Anche questa volta.

Di ritorno da Palm Beach, abbiamo il naso fresco e i piedi ancora umidi. Il sole batte basso sui vetri del pullman e sono solo le sedici. È stata un’idea carina quella di venire oggi nella penisola a forma di Palma che si allunga nel mare a nord di Sydney.

Un mercatino domenicale ci ha dato il benvenuto, era l’ora di pranzo e alcune particolarità cuocevano a fuoco lento. Altre bancarelle esponevano bigiotteria artigianale e quelle più banali vestiti a fantasia colorata. Una bella atmosfera e subito la decisione di chiudere il buchino con una fetta di torta turca. Non ricordo il nome perché era troppo strano ma ho bene in mente la somiglianza con la Torta Salata della mamma.
Conteneva spinaci e pollo, era soffice e una spruzzatina di limone è stata il tocco magico.

Il prato, come al solito curato alla perfezione, stava a ridosso della spiaggia e la voglia di osservare il mare da lì ci ha distesi rilassati. Musica nelle casse, un libro per Ilaria, il sole tiepido e l’arietta fresca.

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Più tardi, dopo un pisolo di qualche minuto, ci siamo incamminati sulla spiaggia. Abbiamo deciso di procedere verso la parte destra, là dove gli scogli entravano nell’oceano e le onde spruzzavano potenza. Una passeggiata sulla riva umida, Luca giocava con l’acqua bagnandosi i piedi, io osservavo e fotografavo. Ilaria camminava per prima, lasciando le sue impronte nella sabbia color biscotto.

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Laggiù dove il rumore del mare creava schiuma, saltellare sulle rocce è stato divertente. Un giusto impegno concentrato per poi apprezzare il mare aperto, per arrivare in quel punto più vicino all’orizzonte.
Chissà poi perché…

Perche questa voglia di toccare una linea inesistente?

Il punto più sporgente è sempre quello che mi da soddisfazione, mi regala racconti e voli di gabbiani. C’era anche un uomo che volava. Era un deltaplano penso.
Ilaria lo guardava affascinata come se fosse qualcosa di mai visto, Luca, meno assopito, chiedeva come avrebbe fatto a fermarsi, a planare.

Sul mare?

In quel magico punto, il mare aveva il suo ritmo. A volte urlava e altre cantava. Parlava.
Seguivo la schiuma che forse copriva la roccia, forse no. Rimaneva a galla.
Ero ipnotizzata ma non ero salva, quasi quasi mi bagnava. Ogni tanto scherzava.

Ora siamo di ritorno, con la faccia un po’ stravolta.
Eravamo di passaggio anche questa volta.

Erica, anzi Atmosferica.

Di nuovo pronta.

Domenica pomeriggio.
Ricorderò tutto.
Ho catturato ogni immagine e profumo, gli uccelli parlavano e le persone si confidavano. Ho riempito le mie tasche di fotografie e passi.
Ora ti racconto. Ora ti faccio vedere.

🙂

Royal Botanic Gardens.
Oggi mi sono sentita pronta per andare.
Un parco, un angolo di pace, un ritrovo e un incontro.
Le persone siedono sul prato verde, la città guarda da lontano e la baia coccola la quiete. A due passi dalla Sydney Opera House, si aprono i cancelli dell’immenso giardino a ridosso del lago.
Ops, del mare.
Una distesa di erba curata dona acqua alle radici di alberi, ognuno con un nome, e ad aiuole colorate.
Come ti dicevo la città guarda da lontano, è silenziosa e per nulla invadente. Rispetta il suono della natura e la vedi solo se alzi lo sguardo, se vai oltre.
La pulita passeggiata in riva al lago, ops…al mare, separa l’acqua dalla terra e se ti volti, vedi la super costruzione di punte triangolari e subito attaccato il ponte.
Pare una montagna russa.

Ho visto…
Un padre che giocava con la figlia.
Due amiche sedute su una panchina di legno.
Amici che scattavano una foto di gruppo.
Lei passeggiava con il cane.
Lui sedeva sul prato con le gambe incrociate.
Un bimbo leccava un gelato a due gusti. Cioccolato e fragola. Aveva tutta la bocca impiastricciata.
Tre ragazze facevano Yoga su verdi materassini. Che posizioni strane.
Una famiglia indiana mi ha colpito. L’ho guardata passare.
Un anziano signore offriva briciole di pane a volatili di ogni tipo. Era solo.
Due innamorati si tenevano la mano, parlavano francese.
Il sole stava tramontando dietro ad un palazzo.
Il giardino era in ombra.
Un giovane ragazzo teneva tra le braccia suo figlio. Avrà avuto un mese di vita.
Lui stava sdraiato con gli occhi chiusi, l’altro leggeva un giornale.
Una ragazza bionda stava affacciata al muretto, guardava il lago… ops, il mare.
(Ero io forse?)
Pensavo a quante cose si possono fare.
Altri due innamorati correvano vicini, erano tedeschi.
Un bambino piangeva, credo fosse stanco di camminare.
Lei sedeva su un asciugamano rosso, leggeva un libro.
Loro passeggiavano in silenzio, forse dopo un litigio.

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Ho camminato tra le viuzze. Ho cercato un’uscita che non fosse l’entrata. Era grande e ad ogni bivio, un’indicazione. Quante indicazioni!
Scalini di cemento salivano verso la città, seguivo la torre dorata di Westfield. Ogni volta che non voglio perdermi, quella è una direzione sicura. Vicino a casa.

Avevo il fiato corto, ad un certo punto. Solo dopo l’ultimo scalino ho guardato verso l’alto.
Che giramento!

Sono arrivata a casa. Ero soddisfatta. Ad accogliermi un cielo infuocato voleva dirmi:
“Brava, esplora!”
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Sto ritrovando un equilibrio che avevo perso?
Sto imparando a conoscere attivamente con grinta?
Mi rendo conto che ora assorbo molto di più quel che vedo. Da quando sono a Sydney, avevo un po’ perso questa sensazione.

Era come se la bottiglia fosse piena fino all’orlo. Non trovavo spazio per altro.
Dopo un viaggio del genere, ci ho messo un po’ per tornare ad essere una spugna asciutta pronta ad assorbire, una bottiglia vuota pronta a contenere.

Di nuovo.

Erica, anzi Atmosferica.