Non Mente ed è unica.

Ti piace?
È Bondi Beach.
La cosa strana e bizzarra è che questo scorcio mi ricorda la nostra Costiera Amalfitana.
La cosa che fa ancora più ridere è che io, sulla Costiera Amalfitana, non ci sono mai stata.
Ti rendi conto la mia testa dove va a finire?

Un po’ come quando ero in viaggio e mi si stendeva davanti la secca e infinita steppa australiana.
La mia mente vedeva la savana, leoni e giraffe, zebre e tigri.
La cosa bella è che non sono mai stata nemmeno nella savana. L’ho vista è vissuta in qualche cartone animato, una ventina di anni fa. Facciamo quindici dai.
Per il resto, è tutto nella mia immaginazione.

È tutto qui dentro.

A me piace.
Mi invento associazioni e somiglianze.
Anche quando conosco una nuova persona, nel giro di pochi minuti il mio cervello la abbina ad una che già conosco. Il modo di gesticolare, la forma del naso, la risata, la camminata, lo sguardo, il modo di commentare e la forma dei piedi.
Vai a capire…
Anche lì.

La mente di per se è un mondo incomprensibile, ma la mia deve esserlo all’ennesima potenza. Facciamo al cubo, dai.

Mente di Erica = (mondo incomprensibile)³

Un’equazione apparentemente semplice ma che nemmeno il più bravo dei matematici potrebbe risolvere. Sì perché la mia mente la conosco solo io, nessun altro. Ne tantomeno è possibile verificare quell’uguaglianza che oltre ad identificare la mia mente, delinea un mondo incomprensibile elevato al cubo. Impossibile.
Sono diventata gelosa di lei, la proteggo e la tutelo. La faccio crescere e l’accudisco, promettendole ogni giorno di lasciarla libera di esprimersi.
Lei mi ringrazia offrendomi molta creatività, servendomi su piatti d’argento testi e parole, associazioni strane come quelle di cui ti parlavo poco fa e tanti pensieri lunghi e profondi.
Abbiamo un buon rapporto. Non devo metterle vincoli ne paletti, non devo essere oppressiva e stressante, non devo dirle di pensare sempre alle stesse cose o a monotoni pensieri che le danno pesantezza.

Se mi comporto bene, ogni giorno mi regala emozioni. Mi fa ridere, mi fa piangere e mi carica di motivazione. Mi stimola, mi fa ragionare e quando mi voglio divertire, me lo fa fare con intelligenza. Mi rende simpatica, comprensiva, aperta al nuovo e predisposta al dialogo.

Se però non rispetto i patti, diventa cattiva.
Inizia ad allontanarsi da me, mi lascia sola e spesata. Disorientata, persa. Non mi guida e non mi sostiene, non mi da niente.
Poche sono le volte in cui mi sono sentita abbandonata ma le ricordo bene, chiaramente.
Si è ribellata perché non l’ho ascoltata, non l’ho capita, non l’ho protetta, non l’ho assecondata, non l’ho seguita ma soprattutto non le ho dato il tempo di cui necessitava.

Lei conosce il tempo. Lei è saggia e paziente.

Ora credo che abbiamo trovato un buon compromesso, un punto di equilibrio. La sento pacifica e serena, mi fa dormire bene la notte e mi fa ridere, tanto!
In questi giorni di temperature pazze e imprevedibili, una leggera sinusite mi sta facendo tribulare. Fortuna che c’è lei! Mi dice che devo riposare, mi devo curare ma senza preoccuparmi. Non è nulla di grave. Passerà.

Così dice!

Ascoltiamola!

🙂

Sono felice di averla come amica, lei è unica, potrebbe somigliare solo a se stessa e potrebbe ricordarmi nessun’altra se non lei. Fa parte di me e solo la pazzia me la potrebbe portare via. Una maledetta pazzia.

Io le sono infinitamente grata e poi è sincera, su di lei posso sempre contare. Tra le due, la bugiarda potrei essere solo io.

O no?

Perché la Mente, non Mente.

🙂

Dai… Fattela una risata.

Erica, anzi Atmosferica.

Grazie Vita.

Sto tornando da Coogee.
Non voglio aspettare di arrivare a casa per scrivere perché devo fissare queste sensazioni adesso. Ora. Sul bus M50.
Dopo il lavoro, verso le due di pomeriggio, ho deciso bene di andare verso il mare. Ero già stata a Coogee in un pomeriggio nervoso e confuso, oggi avevo la serenità di ritornarci.
Già l’altra volta, avevo visto una scuola di Yoga, proprio lì, affacciata sul mare.
Una grande vetrata dava sull’oceano e sempre in modo confuso avevo pensato che sarebbe stato bello provare, salire quelle scale e chiedere informazioni.
Beh, non ero entrata. Non ero pronta.

Oggi, sono andata con l’intenzione di capire se stavo davvero meglio. Volevo vedere lo stesso mare e la stessa spiaggia, volevo riportarmi davanti alla stessa scuola e capire se davvero mi sentivo meglio. Più predisposta insomma.

Sono arrivata verso le tre e trenta, una mezz’ora di bus è passata leggera con le canzoni di Mengoni a tenermi compagnia. Caro Marco, sei ormai la colonna sonora dei miei viaggi. I pensieri erano leggeri. Stavo bene.

Mi sono rilassata per un po’ sul prato verde a ridosso della spiaggia, guardavo l’orizzonte e nel frattempo constatavo che ero in equilibrio con la vita. Una pace profonda e una calma piatta.

Ho ringraziato me stessa. Ero tornata dove dovevo tornare.
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Devi sapere che sono sempre frizzante e molto spesso vorrei riuscire a incanalare la mia energia senza disperderla in modo sbagliato o senza trattenerla nello stomaco.
La parola “Yoga” è volata alle mie orecchie più volte negli ultimi giorni, questa disciplina mi ha sempre incuriosita ma credo di non essere mai stata pronta.

Fino ad oggi.

È così che mi sono avvicinata alla scuola, un edificio verde su due piani. Sulla parete all’esterno sono riportati in maniera ordinata, originale e chiara gli orari di tutti i corsi. Gesso bianco su uno sfondo nero.
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Alle 17 sarebbe iniziata la lezione per principianti. Era il mio momento. Una voce silenziosa mi ha invitato ad entrare e in pochi secondi mi sono trovata dentro. Profumo e pace.

Quella vetrata che dava sul mare era come una visione perfetta. Quando mi immaginavo una sala dove praticare Yoga, non dico che sognavo proprio quella visione ma quasi.
Il mare, il sole, un parquet chiaro e cuscini a volontà.
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La maestra era, anzi, è una ragazza bionda e giovane. Il suo accento australiano era stranamente comprensibile e ben scandito. Seguivo le sue istruzioni partendo dalla respirazione.
Fondamentale nello Yoga e nella vita.

Posizioni faticose ma rilassanti mi distendevano i muscoli, le braccia facevano forza ma il corpo ringraziava. Lasciavo entrare l’energia da quella vetrata e la musica soft mi cullava. Rilassavo i polmoni e il collo, mi allungavo su quel tappetino blu.

Avevo bisogno di una guida, un’esperienza nuova. Pochi minuti sono bastati per entrare in un mondo tutto mio ma aperto all’ascolto.

Al concludersi della lezione, l’indicazione della maestra mi chiedeva di stare sdraiata con le braccia distese lungo i fianchi, i palmi rivolti verso l’alto e il collo rilassato.
Proprio in quel momento, quando la luce si è fatta soffusa, è arrivata lei che con le sue mani calde mi ha massaggiato le tempie.
Un profumo di olio essenziale mi è rimasto sulla pelle e mi è entrato nel naso.
Il sole stava salutando.
Un tocco magico. Giuro.
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Con le sue parole mi ha fatto concentrare su ogni singola parte del mio corpo. Dovevo liberare ogni tensione e sciogliere ogni nodo.
Piedi, caviglie, gambe, fianchi, pancia, petto, collo, braccia, mani, dita.
Con gli occhi chiusi dovevo sentire il contatto con la terra e ascoltare il mio corpo e il suo equilibrio.

Era quello che cercavo.

Namastè e Grazie Vita.

Erica, anzi Atmosferica.

Di nuovo pronta.

Domenica pomeriggio.
Ricorderò tutto.
Ho catturato ogni immagine e profumo, gli uccelli parlavano e le persone si confidavano. Ho riempito le mie tasche di fotografie e passi.
Ora ti racconto. Ora ti faccio vedere.

🙂

Royal Botanic Gardens.
Oggi mi sono sentita pronta per andare.
Un parco, un angolo di pace, un ritrovo e un incontro.
Le persone siedono sul prato verde, la città guarda da lontano e la baia coccola la quiete. A due passi dalla Sydney Opera House, si aprono i cancelli dell’immenso giardino a ridosso del lago.
Ops, del mare.
Una distesa di erba curata dona acqua alle radici di alberi, ognuno con un nome, e ad aiuole colorate.
Come ti dicevo la città guarda da lontano, è silenziosa e per nulla invadente. Rispetta il suono della natura e la vedi solo se alzi lo sguardo, se vai oltre.
La pulita passeggiata in riva al lago, ops…al mare, separa l’acqua dalla terra e se ti volti, vedi la super costruzione di punte triangolari e subito attaccato il ponte.
Pare una montagna russa.

Ho visto…
Un padre che giocava con la figlia.
Due amiche sedute su una panchina di legno.
Amici che scattavano una foto di gruppo.
Lei passeggiava con il cane.
Lui sedeva sul prato con le gambe incrociate.
Un bimbo leccava un gelato a due gusti. Cioccolato e fragola. Aveva tutta la bocca impiastricciata.
Tre ragazze facevano Yoga su verdi materassini. Che posizioni strane.
Una famiglia indiana mi ha colpito. L’ho guardata passare.
Un anziano signore offriva briciole di pane a volatili di ogni tipo. Era solo.
Due innamorati si tenevano la mano, parlavano francese.
Il sole stava tramontando dietro ad un palazzo.
Il giardino era in ombra.
Un giovane ragazzo teneva tra le braccia suo figlio. Avrà avuto un mese di vita.
Lui stava sdraiato con gli occhi chiusi, l’altro leggeva un giornale.
Una ragazza bionda stava affacciata al muretto, guardava il lago… ops, il mare.
(Ero io forse?)
Pensavo a quante cose si possono fare.
Altri due innamorati correvano vicini, erano tedeschi.
Un bambino piangeva, credo fosse stanco di camminare.
Lei sedeva su un asciugamano rosso, leggeva un libro.
Loro passeggiavano in silenzio, forse dopo un litigio.

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Ho camminato tra le viuzze. Ho cercato un’uscita che non fosse l’entrata. Era grande e ad ogni bivio, un’indicazione. Quante indicazioni!
Scalini di cemento salivano verso la città, seguivo la torre dorata di Westfield. Ogni volta che non voglio perdermi, quella è una direzione sicura. Vicino a casa.

Avevo il fiato corto, ad un certo punto. Solo dopo l’ultimo scalino ho guardato verso l’alto.
Che giramento!

Sono arrivata a casa. Ero soddisfatta. Ad accogliermi un cielo infuocato voleva dirmi:
“Brava, esplora!”
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Sto ritrovando un equilibrio che avevo perso?
Sto imparando a conoscere attivamente con grinta?
Mi rendo conto che ora assorbo molto di più quel che vedo. Da quando sono a Sydney, avevo un po’ perso questa sensazione.

Era come se la bottiglia fosse piena fino all’orlo. Non trovavo spazio per altro.
Dopo un viaggio del genere, ci ho messo un po’ per tornare ad essere una spugna asciutta pronta ad assorbire, una bottiglia vuota pronta a contenere.

Di nuovo.

Erica, anzi Atmosferica.

Quella volta, mi premiò.

Hai sentito la mia mancanza ieri?

🙂

Devi scusarmi ma, appena uscita dal lavoro, era troppa la voglia di passeggiare per la città, tenere quel momento di sole solo mio, senza pensare a niente e nessuno. Avevo voglia di dedicare del tempo a me stessa e di fare quel che mi sentivo.

La promessa che mi sono fatta quando ho deciso di iniziare a scrivere, è stata una.

Essere sempre vera.

Sarebbe stato semplice buttare giù qualche riga ieri sera, una volta tornata a casa ma non ci avrei messo la concentrazione giusta e non ti avrei dato l’attenzione che meriti.

Dunque. Cheddire.
Il lavoro prosegue alla grande, ormai ho i miei orari e i miei impegni. Mi sto ambientando, sto prendendo manualità e mi sento sempre più leggera nel mantenere concentrazione. Capirai bene che i primi giorni sono sempre i più duri. Ho voluto assorbire come una spugna ogni insegnamento, critica, sguardo e battuta simpatica. I miei colleghi di lavoro sono molto amichevoli e solari ma, quando si tratta di lavorare, la serietà viene prima di tutto e ognuno di loro pretende e necessita di trovare in me un appoggio, una spalla.
Appurato ciò, basta agire di conseguenza.
Mi presento dieci minuti in anticipo ogni mattina (ore 6:50), preparo la mia postazione, mi assicuro che non manchi niente e alle 7:00 sono operativa al mille per mille.

Tra un toast e l’altro, tra una canzone canticchiata silenziosamente e uno scambio di risate, la mattinata passa e le ore di lavoro filano lisce. Molti sono i momenti di pienone in cui i lavoratori fanno la pausa caffè o passano per uno spuntino a metà mattina.
La clientela è seria e sofisticata, pretende un servizio di un certo tipo e a volte anche personalizzato.

Oggi Paola, la mia collega colombiana che lavora lì già da tempo, mi ha detto che piano piano dovrò acquisire dimestichezza con il menù e le varie tipologie di caffè in modo da essere in grado poi, di prendere anche gli ordini.

Nei prossimi giorni, quindi, “la ragazza dei toast” si improvviserà anche “cameriera”.

Oggi ho pensato a una cosa.
Sto riuscendo in ogni circostanza, a mantenere l’umiltà di chi vuole imparare. Questo paga sempre. Quando mi spiegano cose che non so, ascolto con attenzione e dimostro di mettere in pratica l’insegnamento alla prima occasione. Quando però, mi danno istruzioni su cose che già so fare, dentro di me penso…

“Senti, questo non me lo devi insegnare, già lo so!”

…Ma ovviamente non lo do a vedere!
🙂
Grande sorriso e “Sì” con la testa.
Grande sorriso e “Sì” con la testa.
E poi ancora…
Sorriso e “Sì” con la testa.

AHAHAHAHA

Eggià. Il modo migliore per essere accettati e ben accolti dai colleghi, in un nuovo posto di lavoro, è dimostrare voglia di imparare e consapevolezza di essere gli “ultimi arrivati”.
Se anche ciò che ti spiegano lo sai già, ascolta con attenzione ugualmente.
Quella persona potrebbe vedere del buono in te, potrebbe voler guarire le tue insicurezze, vorrebbe magari farti sentire a casa e non immaginerebbe mai che quella cosa te l’hanno già spiegata TRECENTO volte in TRECENTO ristoranti diversi.

Ci sono volte in cui, capisci di doverti attenere ad un modo di lavorare diverso da quello che hai sempre messo in pratica e considerato giusto. Potrebbero averti insegnato che i bicchieri si asciugano in quel modo, e invece…ora ti dicono che quel modo è sbagliato.
Potrebbero averti insegnato che i clienti si accolgono in una certa maniera, e invece…ora ti mostrano che il cliente si accoglie diversamente.
In un ambiente di lavoro ogni singola azione è studiata, soprattutto quando gli spazi sono piccoli e a vista. La pulizia è la prima cosa, l’ordine, la divisione dei compiti, la precisione, la delicatezza e il buon senso. Poi vengono il sorriso e la motivazione, la voglia di fare e di migliorare, l’umiltà di voler imparare anche se non si tratta del lavoro della vita.

Voglio sfruttare al massimo il periodo che mi rimane da vivere in questa città, voglio sentirmi a casa anche se sono di passaggio e voglio imparare, nonostante le mie aspirazioni lavorative siano rivolte verso altri campi.
Questo è il mio momento, questa è la mia Sydney e quando racconterò la mia esperienza, ricorderò che quella volta il manager mi fece i complimenti per come avevo lavorato.

Ricorderò che per farmi andare a casa felice, mi premiò a fine giornata con un croissant farcito con nutella e mandorle.

Erica, anzi Atmosferica.

Cronache di una domenica australiana.

Buongiorno!!

Ti scrivo dal primo pomeriggio di una domenica australiana.
Da pochi giorni mi sono trasferita al piano di sotto del letto a castello e mai come nelle ultime notti, mi sono fatta un paio di dormite pazzesche. Qui sotto ho la possibilità di creare una sorta di capanna, utilizzando coperte, per ripararmi dalla forte luce della mattina. Non esistono tapparelle e quando inizia a farsi giorno, gli occhi si strizzano come spugne. Ho iniziato a utilizzare la spiritosa mascherina per la notte che mi aveva simpaticamente regalato Jason al mio compleanno.
Che invenzione favolosa.
Che regalo intelligente.
Caro Jason.
Ora sono riparata e mi posso svegliare quando voglio o quando la sveglia suona ma non di certo per la luce chiara e fastidiosa.
Sarà stranissimo, un giorno, tornare a dormire al buio.
Buio totale.
Magari avrò paura.
🙂

Ah…
Lo sai che stanotte abbiamo spostato l’orologio un’ora indietro?
In pochi giorni siamo passati dalle dieci, alle otto ore di fuso. Questo mi piace. Dieci ore di differenza erano davvero tragiche per me, il giorno e la notte erano esattamente invertiti e per comunicare con chiunque, dovevo aspettare l’ora di pranzo italiana, nonché le undici di sera, mezzanotte.
Una tragedia!

Da domani inizierò a lavorare regolarmente. Ricoprirò ufficialmente i turni della ragazza cilena che è ripartita per il proseguo del suo viaggio. C’è chi si ferma e c’è chi riparte.
Sempre di viaggio si tratta.
Io sono proprio contenta di lavorare in quel Coffee Bar dall’atmosfera giovanile e musicale. Mi sento bene. Inizierò la mattina alle sette e concluderò il mio turno verso le due del pomeriggio. Un orario ottimo che mi permetterà di mantenere le mie abitudini, gli spazi per le mie scritture e avrò tutto il pomeriggio per fare la turista, la spesa, una passeggiata o un aperitivo.

Ieri sera sono uscita a divertirmi con i miei coinquilini. Due francesi, due colombiane e due brasiliani. Ho ballato, parlato, socializzato, ho passato una bella serata spensierata.
Stanotte ho sognato in inglese.
Oh Oh
Dicono che quando succede, significa che la lingua inizia ad ingranare, speriamo! Non ti parlo del contenuto del sogno perché ancora lo devo analizzare, ma comunque ricordo perfettamente che ero madrelingua inglese.
🙂

Sotto casa un ponte pedonale collega le due rive della baia. Quando barche troppo grandi devono accedere al piccolo golfo, la parte centrale del ponte si snoda ruotando su se stessa e apre un varco per permettere il loro ingresso. Il flusso dei passanti viene bloccato per qualche minuto da transenne, un po’ come accade al passaggio di un treno quando le rotaie tagliano la strada.
Semaforo rosso.
Pazienza.
Meglio spegnere il motore.

Queste sono le dinamiche che seguo dal balcone di casa.
È divertente!

Ogni sabato sera alle 21 parte puntuale lo spettacolo pirotecnico. I fuochi d’artificio sparano colori e luci tra la baia e il ponte esplodendo in fontane di stelle cadenti, scoppiettanti salici in chiusura e pioggia bianca.
Che è?
È sempre festa per voi?
IMG_7033Quando esco per le mie passeggiate, mi piace attraversare il ponte a qualsiasi ora del giorno e della notte.
È sempre molto suggestivo.

Stava per farsi sera, il sole era basso e camminavo con la luce negli occhi. Non vedevo molto, ero come abbagliata. Dal Futuro. Le bandiere segnavano la strada ma per il resto, troppa luce!
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Allora, per riposare la vista mi sono girata, alle mie spalle era tutto chiaro, nitido e illuminato. Era bellissimo. Il Passato.
Lassù c’era anche casa mia.
IMG_6987.largeErica, anzi Atmosferica.

“Hi, how are ya?!”

Oggi vorrei affrontare il delicato argomento del
“Hi, how are ya?!” australiano.

È il loro modo di presentarsi, introdursi, salutarti, accoglierti o farti sentire a tuo agio. Letteralmente significa “Ciao, come stai?!”.
Fino a qui tutto normale starai pensando. Nulla di strano. Nulla di nuovo.

Io credo che di normale non ci sia poi molto e se devo dirla tutta, la cosa sta iniziando a darmi fastidio. La trovo un’esclamazione finta, una frase fatta, mai personalizzata, mai rivolta davvero a me. Inizialmente cercavo di prenderla ironicamente, cercavo di accogliere una nuova cultura, un nuovo punto di vista e una nuova prospettiva. Qui dove tutti dicono sia la terra dei sorrisi per strada e della popolazione più socievole al mondo, ho sempre provato a miscelarmi tra usanze e nuovi costumi, tra i modi di dire e di parlare.

Però qui si tratta di una questione più fragile.

Se vai alla cassa per pagare due banane e un pacco di pasta, se prendi l’ascensore e incontri accidentalmente uno sconosciuto, se ti scontri per caso con un passante o se vuoi ordinare un cappuccino take-away, sappi che la prima cosa che ti verrà detta è: “Hi, how are ya?!”.

Ma poi perché devono dire “Ya” al posto di “You”?

Molte volte mi sarebbe piaciuto rispondere in modo inaspettato. In tante occasioni avrei potuto sorprendere il mio interlocutore, ma non l’ho ancora fatto. Avrei potuto esclamare un italianissimo “Ciao caro, tutto regolare, grazie mille!”.

Lo faccio eh, prima o poi lo faccio.

Durante i primi mesi, non riuscivo a gestire la novità tanto da trovarmi in difficoltà. Non sapevo cosa rispondere. Non riuscivo a capire se le persone me lo dicessero perché realmente volessero sapere se stavo bene, o se me lo dicessero solo così, giusto per aggiungere quelle tre parole ad un semplice e banale “Hi!”.

Ma dico io…
Cari miei…
Vi chiedo gentilmente di dirmi una volta per tutte, quale dovrebbe essere la risposta corretta, il modo per uscirne serena senza diventare paonazza cadendo in un abissale imbarazzo. Eh si perché le ho provate tutte. Ho provato a rispondere con un “Fine thanks!”… della serie “Sto bene, grazie!”, ho provato ad esibire un abbagliante sorriso che potesse depistare eventuali brutte impressioni, ho risposto anche “Fine thanks, and you?” ovvero… “Sto bene grazie, e tu?”..
Ecco.
Errore.
Errore clamoroso.
Se vuoi essere talmente gentile da ricambiare l’attenzione, la tua domanda non verrà minimamente presa in considerazione. Non riceverai risposta. Come sono abituati a porre la domanda, sono altrettanto abituati a non rispondere alla risposta. Tu rimarrai così, come un ebete, ad aspettare che la persona in questione ti dia velocemente il resto che stai aspettando o che sparisca dalla tua vista nel minor tempo possibile in modo da tornare a sentirti tranquillo e in pace con te stesso.

🙂

Per sentirmi pronta e mai più indecisa, ho stabilito quale sarà la mia risposta. Quando un qualsiasi sconosciuto mi dirà: “Hi, how are ya?!”
…io esordirò decisa con un…

“Fine, thank you very much!”.

“Sto bene, grazie mille davvero!”

Ci aggiungo il VERY MUCH, in modo da dimostrare la mia riconoscenza a chiunque si stia informando sulla mia salute e stato mentale. Non aggiungerò altro però, da oggi non dirò una parola di più anche perché loro non se la aspettano e non è determinante per fargli credere che tu sia o meno una persona educata.

Se dovrà nascere la più interessante conversazione della vita, non avrà bisogno di una risposta fatta per liberare le anime al dialogo.
O no?
Mi sembra di avere sempre un’espressione accogliente, due occhi più socievoli di un finto “Ciao, come stai?” e pronti a captare qualsiasi stimolo esterno, anche quello che potrebbe arrivare da un qualsiasi passante, anche quello che potrebbe cambiarmi la vita senza introdursi con un banale “Hi, how are ya?!”.

Erica, anzi Atmosferica.

Ora posso cantare vittoria.

Ora posso cantare vittoria.

Negli ultimi giorni varie vicissitudini, mi hanno sballottata da una parte all’altra della città vedendomi protagonista di ben tre prove di lavoro in tre posti diversi.
Un cinema!
La contentezza e la sorpresa di ricevere una telefonata da un datore di lavoro che non sai se sarà il tuo, se sarà lui, tanti fattori che giocano nella maturazione della convinzione di voler davvero quel posto, di sentirti giusta per quel tipo di mansione, con quei colleghi e nuovi compagni di avventura.

Perché è così no?
Un ambiente in cui passerai gran parte delle tue giornate, deve piacerti e farti stare bene, deve metterti a tuo agio e trasmetterti energia positiva, deve vestirti, deve far uscire il tuo carattere e la tua migliore personalità. Deve rispecchiarti. Non ho mai sopportato situazioni di tensione, competizione o stress, è giusto andare al lavoro con il sorriso e svegliarsi carichi per affrontare l’ennesima giornata al servizio degli altri.

Ti avevo parlato di quel posticino che è proprio una “chicca”.
Beh, dopo una prova di tre ore, il gestore mi aveva detto che sarei stata confermata per tre giorni a settimana. Al momento avevo accettato, ero arrivata da pochissimo e non avevo altre alternative.
Ora, dopo una settimana movimentata e decisiva, in cui le vacanze di Pasqua hanno messo in pausa anche quell’attività, mi trovo a dover dire “No” al piccolo bar gestito dai due giovani ragazzi italiani.

Il destino e tutto ciò che accade sempre per un motivo, mi hanno fatto incontrare Antonio. Ricordi? Lui mi ha indirizzato in un paio di zone della città dove avrei potuto sentirmi a mio agio in ristoranti dal profilo semplice e non troppo sofisticato come quelli di Darling Harbour o Elisabeth Quay. È proprio da quelle parti che la Pizzeria Via Napoli, ha attirato la mia attenzione. Una prova di un paio d’ore anche lì, è andata bene. Colleghi connazionali, un solo ragazzo inglese e per il resto un ambiente molto veloce, dinamico, pieno di gente, italiano fino al midollo e molto solare. Mi piaceva ma non abbastanza.

L’idea di lavorare in un ristorante italiano, iniziava a pesarmi ancora prima di vederla realizzata pienamente. Il mio sesto senso quel giorno mi aveva fatto entrare lì perché avevo bisogno di calore, dialetto meridionale e aria di casa. Dopo la prova, sono tornata ad aver bisogno di sfida, situazioni straniere, stimolanti e meno coccolose.

È così che Antonio, sempre lui, mi dice che al bar dove lavora una sua amica, stanno cercando personale. Questa sarebbe stata la soluzione ideale. Lavorare la mattina presto, per le colazioni, tra irlandesi, cileni, colombiani, tedeschi e australiani, dietro a un banco e non correndo tra tavoli e pizze troppo calde.
La prova al Table Sixty, è stata quella decisiva.
Si trova dietro a casa mia in Carrington Street, tre minuti a piedi, il bar fa parte di un elegante ristorante che occupa il piano terra di un edificio centrale. Lì fuori tante sono le fermate dei bus ed è per tanti un punto di passaggio prima di entrare in ufficio.

Finalmente non ho più pensieri preoccupati, da domani lavorerò dal lunedì al venerdì, il locale è chiuso nel weekend.
Ogni giorno mi sono chiesta tempo, il lavoro che cercavo sarebbe arrivato e anche se si tratta di un breve periodo, lo meritavo.

Io sono la ragazza dei toast e sto tirando un enorme sospiro di sollievo.
Questo era il cielo alle sette meno un quarto, stamattina, appena uscita di casa. Un raggio di luce, un alberello autunnale e tanta, tanta, voglia di lavorare.

Erica, anzi Atmosferica.

Il giorno e la notte.

Sydney sa cambiare vesti, sa essere sportiva e veloce di giorno ed elegante e romantica di notte. Ci sto mettendo un po’ a conoscerla, proprio come accade con le persone. Vietato giudicare al primo impatto, prima di trarre conclusioni affrettate, bisogna andare a fondo. Ci vuole tempo e curiosità.

Così sto facendo. Sto conoscendo ogni giorno qualcosa in più e varie situazioni mi stanno portando a spingermi al di fuori del centro della città, la quale sembra davvero non avere fine. È enorme, il mare scava migliaia di insenature nella baia e numerosi ponti collegano i disordinati pezzi di terra. L’altro giorno ho preso un bus che per portarmi nella zona di Hunters Hill, ha attraversato tre ponti nel giro di otto chilometri.

E quando pensi ai ponti, immaginali pure giganti.
Ti do il permesso di pensare in grande.

🙂

Quello che ho capito, è che Sydney è molto versatile e camaleontica. Si adatta ad ogni umore e circostanza e non è sempre incasinata, fitta e rumorosa come potresti pensare.
Sai, questa foto l’ho scattata proprio vicino a casa. Quello che vedi è il Sydney Town Hall, uno dei più importanti edifici della città.
No, non è una chiesa, è il municipio.
🙂
Ho adorato quelle luci dorate che hanno saputo donarmi quiete e magia, al centro di un incrocio trafficato verso sera. Sydney non si spegne mai, non ho ancora visto e vissuto la notte fonda e profonda, ma questa è l’idea che mi da. Non si stanca, ha sempre le batterie cariche ma sa dove ricercare pace, relax ed energia nuova.

Qui dove abito io, i rumori dei lavori in corso non si prendono nemmeno la pausa pranzo, traghetti e ristoranti galleggianti trasportano turisti a tutte le ore e se non c’è la luce del giorno, i palazzi sono illuminati. Sempre. I grattacieli sono il simbolo della vita di Sydney, non dorme mai.

Quando cammino per la strada, mi piace buttare l’occhio negli stessi riquadri, dalle stesse angolazioni e, al variare della fascia oraria, luci e sensazioni non sono mai le stesse. Posso farti vedere questa foto, ecco. Stesso incrocio, stessa costruzione decorata dallo stile vittoriano che vedi in copertina, ma per il resto è tutto diverso.
Anche l’aria che si respira, te lo garantisco.

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Adoro le due foto.
Le ho scattate in due giornate diverse, con due umori diversi.
Quello scorcio è pazzesco.
Sia con il cielo grigio della sera, che con il cielo azzurro della mattina. Non perché raffigura uno dei protagonisti dello skyline di Sydney, ma proprio perché è magico.

Mi piace notare le differenze. Quando il cielo è ancora piuttosto chiaro, luminarie nascoste nelle insenature di maestosi edifici, si accendono e creano ombre rilassanti. Sto a guardare, mi lascio abbagliare, chi non lo farebbe. I semafori non disturbano, non stonano.

La gente per la strada è sempre diversa. Posso dirti che è molto sportiva e dinamica, veloce e atletica. Molti vanno al lavoro in tenuta ginnica, in bicicletta o di corsa. Tanti camminano a passo spedito in giacca e cravatta con la ventiquattrore nella mano destra e la borsa della palestra in quella sinistra. Già alle sette della mattina gli ingranaggi girano alla perfezione. Piccoli e grandi bar si affacciano ai marciapiedi, il caffè take-away va per la maggiore, ma non l’Espresso. Il più piccolo è il cappuccino. Hanno l’usanza e l’abitudine di consumare la colazione camminando, vetrine calde e appena sfornate, mostrano puncake, tortine, muffin e ciambelle di ogni gusto, ma pochi si fermano a mangiare.

Alle sette di sera, invece, è il momento della ristorazione.

Uh, come lavorano i ristoranti. Sia nel centro che un po’ fuori centinaia sono i locali pieni di gente. Vietnamiti, thailandesi, cinesi, giapponesi, malesiani e italiani. Cucine di ogni genere fanno fumo e profumo nelle vie, tanti ristoranti si mettono in mostra attraverso grandi vetrate e menù pieni di figure ti invitano ad entrare.

Saranno questi i giorni decisivi.
Continuerò le mie osservazioni guardando attraverso la vetrina di muffin appena sfornati, o buttando veloci occhiate fuori dalla sala di un ristorante?

Ti farò sapere.

Erica, anzi Atmosferica.

Il quaderno dei “cosa farò da grande”

Ciao, come stai?
Qui oggi piove e il cielo è grigio e basso. Da quassù, dal 22esimo piano, mi sembra di essere più alta di lui. È ovviamente in giornate come queste che la malinconia viene a bussare alla porta, per cercare comprensione, calore e riparo dalla pioggia. Io la faccio entrare, non la lascerò mai fuori.
Se viene a cercarmi un motivo ci sarà.

Ho riaperto la busta dei ricordi, piena zeppa di biglietti e lettere che mi hanno lasciato le mie amiche prima di partire, la mia mamma. Leggo con curiosità quel che mi avevano dedicato quel giorno e penso a quante cose sono cambiate, a quanto sono cambiata io e a quanto siano stati tutti auguri pieni di energia positiva, tanto da sentire giorno dopo giorno la loro realizzazione.

Quello che leggo mi muove e mi smuove, mi commuove.
Mi rendo conto che questi pezzi di carta rappresentano per me una sicurezza, una scommessa, un bene prezioso, una certezza. Dico una scommessa perché, nel dichiararmi amore e nell’augurarmi buona fortuna, queste persone hanno visto del buono in quella partenza trasmettendomi una carica incredibile.

Ora ti scrivo qualche pensiero che oggi mi emoziona.
A parlare sono due amiche, due grandi amiche.

“…Ti scrivo questo pensiero per ricordarti che nei momenti più tristi, dall’altra parte del mondo ci sarò io…
Io che ti aspetterò…
Io che dire che ti voglio bene è poco…
Io che il tempo passato con te lo tengo nel mio cuore e nei miei pensieri di ogni giorno.

Con te se ne va un pezzo di me che spero però di ritrovare; di ritrovare cresciuto ma non diverso, spero di ritrovare la mia amica di sempre, spero che nei nostri abbracci continui ad esserci la magia, spero che non ti dimenticherai mai che io sono qui sempre per te.
…”

Lei mi ha fatto una grande sorpresa l’ultima sera in Italia. Ormai pensavo che non l’avrei più salutata e che non sarei riuscita ad annusare ancora una volta quella magia di cui parla. Beh, alla fine è arrivata e mi ha lasciato questo foglio di carta insieme ad un braccialetto. Per me stanno avendo un valore enorme.
In posti e momenti in cui tutto manca, banali oggetti diventano preziosi e assumono profumi, conservano ricordi.

“…Prenditi tutto quello di cui hai bisogno, tieniti tutte le cose belle che una vita piena come la tua ti ha regalato fin ora e…SPACCA TUTTO!
Il tempo ti darà risposte, gesti concreti e delusioni e solo così scoprirai ciò che potrai essere…

Intanto continua ad essere il sole per te stessa e per tutti quelli che incontrerai, così come lo sei stata per tutti quelli che hai incontrato e per me!
I WISH YOU, ALL THE BEST!”

Sai, lei mi è stata vicinissima ogni giorno. Prima che partissi mi ha anche regalato un piccolo quaderno.

Il quaderno dei “cosa farò da grande”

Ogni giorno lo guardo e solo negli ultimi mesi ho iniziato a scriverci qualcosa. Con calma. Piccoli e grandi desideri, obiettivi e progetti. Lo tratto con cura, ha delle pagine bianche e delicate. Quel nastro rosso, richiama Amore e Passione. Due ingredienti che non mancheranno mai nella mia vita e nella realizzazione dei miei sogni.

Come ben sai, non posso confidarti i miei segreti. Per scaramanzia devo custodirli gelosamente ma ti prometto che ce la metterò tutta per realizzarli e realizzarmi. Sarò forte, entusiasta, determinata, energica e positiva. Voglio diventare grande.

Ma grande grande.

Erica, anzi Atmosferica.

Il libro della vita.

Oggi vorrei affrontare il tema della “Lontananza”.

Vorrei parlare del potere chiarificatore che sta avendo sulla mia persona, sulla mia mente, sulla mia anima. La decisione di partire e portarmi così distante da Casa, è stata sicuramente una scelta pensata che sapevo mi avrebbe dato tanto, scavato dentro e fatto capire quali sono le persone importanti, quali le esperienze che mi hanno davvero fatta crescere, che mi hanno cambiata e resa più consapevole.

Il viaggio è una ricerca, un cambiamento cercato e un punto di svolta. In un breve periodo di vita, in un lasso di tempo stabilito o quasi, la persona che parte diventa un’altra, l’anima che si evolve si trova a non rispecchiarsi più in ciò che era e tutti i nodi vengono al pettine. Ma proprio tutti!

Il viaggio ti mette di fronte agli ostacoli fino a quel momento ignorati per paura o pigrizia, ti aiuta a creare due grandi insiemi chiamati “Vero” e “Falso”, oppure “Importante” e “Non importante”, e poi ancora “Primario” e “Secondario”.

Portandomi lontana migliaia di chilometri, ho riempito questi grandi sacchetti e collocato nel posto giusto persone, ricordi, esperienze e pensieri. Sono riuscita soprattuto a capire chi sono io e cosa vorrei da questa vita, per cosa vorrei combattere e a cosa vorrei puntare per arrivare un giorno a sentirmi una persona soddisfatta. Orgogliosa.

La “Lontananza” è una lente di ingrandimento. Ho posizionato nella scatola dell’ “Importante” delusioni e dispiaceri perché è solo grazie a questi che sono oggi più consapevole e positiva, coraggiosa e Donna. Ho gettato tante persone nel “Secondario” e tante inutili promesse nel “Falso”.

La cosa certa è che ad ogni bivio, andrò nella direzione del “Vero”, dell’ “Importante” e del “Primario”. Non farò più scelte poco pensate o avventate, non regalerò nulla a chi non merita e non mi ostinerò a cercare verità nel “Falso”.

Il “Secondario” sarà sempre presente anche perché senza quello non esisterebbe il “Primario” ma ciò che è sicuro, è che ora ho la lucidità di identificarlo e di metterlo in secondo piano. L’ “Importante” farà da linea guida nelle Amicizie, nei Valori, nella Famiglia e nel Sacrificio. Quello è essenziale per comprendere il “Vero” e il “Primario”.

Sono grandi insiemi in cui ognuno può trovarci dentro qualsiasi persona, decisione, sentimento o emozione. Deve avvenire tutto con estrema semplicità e naturalezza, altri due atteggiamenti fondamentali per una buona riuscita. Una buona vita.

La “Lontananza” si può sperimentare in diversi modi. Non sta scritto da nessuna parte che sia sinonimo di “Chilometri”. Ci si può sentire lontani anche quando si è vicini, ci si può allontanare anche stando fermi. Il trucco sta tutto nell’ascoltarsi e capire quando è il momento di farlo. È importante ad un certo punto, fare i conti con quella che è la sfera più intima di ognuno di noi, è nascosta, è difficile e insidiosa. È importante andare a scavare, mettendo in stand-by tutti i condizionamenti esterni, influenze negative.

Parlando di me, posso dirvi che ero arrivata a un punto in cui non riuscivo più a distinguere il “Vero” dal “Falso”, mi trovavo a fronteggiare continuamente situazioni in cui solo dopo averci messo il cuore, capivo di averle sopravvalutate. Regalavo a chi non meritava e non davo abbastanza a chi mi chiedeva amore. L’ “Importante” si confondeva con il “Non Importante”, quest’ultimo faceva ombra in molte situazioni e non sopportavo critiche, consigli e opinioni in contrasto con le mie. Volevo fare tutto di testa mia, raramente ascoltavo chi vedeva dal fuori e giudicava “Secondario” qualcosa per me in quel momento “Primario”.

Ho voluto segnare un punto netto nella mia storia. Ripartire da zero. Non sono scappata, tutta la mia vita è comunque ancora scritta nel mio libro e passo dopo passo, capitolo dopo capitolo, mi sono presa il tempo per rileggere tutto, per elaborare da lontano, per giudicare i miei comportamenti e le mie decisioni nel tempo. Ho riletto tutto con molta calma, ho trovato errori di punteggiatura, frasi senza un senso e discorsi lasciati a metà. Ho corretto tutto con una bella penna rossa, ho voluto interpretare le frasi sconnesse da tutto il resto e mi sono ripromessa di concludere quei discorsi. Le Amicizie le ho cerchiate in verde. Sono poche. Quelle giuste.

Alcuni paragrafi hanno meritato una lettura più profonda. Le parole andavano oltre, il significato era solo mio e forse sarà per sempre tale. Ho capito che è giusto avere dei segreti, purché facciano parte del “Vero”, dell’ “Importante” o del “Primario”. Custodirò le mie verità nel cuore e deciderò di confidarle solo a chi saprà leggere la mia essenza.

Un giorno, dopo una grande delusione amorosa, il mio papà mi ha detto una cosa:

“Tu sei come una perla preziosa, chiusa nella tua conchiglia. Sarai tu a decidere quando schiudere le tue protezioni. Mi raccomando però, dovrai decidere di donarti solo a chi sarà consapevole del tuo valore e del gioiello che avrà tra le mani.”

Erica, anzi Atmosferica.