Koh Phangan e il “COME MAI?”

Inizio con una canzone.
Ho chiesto ad Ilaria un titolo, un suggerimento, un modo per rilassare i pensieri e rallentare la loro corsa. Ilaria, dall’Australia mi ha capita e mi ha ispirata, ha stimolato la mia creatività bloccando ogni immaginazione galoppante priva di senso.
Adesso.

Ti chiedo di ascoltare.
Clicca qui e viaggia con me.

Spirit Bird – Xavier Rudd


Ieri ho lasciato l’isola di Koh Phangan.
Un piccolo punto in mezzo al mare che ai miei occhi pare così grande, colorato nonostante il tempo nuvoloso e grigio degli ultimi giorni.
Dal traghetto la guardavo allontanarsi, avevo i piedi a penzoloni nel vuoto e osservavo le onde schiumose che si formavano al passaggio della nave, al mio saluto. Mi sono chiusa nelle mie cuffie e non ho smesso di guardarla un solo secondo, ero dispiaciuta.
La vedo anche da qui, dall’isola di Koh Samui.

Non ho chiesto niente a Koh Phangan.
Mi sono abbandonata a lei lasciandomi coccolare e aprendomi a chi meritava, a chi mi incuriosiva.
Quanto è stata dolce, quanto mi ha capita.

A partire dal tramonto della prima sera, che ricordo colorato e romantico, passando per il ritiro spirituale, indescrivibile, arrivando poi all’ultima settimana piena di sorprese e persone che hanno lasciato il segno.

Potrei parlarti di lei elencandoti le spiagge più belle, le cascate, i templi, le zone da non perdere o quelle in cui non c’è la bassa marea per gran parte della giornata.
Potrei, ma non lo faccio.
Non ho avuto un approccio turistico, non ho riempito la mia agenda cercando di non perdere tempo e bellissimi posti. Non ho vissuto così. Mi sono trattenuta più giorni di una normale vacanza per cercare di entrare nella realtà, per capire come vivono gli isolani. Volevo conoscere le verità tra le strade a volte nemmeno asfaltate, volevo scavare tra le macerie e entrare più volte nelle loro case, con i miei occhi.

Ogni giorno percorrevo un pezzo di strada a piedi, passavo davanti alle traballanti costruzioni di lamiera che si affacciavano sulla strada. Buttavo dentro lo sguardo e cercavo, giorno dopo giorno, di seguire la storia, di vivere la loro routine, la loro semplice vita. Molte di quelle stanze aperte al pubblico, erano negozio e casa, lavanderia e casa, “ristorante” e casa. Molto spesso una parete separava la parte visibile, da quella privata.
La camera da letto.
Nonostante tutto, la serenità a la pace che usciva da quegli angoli disordinati e sporchi era incredibile. Giuro.
È diventata ancora più incredibile quando, passando di lì, ho iniziato a ricevere saluti pieni di sorrisi. Un semplice “ciao” che mi faceva sentire a casa. Sono certa che iniziavano a chiedersi se fossi diventata una nuova abitante dell’isola.
Mi sentivo accolta.

Proprio questo volevo.
Volevo capire in che modo si rapportano con i turisti, tutte persone che non trascorrono sull’isola più di cinque, sei giorni. Nei dintorni ci sono altre spiagge, altri paesaggi, su altre isole.

Ogni volta che dicevo che sarei rimasta per più di dieci giorni, ritiro spirituale escluso, ricevevo risposte di stupore.

“Come mai così tanto?”

Beh, ora forse mi sono spiegata.
Vivere tranquillamente una nuova realtà, ecco qual è il “COME MAI”!
Cosa si capisce in cinque giorni?

Nessuno si ferma, nessuno vuole capire. Tutti vogliono vedere e scattare fotografie. Tutti vogliono condividere senza realmente vivere. Non tutti, molti, vogliono dire di essere stati a Koh Phangan solo per il gusto di aggiungere una puntina colorata sulla cartina geografica del mondo.


“Dove sei stato in vacanza?”

“Sull’isola di Koh Phangan, Thailandia.”

“Bella?”

“Bellissima! Spiagge stupende, acqua spettacolare!”

FINE DEL DIALOGO.


Ecco.
Quando parlerò di Koh Phangan, avrò altro da dire.
E sono felice.
Ho respirato l’aria del Full Moon Party appena uscita dal ritiro spirituale, che delirio! Ho socializzato con Thailandia, Italia, Canada, Irlanda, Lettonia, Israele, Francia, Stati Uniti, Brasile, Svizzera…
Quante storie, quante parole!
L’Half Moon Party me lo sono goduta come se non ci fosse stato un domani.
Beh, il giorno dopo sarei partita davvero.
🙂
Ero con Pauline, la mia coinquilina di Sydney approdata sull’isola senza preavviso. È stato davvero strano e diverso rivederla in un altro contesto, in un’altra atmosfera.
Che storia la vita!

Ad ogni modo, penso che l’isola di Koh Phangan abbia avuto un particolare potere su di me e di conseguenza nelle persone con cui ho condiviso tempo e mare, vento e parole.
Ha fatto uscire la parte più vera, ha neutralizzato condizionamenti esterni rendendomi sciolta da tutto, slegata dal mondo ma totalmente innamorata ed abbandonata ad esso.

Non posso che ringraziarla per questa esperienza trasformante e dirle che sono tremendamente felice di averle dedicato tutti questi giorni.
Ecco qual è il “COME MAI”!

Erica, anzi Atmosferica.

Thailandia e libertà.

Sto entrando nella fase in cui quel che mi circonda è normale e ordinario ma, ieri, parlando con Valentina, mi sono come risvegliata. Ho realizzato che tutto questo fa parte di una realtà a molti sconosciuta e inimmaginabile.

Cercavo di raccontarle e di descriverle la Thailandia, attraverso questa fotografia scattata in un momento di osservazione. Alle sue domande mi veniva difficile rispondere cercando particolari e dettagli che potessero essermi di aiuto. Richiamavo alla mente persone e luoghi che chiamo “Thailandia”, che ho inserito in questa scatola durante i miei giorni qui.
Ho riportato alla mente questa fotografia e la sensazione che ho provato nell’immortalarla.
Gelo.
Anche se il termometro segnava 35 gradi umidi.
Credo che qui si possa vedere chiaramente, si possa leggere e capire.
Una foto che potrebbe essere paragonata ad un racconto. Ad una storia.

I cavi della corrente attorcigliati a formare una matassa di grovigli paurosi. Un disordine che urla ovunque, in ogni piccola cosa.
Casa.
Lo ritrovo in ogni angolo, nei cani abbandonati e nelle catapecchie di lamiera che si affacciano sulla strada. Un disordine che grida aiuto o voglia di ribellione, non lo so, non l’ho ancora capito. Forse è un disordine che parla semplicemente di “Thailndia”.

Un’intera famiglia su un motorino. Erano circa le due del pomeriggio, forse i genitori erano andati alla scuola a recuperare le due piccole creature. Sì, perché anche qui ci sono istituti che provvedono all’istruzione ma sorge spontanea una domanda: “Quali insegnamenti vengono trasmessi? Quali regole condivise?”

Mi piacerebbe per un giorno entrare a scuola, alla scuola elementare. Vorrei assistere ad una lezione, ascoltare le parole delle maestre e capire cosa significhi per loro “Insegnare” e di conseguenza “Andare a scuola”.
Vorrei entrare nella testa di genitori e bambini e capire in che misura tengano alla loro vita, alla loro unica esistenza.
Non voglio essere polemica e nemmeno aggressiva ma non riesco a comprendere questa filosofia di estrema libertà che va a sorpassare la linea di confine tra sicurezza e rischio, tra responsabilità e totale mancanza di essa.

Quando vedo immagini di questo genere esce inevitabilmente Papà. Parlo con le sue parole, ragiono con la sua testa.
Come può un’intera famiglia rischiare la vita su un pericolante e vecchio motorino?
Si potrebbe optare per due viaggi o almeno per quattro caschi. Un solo genitore dovrebbe andare a recuperare i figli, una persona in meno farebbe la differenza.

Poi però, forse, riesco ad immaginare la loro povertà, la loro casa e la loro realtà. Lei forse lava i panni per 50 BATH al chilo, lui forse vende pollo allo spiedo. Un motorino è un grande lusso per loro, un cambiamento sensazionale per la vita famigliare, per quella dei due piccoli. Un piccolo mezzo su due ruote che ha la capacità di unire e di farli volare assieme, di riempire i loro cuori di orgoglio perchè sì, sono riusciti a risparmiare per permettersi un motorino sgangherato. Giorno dopo giorno sono riusciti a raggiungere un grande obiettivo, tra l’immondizia puzzolente e ricchi turisti che non potrebbero mai capire.
Sì, forse il valore va al di là della responsabilità.
Forse l’amore se ne frega di tutto.

Poi, da questa parte, da questo lato della strada, “La pizzeria di Ale”. Un italiano sulla quarantina che nella vita sogna di fare il sindaco. Vive sull’isola di Koh Phangan da cinque anni, un posto che per lui prende il nome di “Libertà” e che si riflette nei suoi lunghi rasta raccolti in una matassa, proprio come i cavi dell’alta tensione.
Un cartello scritto a mano e costruito con poveri pezzi di carta, segnala il suo locale sul ciglio della strada. Una stanza con qualche tavolo e un pannello di plastica giallo appeso alla parete, il menù.
Osservavo tutto con molta attenzione e parlare con lui mi ha permesso di capire meglio. La provincia di Perugia gli ha messo troppi paletti, troppi conformismi, troppa poca libertà. Qui può respirare a pieni polmoni la vita, può campare con poco senza doversi preoccupare delle tasse e delle bollette. Parlare in italiano ha permesso a lui di sfogarsi sui più disparati temi che riguardano il nostro Paese, il mio, il suo. La politica, Papa Francesco, il nuovo sindaco di Roma e le sue esperienze nel consiglio comunale del paese di Provincia da cui proviene. Era come se non vedesse l’ora di parlarne con qualcuno, ho letto in lui quasi una frustrazione, lo ascoltavo.

Davanti a tanta voglia di libertà, ritrovo puntualmente un forte ed innegabile senso di appartenenza alla bandiera tricolore. Ho visto una nostalgia intensa e sofferente, ho percepito una grande voglia di sentirsi italiano e di teletrasportarsi per un momento nel mio mondo, meno thailandese del suo.

Che cos’è quindi la libertà?

Finisce per non essere più riconosciuta in un Paese come questo dove non c’è nulla da fare per essere liberi, perché tutto è fuori controllo. Tutto è già troppo libero.

Questo è forse il mondo in cui, saziata la voglia di libertà, scatta inevitabilmente l’esigenza di regole, di radici e famiglia, di cultura e storia, di mamma e di papà, di linee guida che fino a prova contraria ci hanno portato fino a qui, fino al punto in cui è impossibile farne a meno per essere davvero felici.

Erica, anzi Atmosferica.

Il mare che unisce.

È stato bello, ieri, uscire dal lavoro e vedere Luca e Ilaria. Erano lì fuori, sulla panchina del parchetto, aspettavano che finissi per andare insieme a Bondi Beach. La gita del giorno.

“Andiamo in spiaggia?”

La domanda di Luca mi ha fatto pensare a come per me sia normale poter avere il mare vicino e nei suoi occhi ho visto la voglia di vedere il mare. Non lo vedeva da tanto. A volte me ne dimentico.

Il bus 333, da Elisabeth Street, ci ha portati direttamente in riva e la folata di aria oceanica che ci ha travolti appena arrivati, li ha lasciati un po’ senza parole. Ho visto. Ho fatto attenzione.

Spesso non vivo la mia esperienza tramite i miei occhi ma attraverso quelli degli altri. È bello e mi piace notare espressioni, l’approccio e la reazione.

La spiaggia di Bondi si stendeva dorata davanti a noi e non faceva caldo. Ho seguito i loro spontanei movimenti e ci siamo portati alla riva dove le onde sbattevano e i surfisti si lanciavano combattenti pieni di sfida e passione. I gabbiani erano tanti e l’acqua molto fredda. Il cielo di un azzurro intenso e la sabbia umidiccia. Non ci importava.

Lasciandoci sempre trasportare dal momento ci siamo trovati seduti, gambe incrociate e zero teli mare adatti all’occasione. Diretto contatto con la terra, con l’emozione. Abbiamo iniziato a parlare e io ascoltavo le loro sensazioni che magari uscivano ad alta voce. Luca commentava la potenza del mare e solo in un secondo momento si è reso conto fosse OCEANO. Quello vero, quello forte.

Ilaria parlava alla natura stando in silenzio. Scattava foto e si lasciava trasportare dagli impulsi. Si ascoltava.
Si avvicinava al mare quando questo la chiamava, lo guardava quando lo sentiva ed era tutto così, naturale appunto.

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Abbiamo lanciato pezzi di pane ai gabbiani che golosi come al solito facevano la guerra. Era bello puntare verso l’alto e vedere che acchiappavano il cibo al volo senza nemmeno lasciarlo prima cadere a terra, a sabbia. Gabbiani ingordi.
Anche Luca li ha conosciuti, finalmente. Ilaria già li conosceva.

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Non ti dico la mia sensazione nel condividere tutto questo con loro. Io, che fino a qualche giorno fa mi ci portavo da sola in quei posti, stavo offrendo qualche emozione anche a loro. Loro la stavano offrendo a me.

Uno scambio bello che mi mancava. Mi sentivo libera di ridere e oziare anche con loro, di ascoltare e cantare, di rotolarmi nella sabbia appiccicosa senza pensare che mi sarei sporcata i pantaloni. Libertà.

Verso le sedici e trenta la luna bianca alla nostra sinistra iniziava ad alzarsi nel cielo ancora azzurro. Ombra sul mare ma sole là, dalla parte di quelle case arroccate sulla scogliera. Quell’angolo che mi ricorda la Costiera Amalfitana.

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🙂

C’era con noi anche Elena. Una giornata tutta all’Italiana ma comunque nuova. Sto facendo incontrare persone che non si conoscono ma che potrebbero trovare qualcosa che le accomuna. Mi piace unire pezzi come meglio credo e vedere che disegno ne viene fuori. Ieri era bello, divertente e artistico. Era nuovo ed ero troppo felice di essere lì con loro.

È stato forse il primo giorno da quando sono qui, che non ho nemmeno guardato il telefono. Ad una certa ora l’Italia inizia a squillare, le amiche vogliono aggiornamenti e la mamma chiede se va tutto bene. Non volevo perdermi nemmeno un secondo di quel momento, me lo sono goduta in ogni regalo e sorpresa. Semplice.

Oggi è sabato. Stasera si uniranno altri pezzi a questo puzzle improvvisato. La mia collega francese organizza una cena per il suo compleanno e sono curiosa di vedere che ne verrà fuori, anche lì.
Sperimentare, conoscere, raccontare e scoprire.

Non penso ci sia nulla di più bello e stimolante. L’avventura che lega le persone, nel mondo.
Il mare che fa da tramite.

Erica, anzi Atmosferica.