costruzione, un progetto di lavoro.
Tutti si lamentano del fatto che si lavora troppo e che lo stress porta a correre continuamente, affaticando l’anima al pensiero del futuro.
Accade questo, sì, ma nel momento in cui non si ha nulla da fare, si entra facilmente in crisi, ci si sente persi senza una sfida giornaliera.
Di cosa ci si lamenta allora?
Voglio imparare a godermi un momento di vuoto senza dimenticare che ora sono piena di me, come è giusto che sia.
Da fine agosto, farò fruttare le mie energie e con la dovuta calma, penserò ai miei progetti.

“Chi è stata la persona che ti è rimasta nel cuore?”

Ilaria. Con lei ho avuto un bellissimo scambio di emozioni e insegnamenti. Lei mi ha insegnato una magica dolcezza fatta di fiori e conchiglie colorate, mi ha dimostrato che quel mondo ormai poco conosciuto ed esplorato esiste davvero, basta solo costruirlo giorno dopo giorno. Basta crederci.
Io a lei ho dato un pezzo della mia positività e della voglia di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno, le ho voluto dire che “Tutto andrà bene!”.

“Sei rimasta in contatto con Mattia? L’Ingegnere…”

Certo, Mattia è tornato nella sua amata Brescia a Maggio. Una buona opportunità lavorativa lo ha fatto diventare Ingegnere a tutti gli effetti, è sereno.
Sicuramente andrò a respirare la sua realtà bresciana e sarò ben contenta di ospitarlo a Lecco, la mia cittadella sul Lago.

“Cosa ti ha segnato di più nel ritiro spirituale?”

Penso che la convivenza con la giungla sia stata per me la prova più snervate. Continuamente in tensione, cercavo di trovare pace anche se, puntualmente, saltavo in aria al minimo rumore o visione strana. Animali e umidità, caldo e temporali, buio e insetti.
La parte più difficile è stata questa. La giungla e il mistero del silenzio.

“Hai mai avuto paura?”

Sì. Quando abbiamo iniziato la traversata della spianata deserta in Australia, alla prima sosta siamo stati travolti da un temporale ventoso, persino le pentole perdevano il contatto con il suolo e Vando traballava e tremava come una foglia. Lì ho avuto paura, mi sono sentita piccola, indifesa ed impotente nei confronti dell’inaspettata forza della natura. Era appena iniziato un viaggio di migliaia di chilometri vuoti, lungo la costa sud dell’Australia. Si era appena aperta una scommessa e per un momento ho temuto di non essere pronta a vincere o comunque a combattere.
Dopo la tempesta è uscito il sole. I colori sono tornati accesi e le nuvole a fare da cornice.

Ecco queste sono alcune delle domande. Le più importanti. È stata un momento di condivisione emozionante che credo rimarrà tra i miei ricordi come “La sera del ritorno.”


Ora sto partendo di nuovo. Un aereo sta per decollare, il mio cuore sta per volare. Devo ancora abituarmi alla sensazione del vuoto, è vero. Forse è per questo motivo che non riesco ancora a fermarmi. Voglio sentire il petto schiacciato alla poltrona, voglio vedere le nuvole dall’alto. Sto seguendo il mio istinto che non vuole ancora frenare la corsa. Forse non sono fatta per rallentare o forse non è il momento.
Ora so che voglio scrivere e per farlo ho bisogno di stimoli giusti, voglio godermi il niente nei posti più belli, quelli che sono stati creati per me e per le mie storie.

E comunque,
il vuoto,
in cielo,
si sente meglio.

Erica, anzi Atmosferica.