Portati dove ti devi portare.

Un fine settimana un po’ piatto a livello mondano, ma pieno di salite e discese a livello interiore. Sembra quasi si siano messi d’accordo i vari gruppi di connazionali.
Coinquilini e non.
Ieri sera, i francesi andavano ad un party organizzato da francesi, i brasiliani andavano ad una festa in una casa di brasiliani, le colombiane andavano in un locale latino frequentato da soli colombiani.
Bello no?
Gente strana.
Complimentoni!
Ho deciso così, di fare il party del sonno e andare a riposare presto.

“Vai a dormire presto il sabato sera?”

“Embè? È un problema tuo?”

Mi sono così svegliata ad un orario decente e sono andata in gita.
I leoni della notte dormivano sonni profondi quando io verso le dieci e trenta zitta zitta, quatta quatta, ho abbandonato la reggia.
Direzione Manly.
La frazione si trova nella parte nord della città di Sydney. Per intenderci, al di là del ponte. Dell’Harbour Bridge.

All’andata ho preso il bus proprio sotto casa, dopo una ventina di minuti ho fatto scalo ad una fermata sulla strada provinciale e ho preso un altro pullman ancora. Il numero 173.
L’emozione super del viaggio, è stata quella di attraversare il ponte.
Mi batteva il cuore!
Stavo davvero passando sotto a quella immensa costruzione che da lontano mi pare sempre e da ogni angolazione una montagna russa?
Non ero ancora riuscita a capirne la grandezza.
Ma adesso ci sono, ho ben chiaro tutto.

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Per godermi il tragitto e in vista del passaggio sul ponte, mi sono appositamente seduta davanti. Primo posto per me, sembravo una bambina. Gasata come poche.
Dovevo riuscire a fare una foto, dovevo vedere bene tutto.
Calma. Sangue freddo. Attenzione.
In quel momento ho guardato l’autista che conduceva l’autobus con aria triste e demotivata.
Ma caspita! Ma si deve rendere conto che nel suo noioso lavoro, è fortunatissimo.
Porta le persone a destinazione, ma nel tragitto, le fa emozionare.
Dici poco!
Forse quel signore non ci ha nemmeno pensato.
Per lui è normale.

Manly è graziosa, ha una conformazione strana perché si affaccia su due spiagge. Una più grande e una più piccola. La via centrale, collega due lati di una stretta penisola e quindi alle estremità di questa, vedi il mare.
Mi sono spiegata?
Digita “Manly Sydney” su un qualsiasi motore di ricerca e tutto sarà chiaro.
🙂

Mi sono goduta mare e vento, cielo e onde, silenzio e bimbi urlanti alle prese con sabbia e secchielli, ho visto i miei amici gabbiani e una ragazza che era lì come me, in gita. Ne sono certa. L’ho guardata mentre si guardava attorno, l’ho osservata e capita. Sono sicura.
Comunque è stato molto rilassante. Una passeggiata lungo la costa collega la spiaggia di Manly a Shelly Beach. Se non avessi deciso di andare a yoga, avrei camminato volentieri.
Ma la mia vocina interiore mi ha detto che potrò andarci un’altra volta.
Se avevo voglia di andare a yoga, era giusto seguire il mio desiderio assolutamente realizzabile.
Più bello di così.

Per il ritorno ho deciso di optare per il traghetto. Manly è collegata ogni mezz’ora alla città, da una barca che arriva direttamente a Circular Quay. Per intenderci sul lungo mare, tra Opera House e Harbour Bridge. Quello che all’andata avevo attraversato, al ritorno lo volevo vedere dal mare, dal basso, dall’acqua.

La mezz’ora di navigazione, è stata la mezz’ora più densa e palpitante della mia giornata.

Vedere Sydney dal mare è stato come conoscere un altro lato di lei e del suo carattere. Ho aggiunto un mattone in più all’infinito muro di conoscenza che questa città mi sta presentando. Non riesco ancora a vederla a 360 gradi, non ho una visuale chiara e completa.
Oggi, però, posso dire di aver progredito.
Un passo avanti per Atmosferica..

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Beh, fotografare il retro dell’Opera House è stato figo. Mi piace di più vista dal mare. Forse perché è un immagine insolita. Può darsi.
Il ponte era magnifico con quella luce.
Mi sentivo in “Google Immagini”. Continuavo a scattare come una matta, dovevo immortalare, dovevo farti vedere.

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Che ne pensi? Ho fatto un buon lavoro?
Queste rimarranno per sempre.
Le ho scattate io.
Lì mi ci sono portata io.

Il traghetto ha toccato terra ferma, attraccando a uno dei moli di Circular Quay. Io ho tirato un sospiro di sollievo, potevo rallentare insieme alla barca, il viaggio era finito.
Che meraviglia.

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Viva il sabato sera in casa!
🙂

Erica, anzi Atmosferica.

Casa mia.

Sono andata alla ricerca di un po’ di storia. Ieri.
Non che io ne sia appassionata, ricordo che a scuola facevo una fatica allucinante a ricordare date, luoghi e nomi importanti. Mi facevo aiutare da mamma e zie, cercavo di trovare trucchi e connessioni per assimilare almeno le informazioni di base, quelle fondamentali. Ad oggi, credo di avere ancora lo stesso problema ma se mi trovo in una città e posso toccare con mano la storia…

…è tutta un’altra storia.
🙂

The Rocks è il quartiere più “antico” della città. Si trova all’ombra dell’ Harbour Bridge e assume caratteristiche totalmente diverse dal generale contesto di Sydney. Ero curiosa. Molto curiosa.

Ieri, dopo il lavoro, una passeggiata di venti minuti mi ha portato lì. C’era il sole e io avevo voglia di una piccola esplorazione prima del mio appuntamento con lo Yoga. Appuntamento fisso. Quello del mercoledì particolarmente, troppo brava l’insegnante. Mentre camminavo pensavo che il clima dovrebbe essere simile a quello della tua Primavera. Credo proprio che sia così. Forse qui fa un pelo più caldo.
Ancora vestita da lavoro, tutta di nero, mi sono appropinquata quindi alla scoperta di questo piccolo quartiere di cui ho sentito parlare. È il più “antico” di Sydney, strette vie ciottolate e edifici bassi lo caratterizzano. Una pace estrema tra quelle pietre e pochi turisti. Perlomeno pochi asiatici. Stranamente.
Forse è una parte della città che in foto non trasmette l’energia e la potenza di Sydney, non ci sono grandi costruzioni, ponti, grattacieli. Nulla di tutto questo.

Se vedi una foto di The Rocks, non crederesti mai che si trova a due passi dall’Opera House o dall’Harbour Bridge. Forse per questo, nessun “classico” turista è a conoscenza di quel posto senza tempo.

Mentre mi avvicinavo, il mio cuore ha iniziato a battere forte. Non so che mi è preso. La sorpresa, la curiosità, la novità. Mi sentivo turista, mi sentivo bambina nel grembo di una città che in fin dei conti mi sta coccolando. Sydney, mamma mia, quando ci penso mi vengono i brividi.
Per tutta la vita sarà parte di me e solo io saprò.
Ai primi ciottoli rossi del piccolo quartiere, mi sono emozionata. Mi sembrava di stare a casa, a Lecco o forse a Bellagio.
Non so spiegarti la sensazione di casa e di lago, ero sola ma non mi ci sentivo. Ero una viaggiatrice e captavo ogni particolare. Gli edifici sembravano antichi ma se li guardavi bene, erano nuovi. La via di piccole pietre incastrate, sembrava antica ma non lo era. Dico questo perché tutto è nato nel 1800.
Non volevo badare alla giovinezza di quel posto. Per una volta non ci volevo pensare. Catturavo immagini e silenzio, camminavo in salita e poi in discesa, scalinate tante e viuzze ad ogni angolo. Se alzavo lo sguardo, il possente Ponte era dietro a quelle case.
Invadente, vanitoso, troppo esuberante.
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Mi sentivo italiana e guardavo le vetrine. Pietre e minerali, gioielli artigianali e ristoranti particolari. Mi sentivo talmente italiana che quando ho girato l’angolo e mi sono trovata davanti quella piccola osteria apparecchiata con tovaglie a quadri rossi e bianchi, mi è venuta quasi la voglia di sedermi lì per un momento.

Si chiamava “Appetito”.

Ho fatto un altro giro e mi sono trovata sotto al ponte. Ho camminato ancora e sono tornata al punto di partenza. Una piazzetta tranquilla, un sole splendido.
Le persone che vivono lì, hanno scelto uno scenario diverso a due passi dal centro della città. Hanno scelto la piena Sydney ma lontana dal traffico.
Un buon compromesso.

A me,
nel frattempo,
manca casa mia.

Erica, anzi Atmosferica.

Come vedo Sydney.

Scusate ma forse sto iniziando a realizzarlo solo ora. La città è estremamente grande e anche se vivo in una casa, in una via, in uno dei migliori e più centrali quartieri, non è così facile sentirsi Veramente Qui, Veramente Adesso, Veramente A Casa.

Forse l’ho realizzato dopo aver visto l’Opera House e l’Harbour Bridge. Non so come spiegarlo ma quando penso a queste due opere architettoniche famose in tutto il mondo e identificate come simboli della città, scorrono davanti ai miei occhi immagini viste in televisione o sui giornali. Mi viene in mente il servizio del telegiornale il primo giorno dell’anno, dove la giornalista parla del capodanno a Sydney come uno dei primi del mondo e uno dei più spettacolari.

Fuochi d’artificio, luci, realtà inimmaginabile e troppo lontana.

Beh, sono qui.

Ieri era il momento per andare in perlustrazione. Poca è la distanza che mi separa da quella piazza piena di turisti che costeggia la baia (Sydney Cove). Due chilometri e una mezz’ora di passeggiata. Ho percorso George Street con la musica nelle orecchie e le scarpe da ginnastica, fino ad arrivare in Circular Quay.

Non c’è nulla di circolare.

🙂

Quattro moli numerati caricano turisti su piccoli o grandi battelli, gite organizzate di ogni genere portano in tutte le parti della città e troppe persone scattavano fotografie. Proprio lì, un ragazzo giovane e biondino suonava la chitarra a modo suo raccogliendo intorno a sé una folla curiosa e stupita. Teneva lo strumento appoggiato sulle gambe, ma non nella classica posizione. Diciamo che la chitarra era sdraiata, appoggiata di schiena. Con strani movimenti delle mani, creava arte in un modo mai visto, non servendosi di spartiti o della sua voce. Mi ha catturata. Mi sono così seduta su un muretto e mentre il sole mi picchiava in viso, lo ascoltavo e mi facevo portare su, dove voleva andare lui.

Girando di poco lo sguardo verso destra, tra le foglie verdi di un albero ho visto due delle punte di quella bianca e bizzarra costruzione. Camminando da quella parte, la piazza si è aperta dopo aver superato una fila di ristoranti e in cima alle scale, la Sydney Opera House.

“Ciao Sydney! Ma sei tu?”

Mentre a destra c’era lei, a sinistra il ponte riempiva la scena. Io stavo in mezzo alla piazza e c’erano pure i soliti gabbiani. Bianchi e grigi. Ero piccola, avevo caldo e osservavo migliaia di persone che scattavano foto e spiritosi selfie. Che cinema! Vedevo i turisti ma non mi sentivo turista, nonostante fosse la prima volta anche per me.

Che strano.

Volevo studiare le loro espressioni e i loro movimenti, senza ascoltarmi troppo. Quello che mi è piaciuto, è stato sicuramente lo spazio libero e arioso, tanta gente ma nessuno troppo vicino, libertà di movimento e pace!

No, non c’era confusione o fretta.

Non una direzione comune.

Invece che mischiarmi a chi andava dritto, a chi andava storto o a chi attraversava la piazza di sbieco, mi sono seduta. Di nuovo. Mi andava così.

Da lì potevo seguire meglio le dinamiche, vedevo tutto dietro a una ringhiera, seguivo con lo sguardo lontani personaggi strani e mi lasciavo irritare da gruppi di turisti asiatici che scattavano dieci foto al secondo senza godere per un attimo di quello che avevano attorno.

Ma dico io…

Respira, metti giù la macchina fotografica, goditela, rilassati, mangiati un gelato, scambia due parole e osserva.

Niente.

Non si fermavano un secondo.

Io però mi sono fermata e ho guardato in silenzio Sydney.

Erica, anzi Atmosferica.