Questo è il mio mondo.

Sono qui, rilassata in uno dei tanti momenti contemplativi delle mie giornate. È sera e tra poco l’Italia giocherà un match decisivo. Avrei voglia di tifare e di guardare la partita insieme ai tanti ragazzi thailandesi che lavorano nel resort ma voglio prima ascoltare la mia vocina della verità. Lei, la mia più cara compagna di viaggio, lei che mi regala sempre grandi emozioni.

Soprattutto grandi piccole attenzioni.

Ultimamente non scrivo tutti i giorni, sono più riflessiva anche nel decidere cosa gettare nero su bianco, cosa condividere o al contrario, tenere per me. In questi lunghi mesi di viaggio, non ho mai badato a filtri, ti ho voluto regalare ogni mia singola emozione e pensiero anche se passeggero.
L’ho fatto per la mia famiglia, le amiche, insomma…

L’ho fatto per il mio piccolo grande mondo che ho salutato quel giorno di metà novembre.

Ora sento che le “mie persone” stanno per tornare vicine, o meglio, io sto per tornare da loro e non sento più la necessità di scrivere per loro. Scrivo prima di tutto per me. Quando mi va. Solo io posso sapere il perché.
Qualche tempo fa, pensavo alla mamma che aspettava impaziente, al papà sempre in prima linea, alle amiche fan sfegatate.

Ma.

In tutto questo.

Penso a una cosa.

Sono tremendamente orgogliosa del lavoro che sono riuscita ad arricchire ogni giorno o quasi. Ho tra le mani una grande cassa del tesoro dove sono custoditi dei gioielli dal valore inestimabile. I miei scritti, i miei articoli, le mie dediche e i miei colori. Le mie poesie, le mie foto e le mie crisi nostalgiche.

Non dico questo perché voglio vantarmi di avere una dote innata. In tutti questi mesi avrei anche potuto scrivere una parola al giorno, avrei potuto condividere una fotografia.
Per quello non servirebbe un talento ma solo tanta voglia di comunicare.
Di fissare.
Come dice il papà, non serve scrivere poemi per arrivare. Anche due parole possono dire tutto e possono saziare.

Sono orgogliosa perché qui dentro c’è il mio mondo, il mio viaggio e la mia crescita. Ci sono le persone che ho incontrato, i luoghi che facevano puntualmente da sfondo o da cornice. C’è una ricchezza che potrò condividere con chiunque, un giorno. Tra qualche anno. Tra tanti anni.
Potrò ripercorrere il viaggio che mi ha portata fino a qui, in Thailandia, sull’isola di Koh Phangan. Potrò rivivere passo dopo passo un percorso interiore costato fatica ma che ora sprigiona lentamente la sua gioia.
A piccole dosi.
Potrò catapultarmi di nuovo nella realtà di Sydney, sulle bianche dune di Lancelin, nel “The Pinnacles Desert”, sul grattacielo più alto di Melbourne o nel monastero buddista in cui ho fatto l’esperienza più profonda e piena di significato. Potrò ripercorrere il corso d’acqua che attraversa Brisbane, riflettermi negli specchi dei grattacieli e riattraversare la deserta pianura del Nullarbor Plain a bordo di Vando, amato Vando.

Io sono orgogliosa. Sono felice e soddisfatta del mio lavoro.

Sì, lo so che non sono ancora tornata.
Lo so che avrò ancora molto di cui scrivere.
Questa vuole solo essere una riflessione.
E poi…
Non smetterò mai di scrivere.
Mai nella vita.
A costo di rinchiudere le mie parole in un diario segreto di carta riciclata.
Mai.

Io mi sento tanto grande. Sento una potenza che mi esplode dentro e la percepisco soprattutto quando parlo con le persone.
Di ogni nazionalità e cultura, di ogni età e lingua.
Puntualmente, quando parlo di me, mi trovo davanti ad occhi increduli o a bocche aperte. Facce basite, alcuni provano pena.
Forse è invidia?
Che è?

Oddio… a volte mi sento un alieno.

“Sei qui da sola?”

“Arrivi dall’Australia?”

“Ma quanti anni hai?”

Se stessi ad interpretare le facce della gente, mi porterei da sola in un centro di analisi psichiatrica.
Non lo so.
Sembra incredibile che io stia viaggiando senza una compagnia e che non stia male per questo.
Quanto fa paura la solitudine.
Succede che mi trovo a mangiare ad un tavolo e mi viene chiesto:

“Ma non ceni con i tuoi amici?”


No…

scusa?


È lì che mi va di traverso il boccone.
È lì che scoppio in una risata delle mie.

Io amo lasciare di stucco tutti, soprattutto quelli che non concepiscono la solitudine come la più grande amicizia.
Devono capire!

Non voglio fare la morale a nessuno ma permettimi di dire quel che penso. Amo mangiare da sola, all’ora che voglio, quanto voglio e al tavolo che scelgo io. Amo ordinare un primo insieme ad una macedonia o mangiare tre piatti di verdure perché mi va così. Amo stare un po’ scomposta, divertirmi nell’osservare gli altri e fare tanti discorsi interessanti con la mia mente e il mio cibo. Mi prendo i miei tempi, osservo il mare, ho i miei ritmi, mi prendo pause e se voglio ordino un dolce.
Amo anche cenare con amici, perché no. Ma non sono di certo il tipo che organizza una cena in compagnia in maniera forzata.
Le cose vanno come devono andare e arrivano se devono arrivare.

Anche perché, quando si è in viaggio, non si può parlare di compagnie amiche ma solo di storie.
Prima viene la storia e poi la persona.
Ci sarà sempre l’eccezione che confermerà la regola ma sarà solo la storia a rimanere tua amica, sarà la storia a cercare spazio nel tuo, sempre più pesante, bagaglio.

Spero di essermi spiegata.

Viva la vita e le cene in solitudine.

Erica, anzi atmosferica.


PS. Viva l’amicizia. Quella vera, sempre.

Thailandia e libertà.

Sto entrando nella fase in cui quel che mi circonda è normale e ordinario ma, ieri, parlando con Valentina, mi sono come risvegliata. Ho realizzato che tutto questo fa parte di una realtà a molti sconosciuta e inimmaginabile.

Cercavo di raccontarle e di descriverle la Thailandia, attraverso questa fotografia scattata in un momento di osservazione. Alle sue domande mi veniva difficile rispondere cercando particolari e dettagli che potessero essermi di aiuto. Richiamavo alla mente persone e luoghi che chiamo “Thailandia”, che ho inserito in questa scatola durante i miei giorni qui.
Ho riportato alla mente questa fotografia e la sensazione che ho provato nell’immortalarla.
Gelo.
Anche se il termometro segnava 35 gradi umidi.
Credo che qui si possa vedere chiaramente, si possa leggere e capire.
Una foto che potrebbe essere paragonata ad un racconto. Ad una storia.

I cavi della corrente attorcigliati a formare una matassa di grovigli paurosi. Un disordine che urla ovunque, in ogni piccola cosa.
Casa.
Lo ritrovo in ogni angolo, nei cani abbandonati e nelle catapecchie di lamiera che si affacciano sulla strada. Un disordine che grida aiuto o voglia di ribellione, non lo so, non l’ho ancora capito. Forse è un disordine che parla semplicemente di “Thailndia”.

Un’intera famiglia su un motorino. Erano circa le due del pomeriggio, forse i genitori erano andati alla scuola a recuperare le due piccole creature. Sì, perché anche qui ci sono istituti che provvedono all’istruzione ma sorge spontanea una domanda: “Quali insegnamenti vengono trasmessi? Quali regole condivise?”

Mi piacerebbe per un giorno entrare a scuola, alla scuola elementare. Vorrei assistere ad una lezione, ascoltare le parole delle maestre e capire cosa significhi per loro “Insegnare” e di conseguenza “Andare a scuola”.
Vorrei entrare nella testa di genitori e bambini e capire in che misura tengano alla loro vita, alla loro unica esistenza.
Non voglio essere polemica e nemmeno aggressiva ma non riesco a comprendere questa filosofia di estrema libertà che va a sorpassare la linea di confine tra sicurezza e rischio, tra responsabilità e totale mancanza di essa.

Quando vedo immagini di questo genere esce inevitabilmente Papà. Parlo con le sue parole, ragiono con la sua testa.
Come può un’intera famiglia rischiare la vita su un pericolante e vecchio motorino?
Si potrebbe optare per due viaggi o almeno per quattro caschi. Un solo genitore dovrebbe andare a recuperare i figli, una persona in meno farebbe la differenza.

Poi però, forse, riesco ad immaginare la loro povertà, la loro casa e la loro realtà. Lei forse lava i panni per 50 BATH al chilo, lui forse vende pollo allo spiedo. Un motorino è un grande lusso per loro, un cambiamento sensazionale per la vita famigliare, per quella dei due piccoli. Un piccolo mezzo su due ruote che ha la capacità di unire e di farli volare assieme, di riempire i loro cuori di orgoglio perchè sì, sono riusciti a risparmiare per permettersi un motorino sgangherato. Giorno dopo giorno sono riusciti a raggiungere un grande obiettivo, tra l’immondizia puzzolente e ricchi turisti che non potrebbero mai capire.
Sì, forse il valore va al di là della responsabilità.
Forse l’amore se ne frega di tutto.

Poi, da questa parte, da questo lato della strada, “La pizzeria di Ale”. Un italiano sulla quarantina che nella vita sogna di fare il sindaco. Vive sull’isola di Koh Phangan da cinque anni, un posto che per lui prende il nome di “Libertà” e che si riflette nei suoi lunghi rasta raccolti in una matassa, proprio come i cavi dell’alta tensione.
Un cartello scritto a mano e costruito con poveri pezzi di carta, segnala il suo locale sul ciglio della strada. Una stanza con qualche tavolo e un pannello di plastica giallo appeso alla parete, il menù.
Osservavo tutto con molta attenzione e parlare con lui mi ha permesso di capire meglio. La provincia di Perugia gli ha messo troppi paletti, troppi conformismi, troppa poca libertà. Qui può respirare a pieni polmoni la vita, può campare con poco senza doversi preoccupare delle tasse e delle bollette. Parlare in italiano ha permesso a lui di sfogarsi sui più disparati temi che riguardano il nostro Paese, il mio, il suo. La politica, Papa Francesco, il nuovo sindaco di Roma e le sue esperienze nel consiglio comunale del paese di Provincia da cui proviene. Era come se non vedesse l’ora di parlarne con qualcuno, ho letto in lui quasi una frustrazione, lo ascoltavo.

Davanti a tanta voglia di libertà, ritrovo puntualmente un forte ed innegabile senso di appartenenza alla bandiera tricolore. Ho visto una nostalgia intensa e sofferente, ho percepito una grande voglia di sentirsi italiano e di teletrasportarsi per un momento nel mio mondo, meno thailandese del suo.

Che cos’è quindi la libertà?

Finisce per non essere più riconosciuta in un Paese come questo dove non c’è nulla da fare per essere liberi, perché tutto è fuori controllo. Tutto è già troppo libero.

Questo è forse il mondo in cui, saziata la voglia di libertà, scatta inevitabilmente l’esigenza di regole, di radici e famiglia, di cultura e storia, di mamma e di papà, di linee guida che fino a prova contraria ci hanno portato fino a qui, fino al punto in cui è impossibile farne a meno per essere davvero felici.

Erica, anzi Atmosferica.

La vita è un viaggio.

Mi devi scusare ma nel momento in cui viaggiare diventa sinonimo di “incontrare”, il tempo per scrivere si riduce drasticamente. Vengo rapita da storie e volti, da altri viaggi.
Il ritiro spirituale continua a maturare conseguenze positive nelle mie giornate. Apprezzo ancor di più i miei momenti di silenzio, rido come una matta e mi lascio trasportare da situazioni curiose, dai discorsi di viaggiatori e persone con strambe storie.

Giulia è ripartita per la sua avventura di tre mesi nel sud-est asiatico, zaino in spalla e sorriso. L’ho vista andare via così, insieme ai suoi divertenti sketch e al suo stile etnico ed inimitabile. Giulia è voglia di crescere e di arrivare, voglia di ampliare conoscenze e di raggiungere degli obiettivi, realizzare sogni.
Giulia mi ha servito generosamente una sostanziosa dose di possibilità, libertà e racconti. Ha ulteriormente aperto i miei orizzonti parlandomi dei suoi viaggi e della voglia di farcela da sola, lontana dalla Sardegna e dalla sua piccola e stretta realtà.
Inghilterra, Messico, Irlanda, Germania, tre lingue, forse quattro, un sorriso luminoso, occhi dolci e la simpatia di una cabarettista.
Mamma mia! Quanta luce!
Quanto c’è da fare, quanto si può salire? Quanto si può volare?
Lei mi ha spinta più su, ha ampliato le mie ali.

Non so, ha aperto nuovi cieli.

Avevo proprio bisogno di questo, l’universo mi ha ascoltato. Avevo bisogno di capire quanto avevo camminato e quanto ancora ci sarebbe da camminare. Affiancarmi a Giulia per qualche giorno, mi ha permesso di accendere nuove lampadine, nuove possibilità per me e la mia vita, nuovi colori sulla mia tavolozza e nuove idee per la mia opera d’arte.
Le alternative sono tante e tutte molto invitanti ma al momento c’è la voglia di esplorare questa terra ancora per un po’, c’è la data di ritorno, c’è la voglia di farcela.

Quella del ritorno è un’immagine sfuocata che spesso mi chiede chiarezza.

Io non la ascolto.
Io non la chiarifico.
Non è il momento.

Mi perdo volentieri in quei contorni poco chiari, colori sovrapposti e soggetti non identificabili. Il mio ritorno deve essere un altro viaggio e un’altra scoperta.
Non sono più per una vita programmata, mi rendo conto ora. Questo un po’ mi fa paura ma ne sono tremendamente orgogliosa.

Ho incontrato anche lui, nato in Svizzera ma cresciuto a Toronto. Ho parlato con il suo accento americano, affascinante e divertente. Per Jeffrey non era un problema dialogare passando dall’inglese allo spagnolo, dal portoghese al francese. Non era difficile capire l’italiano, una lingua espressiva e dolce.
Diceva.
Insomma, anche con lui le porte del mondo si sono aperte, nuovi stimoli sono arrivati forti e chiari e io sono stata inondata dal profumo e dalla fragranza del Canada.

Dalle lingue di tutto il mondo.

Per non parlare poi di Fai.
Ventisette anni, nato a Singapore, maestro di Yoga in India, approdato a Koh Phangan alla ricerca di relax e qualche scuola in cui insegnare. Molto tranquillamente. La proposta di un’amica l’ha guidato fino al centro Kow Tahm dove, come me, ha attraversato il silenzio.
Pazzesco parlare con i suoi occhi a mandorla, venire a conoscenza del significato dei suoi tatuaggi e delle sue credenze. Una persona che è stata in grado di spiegarmi la musica psichedelica, dando profondità ad un suono che avrei percepito piatto, noioso e monotono.
Anche lui mi ha aperto dieci mondi e li voglio esplorare tutti.
Si può?

Certo che si può.

La mia carica elettrica mi spaventa ma d’altronde è la mia verità. Io sono questo e troverò il modo per lasciarmi risucchiare da questi vortici di vita dal cielo senza perdere l’orientamento. Voglio salire e voglio vedere, voglio capire e continuare ad incontrare persone che arricchiscono il viaggio, che aggiungono mattoni alla mia casa.
Al mio mondo.

Erica, anzi Atmosferica.

Perchè voglio ridere per sempre.

Sono tornata.
Anzi, parto ora.

Dopo dieci giorni di silenzio torno ad avere un contatto con la vita diverso.
Dieci giorni di meditazione continua in un monastero chiuso in un’atmosfera indescrivibile, dieci giorni nella giungla thailandese che con i suoi animali mi ha fatta tornare all’essenza e alla povertà che ancora non conoscevo.

Il contatto con il vero, la percezione della realtà e del momento presente.
È stato difficile dormire su un letto duro come pietra, rinchiusa in una bianca zanzariera che mi proteggeva da ragni, serpenti, scorpioni e zanzare. No, non mi faceva sentire imprigionata, mi regalava solo protezione in un mondo tanto sconosciuto e pieno di sorprese come quello della giungla. Un viscido geco lungo mezzo metro puntualmente veniva a farmi visita nei momenti di relax, mi rendeva nervosa e con quella consistenza gelatinosa mi impressionava.
Però c’è da dire che da quella collina vedevo il mare limpido come non l’avevo mai visto prima. Questo lo devo confessare. Mi sedevo su quei gradini blu del tempio e osservavo tutto il paesaggio. Ai piedi del piccolo monte si stendeva una distesa di palme e verde. Un colore pazzesco che nelle giornate di sole mi sembrava brillante. A volte davo uno sguardo anche dentro, nel tempio, dove un Buddha dorato stava disteso su un fianco. Mi chiedevo chi fosse, cosa fosse, guardavo colori, cercavo di capire e puntualmente accendevo un incenso profumato.
Era un segno di rispetto, per me era un messaggio.
“Non ti conosco ma ti rispetto.”

Oggi dopo dieci giorni di silenzio senza un orologio e un telefono, senza distrazioni o giornali, senza televisione o uno sguardo amico, senza musica e senza un messaggio dalla mamma, sento forte in me la vera essenza della vita. Ero guidata da una campana che suonava puntuale alle 4 del mattino buttandomi giù dal “letto” quando nella foresta regnava ancora il buio pesto, ero trascinata dai miei pensieri, dal terriccio del bosco e dal nulla più assoluto. Un’esperienza trasformante che forse rimarrà la più importante scoperta della mia vita per un lunghissimo tempo.
Anzi per sempre credo.
Una scoperta, una rivelazione, una confidenza e una confessione.
Ho capito e pensato, ho pianto e meditato in un monastero per undici ore al giorno, ho davvero capito chi sono e chi sono sempre stata senza saperlo davvero.

Sono libertà, pura libertà.

Non ho fatto un intenso percorso meditativo ma ho fatto una lunga pulizia nella mia mente, ho esplorato tutte le stanze e ripulito tutti gli angoli più nascosti. Avevo paura che un lungo silenzio avrebbe potuto riportare alla memoria traumi rimossi, cancellati.
Sai, quando si sta soli con la propria coscienza per giornate interminabili, ci si mette alla prova.
Brutte esperienze potrebbero bussare alla porta, sensi di colpa potrebbero ritirarti giù e dimostrarti che hanno ancora la forza di condizionarti e di mettere a rischio un lavoro lungo mesi, un impegno costato fatica.

Io sono stata felice di scoprire che il viaggio che mi guida da Novembre, mi ha portata in posti reali davvero esistenti.
Mi ha regalato verità.
Non avevo nessuna illusione di stare bene, ora so di stare bene davvero.
Sono pulita.
Questa è stata la conferma.

Immagino tu voglia sapere le dinamiche di una giornata tipo oppure che diamine significhi meditare, che cavolo si possa nascondere in questo mondo pieno di mistero.
In poche parole devi immaginare una giornata lunga e silenziosa, il rumore dei grilli di sottofondo e il tempo segnato dal rumore di una campana che rimbombava su tutta la collina.
Quello era il segnale, l’orologio e il richiamo.
La meditazione, invece, si basa sul presente e sulla concentrazione, sul respiro e sull’azione che il corpo sta svolgendo.
Qui ed ora.

Quante volte chiudi gli occhi e scappi in posti lontani, passati, futuri o addirittura immaginari?
Quante volte ti crei aspettative senza nemmeno valutarne l’impossibile realizzazione?
Quante volte scappi da un pensiero scomodo per paura di affrontarlo?

La meditazione vuole liberare l’anima da questa prigione.
Vuole creare distacco tra passato e futuro permettendoti di non identificarti in ciò che oggi non ti rappresenta.

E che forse non ti rappresenterà mai.

Un grande maestro e monaco australiano, Anthony, ha guidato me e i miei quasi sessanta compagni di viaggio e silenzio, verso una luce per ognuno diversa ma sicuramente illuminante. Ha raccontato storie e riflettuto su temi di vita o illusione di vita.
È davvero una persona pazzesca, ricca di dottrina e sapienza, ricca di senso.

A volte mi estraniavo da tutto e osservavo la situazione dall’esterno. Come se fossi una spettatrice, come se non fossi la diretta protagonista di un silenzioso film. Vedevo i cambiamenti nel volto delle persone, ero impressionata da come contatti visivi fossero più espliciti di parole. Vedevo chi praticava meditazione con costanza e determinazione e chi, come me, apriva gli occhi in cerca di altro.

Dal quinto giorno è iniziata per me una sofferenza che chiedeva il suono della mia voce ma soprattutto della mia risata. Avevo inoltre bisogno di scrivere ed esprimere la mia dimensione in una parola, in un piccolo disegno astratto.
La mancanza della mia risata mi ha fatto piangere, e la mancanza della scrittura mi ha fatto scrivere il mio nome con un ramo nel terriccio del bosco.

Mi rivedevo tra quelle foglie. Ero io. Ero natura.

Quando anche questo non bastava ho chiesto aiuto, ho domandato di poter avere una penna e ti giuro che appena l’ho avuta, mi sono sentita libera, finalmente ricca!
Avevo come un pezzo d’oro tra le mani.
Un oggetto dal valore inestimabile.
Ho iniziato a scarabocchiare le fotocopie del mio visto australiano che casualmente avevo nello zaino, ho iniziato a disegnare greche e a scrivere nomi. Dedicavo ore ad un disegno astratto di inchiostro blu ma non ho scritto, questo ho cercato di non farlo.
La frase che più mi piaceva scrivere era “Let’s laugh forever!”, pensavo di voler ridere per sempre allo scadere del silenzio, al suono dell’ultima campana.
È pazzesco, non credi?
Non pensavo fosse così fondamentale per me.
La mia risata.
Se mi conosci la potresti sentire ora.

Sto ridendo per te, e per me.

Non ti nascondo che ho anche pensato di andarmene.
Il giorno sei.

Non meritavo quel dolore e quell’implosione, non potevo accettare di dover ridere in silenzio.
Nella mente.
Ho pianto e ho parlato con uno dei volontari, ho chiesto aiuto e ho ricevuto un grande sostegno emotivo da Giulia, una magica ragazza incontrata lì.
Con i suoi occhi neri ed espressivi, mi capiva e silenziosamente mi parlava.
Sono così riuscita a farmi forza, era per me importante portare a termine un percorso. Sapevo da sempre che sarebbero stati otto giorni di silenzio, non volevo scappare al sesto.

Ho cercato in me la determinazione e la voglia di toccare il traguardo.

Le ultime 24 ore sono state infinite e piene di adrenalina, non vedevo l’ora di poter tornare a respirare. A ridere. Dovevo farmi una di quelle risate lunghe una vita, da crampi allo stomaco e lacrime di gioia.
Per fortuna ho incontrato la simpatia di Giulia che con il suo accento sardo mi regala esilaranti momenti di pura vita.
Quanto rido!

L’ho incontrata il primo giorno e dopo una breve conoscenza di poche ore, è iniziato il silenzio. Ci siamo sempre supportate, capite, e ringrazio la vita di averla fatta passare dalla mia strada, di avermi portato sulla sua.

Nel suo viaggio attraverso gli stati del sud-est asiatico non aveva in programma l’isola di Koh Phangan ma, il destino l’ha portata qui.
Forse l’ho chiamata io.

Ora, prima che riparta la vorrei tenere con me qualche giorno per conoscere altro oltre a quello che ho capito dai suoi occhi, durante questi giorni vuoti di parole ma pieni di tutto.
La tengo con me per condividere momenti di pura gioia.

Perché voglio ridere, ridere per sempre.

Erica, anzi Atmosferica.

È giunta l’ora del silenzio.

Bene, sono pronta.
È giunta l’ora del silenzio.
Ora ti spiego.
Appena trovo le parole.

Un incipit così singhiozzato credo di non averlo mai scritto. Anzi, ne sono sicura. Forse non so da dove iniziare, forse non mi so spiegare, oppure devo solo lasciare le mani libere, senza più cancellare e ribattere.
Cancellare e ribattere.

Sull’isola di Koh Phangan il sole sta per calare e credo che stasera il cielo sarà di un colore spettacolare. Finalmente oggi la Thailandia ha deciso di regalarmi una giornata di sole magnifico e potente dopo quasi quattro giorni di timidezza.

Eccoti, ora ti vedo in tutta la tua bellezza, in tutta la tua luce.

È proprio vero che con il sole e il cielo azzurro è tutta un’altra storia, l’umore è migliore e l’energia più intensa. Le baracche di lamiera sembrano meno povere e sporche, la gente locale mi pare meno triste e risaltano ancor di più i colori dei frutti esposti su traballanti assi di legno.

Tutte immagini fotografate nella mia testa e non solo, tutte personali sensazioni anche se non credo di sbagliarmi. Senza rendermene conto sto deviando totalmente dal nodo centrale di ciò che ti voglio raccontare. La mia mente in questo momento è un nemico e le mie mani la seguono senza esitazione.
Ma insomma…fermatevi!
Ora intervengo io.
Devo parlarti di una cosa importante.
Devo raccontarti di un’altra scommessa, forse la più difficile.

Domani mattina il mio tassista di fiducia, Wee, mi porterà alle porte di un posto che segnerà, probabilmente, l’inizio di una nuova trasformazione.
L’ennesima.
Il proseguo e la continuazione.

Kow Tahm – Insight Meditation Centre
Questo è il luogo in cui andrò domani mattina, situato in cima ad una delle colline qui a Ban Tai.
Quello che offre questo centro è un’esperienza di vita particolare. Una settimana, o poco più, di silenzio e meditazione insieme a persone che scelgono, come sto facendo io, di scoprire il vero contatto diretto con la propria anima.
Si tratta di un ritiro spirituale (non religioso), durante il quale vengono spiegate e poi applicate le tecniche di uno specifico tipo di meditazione che prende il nome di “Vipassana Meditation”.
Che sarà mai questo nome strano?

🙂

Ho scelto di mettermi alla prova e di rinunciare per quasi dieci giorni a tutto ciò che nella vita di tutti i giorni mi distrae dalla mia parte più genuina, quella non condizionata dall’esterno, dai giudizi, dalla tecnologia, dal pensiero altrui.
Sarà dura psicologicamente e fisicamente, il telefono sarà spento e il dialogo, con le persone lì presenti, limitato. La mia attenzione sarà totalmente focalizzata sulle mie sensazioni fisiche, sulle mie emozioni e sui miei pensieri.

La meditazione non viene intesa come un modo per scappare dalla realtà ma, al contrario, per agire in maniera veritiera attraverso essa.
Questo è il mio obiettivo.
Agire sempre e solo secondo la mia più profonda verità.

Le condizioni per poter partecipare al ritiro sono semplici e non discriminanti. È sconsigliato a chi non abbia un buon equilibrio interiore e a chi abbia particolari dipendenze.
Ovviamente.
La meditazione viene praticata continuamente per tutti i giorni di silenzio e vede l’alternarsi di quella seduta a quella camminata, insieme ad altre attività focalizzate sul momento presente.

(Sto facendo una fatica assurda a scrivere, mannaggia mi sento tipo una professoressa alla cattedra!)

Mi rendo conto che ti sto parlando di qualcosa di complesso e che magari non hai mai sentito parlare di meditazione. Forse, però, sei il primo a sentirti interessato all’argomento o a praticarla con costanza. Io sinceramente non sono una grande meditatrice. Non riservo al mio “IO” un lungo momento ma tante piccole riflessioni nell’arco della giornata.
Quando mi va, smetto di guardare fuori e inizio a guardare dentro.
In questa settimana, invece, sarà diverso. Sarà impegnativo sia fisicamente che mentalmente ma credo che se ne uscirò vincitrice, porterò con me la vittoria ovunque e per sempre.
Sventolerò un grande bandiera con grande soddisfazione.
Per me sarà un fantastico traguardo.

Per questo è giunta l’ora del silenzio.
Per un po’ non ti scriverò, non parlerò e non condividerò fotografie. Non punterò la sveglia la mattina perché alle 5.00 suonerà una campana, starò alle indicazioni dei maestri e mi lascerò trasformare con coraggio. Quando uscirò, sarò diversa sicuramente ma non so in che misura.
So solo che non sarò la stessa Erica, anzi Atmosferica che ti scrive ora e che ti ha scritto sino ad oggi.

Con queste mie parole voglio principalmente darti tranquillità e farti capire che sono totalmente consapevole di quel che ho deciso di fare. Sono giorni in cui riesco ad essere molto presente e al passo con ciò che mi sta accadendo.
Non temere e se anche non mi sentirai, sarò al sicuro.

Bene, sono pronta.
È giunta l’ora del silenzio.

Koh Tahm è un centro conosciutissimo dalle persone locali tanto che Wee, il mio amico e simpatico tassista, sa bene dove dovrà portarmi.

Oggi mi ha anche detto che,
da lassù,
la vista mi piacerà assai.

Erica, anzi Atmosferica.

Profumo di pesce e povertà.

Ok, sto per partire di nuovo. Stamattina la testa frulla alla massima velocità, pensieri di ogni genere e natura mi stanno travolgendo ma come sempre, cerco di selezionare e capire.

È impressionante come le questioni personali rimangano ferme, anche quando il corpo è in movimento. Colori e profumi, persone e piccole scene quotidiane, mi rimandano a ricordi lontani e vicini. Momenti belli che vorrei conservare si affiancano inesorabilmente a quelli brutti che vorrei dimenticare. Come se i primi, non possano esistere senza i secondi.

Sto apprezzando questa solitudine come se fosse la più importante possibilità per rinascere davvero. Faccio grandi discorsi a me stessa e qualche volta li appunto sul mio quaderno.

Ieri ho percorso circa un chilometro a piedi sulla strada. Sono entrata con lo sguardo nelle baracche di lamiera sporche e a volte puzzolenti. Puntualmente una persona all’interno mi invitava ad entrare, una parrucchiera, un fruttivendolo o un piccolo omino che vendeva pollo allo spiedo. Sorridevano.

Sono andata al mercato e mi sono trovata davanti ad una distesa di colori e profumi, un contatto diretto con il sano e il genuino. Verdura e pesce erano esposti su grandi piatti colorati e le donne dietro alle bancarelle avevano puntualmente uno sguardo triste. Mi sembrava di vedere la loro anima.

image
Mentre camminavo sul cemento umido, tra quelle facce vedevo la Thailandia, quella che avevo sempre sognato. Finalmente mi trovavo lì, al mercato del vero.

Una bambina che masticava un povero inglese, mi ha servito la mia porzione di verdure e pollo. Avevo fame e quel vassoio era molto invitante. Profumato.


Per cena invece mi sono vestita carina, avevo voglia di coccolarmi. Appena fuori dall’albergo un ragazzo mi invitava ad entrare nel ristorante thai per cui lavorava. Mi sono avvicinata e dopo aver risposto al suo saluto, mi sono fatta accompagnare ad un tavolo di legno abbellito da una candela rossa. Lui aveva capito di cosa avevo bisogno. Un tipico piatto thailandese era proprio quel che mi andava e quell’atmosfera calda e luminosa mi piaceva.

image
Era bello cenare da sola, non provavo invidia per la coppia di fidanzati seduti vicino a me. Avevano entrambi una faccia annoiata e guardavano il cellulare scorrendo le notifiche di Facebook.
Che tristezza.
Io ero piena di me ed ero troppo contenta, scrivevo senza vergogna sul mio quadernino e dialogavo con le mie parole, argomentavo, discutevo.

Tutto è curato nel minimo particolare, ma in modo naturale. Dopo aver pagato il conto, 145 BATH, il ragazzo mi ha portato una salvietta umida e profumata per pulirmi le mani. Di fianco un fiore bianco. Era vero ed era appena stato colto. Per me.

image

Dopo aver infilato il fiore tra i miei capelli mi sono alzata e alle mie spalle ho sentito la sua voce: “Sweet dreams!”.

Mi sono girata per ringraziarlo e ho di nuovo risposto al saluto. Mani giunte e capo chino.

I miei sogni sono stati dolci ma sul finale un filo agitati. Un traghetto tra qualche ora mi porterà a Koh Phangan. Un’altra isola che dista una mezz’ora da qui.

🙂

Keep in touch.

Erica, anzi Atmosferica.

Prime impressioni Thailandesi.

È forse la prima volta che identifico un titolo al mio articolo, ancor prima di scrivere. È forte il bisogno di fissare le mie prime sensazioni di questo cambiamento.

Questo è un altro mondo.

Quattordici ore di viaggio mi hanno portata qui, dove la lancetta dell’orologio recupera tre ore rispetto a Sydney ma è tutto talmente povero che mi sembra di vedere annullati anni e anni di evoluzione. Sembra assurdo.

L’atterraggio all’aeroporto di Koh Samui è stato di forte impatto. Guardando fuori dall’oblò, non vedevo luci ma solo il nero del mare. Ero seduta sul lato destro, da sola. L’aereo ha perso quota velocemente e ho avuto la sensazione di cadere a picco su quella distesa di acqua nera. Era sera. Le luci della pista mi hanno di nuovo fatta sentire a terra, dopo un lungo viaggio passato anche da Bangkok. Per poche ore.

La prima impressione sconvolgente me l’ha data proprio l’aeroporto. Sembrava una capanna illuminata, tutto interamente all’aperto e piccolo. Molto piccolo. Legno, piante e luci.
La percezione del drastico distacco dalla realtà Australiana a quella Thailandese è arrivata forte e chiara, inaspettata. So bene che qui mi ci sono portata io, so anche che sono venuta qui per respirare l’atmosfera di questo paese che nella sua povertà regala una strana voglia di magia. Tutto questo mi è chiaro, ma il tocco con il suolo e lo sguardo delle persone del posto, sono comunque stati una sorpresa inaspettata.

Dietro ad una scrivania povera e traballante, una ragazza dai dolci lineamenti vendeva “Sim Telefoniche Thailandesi Per Turisti”. Non penso che per i viaggiatori siano riservati numeri speciali ma era sicuramente la prima cosa che volevo fare una volta entrata in terra Thai. Un numero di telefono su cui avere connessione ovunque. Al prezzo di 400 BATH mi ha offerto un servizio completo, con le sue mani veloci ed esperte ha attivato tutto in tre minuti, evitandomi lo stress di dovermi interfacciare con messaggi incomprensibili. Più che lettere, le loro sembrano le greche che facevo alla scuola media tra un compito ed un altro.
Le ho anche chiesto se vendeva cover per il telefono, la mia era rotta e su questo sono particolarmente fissata. Devo avere una cover che mi soddisfi e soprattutto intatta. Con disinvolta gentilezza mi ha riconsegnato il telefono insieme ad una cover che lei non usava più.
La fantasia rappresenta un acchiappa sogni.
Mi ha fatta felice, mi è sembrato un regalo speciale.
Un pezzo di plastica che per me ha un grande valore.
Il valore dei suoi sogni.

Un taxi-bus mi ha portata nel piccolo resort in cui alloggio per sole due notti. Una è già andata. Una ragazza mi ha accolta come se fossi un importante ospite e mentre davo i miei dati per il check-in, mi ha anche offerto un fresco succo d’arancia. Non ho scelto un posto di lusso, non voglio essere servita e riverita come potresti pensare. Voglio viaggiare senza aspettarmi nulla, voglio entrare interamente nel loro modo di vivere e sto già apprezzando la loro estrema gentilezza e la voglia di farti sentire a casa. Anche se non hanno niente.

In Australia un succo all’arancia sarebbe un extra.
Anche in Italia.

Dalla stanza sento il rumore delle onde e dormo su un letto immensamente grande. Non sono abituata ad avere tutto questo spazio. I cigni costruiti con gli asciugamani sono sempre stati una mia passione.
Danno un tocco di arte ad un letto bianco e rosso.
Danno il benvenuto. Basta poco.
Sulla via principale vedo baracche di lamiera con insegne scolorite, motorini e macchine sfrecciano ad una velocità non consentita e ognuno fa un po’ quel che vuole. Nessuno indossa il casco e le precedenze sono un optional. Per il momento preferisco spostarmi a piedi e quando dovrò percorrere distanze più lunghe monterò su un taxi.
Il mio papà direbbe:
“Meglio spendere qualcosa in più, piuttosto che affittare un motorino e rischiare la vita.”
Ben detto papino.
Infatti farò così.

Respiro una Thailandia cruda ma non cattiva, mi sono catapultata in un altro mondo e mi sento curiosa di conoscerne ogni angolo, ogni carattere. Uso una piccola borsetta per contenere soldi, passaporto, telefono e una conchiglia colorata. Se riesco la tengo sotto ai vestiti, in modo che non sia visibile. Nel mio zaino ho l’occorrente di cui posso aver bisogno e il caldo è umido.
Trenta gradi.
Mi sono comprata un piccolo quadernino, con in copertina una coccinella rossa, su cui appunterò i miei pensieri. Quelli da prendere al volo.

InstasizeImage 14

Che l’avventura abbia inizio.
Sempre se di inizio si può parlare.

Erica, anzi Atmosferica.

Scusa ma devo andare…

“Came to you with a broken faith
Gave me more than a hand to hold
Caught before I hit the ground
Tell me I’m safe, you’ve got me now.”

“Sono venuta da te con la speranza distrutta 
Mi hai dato più di una mano da stringere 
Mi hai sostenuta prima che toccassi il suolo 
Dimmi che sono al sicuro, tu mi hai ora.”

(Take me home – Jess Glynne)

Questa direi che rappresenterà per sempre la canzone dell’ultimo giorno di Australia. La ascolto da stamattina e la tengo segreta nelle mie orecchie anche ora che ti sto scrivendo. Sono emozionata e malinconica, sono forte e felice. Mi sento così, proprio come queste parole, proprio come questa arrabbiata ma dolce melodia.

Chiunque, forse anche tu, potrebbe dire che è una canzone triste di un amore disperato e non corrisposto. Lei canta chiedendo un’attenzione e pregando nel ritorno del suo amato, nell’aiuto in caso di difficoltà e di caduta. Chiede se lui potrebbe portarla a casa, è in crisi nera. Cerca una cura per la sua anima spezzata.

Io questo mi sono permessa di chiederlo all’Australia. Mi sono allontanata da tutto per protesta, ero arrivata ad un punto in cui avevo regalato troppo senza ricevere in cambio almeno la metà di quel che meritavo. Ora che è guarito, posso confessare un dolore che raggelava le mie giornate senza darmi troppi riscontri positivi. La mia partenza è stata data dalla voglia di far capire a me stessa che la mia anima avrebbe potuto sostenermi ovunque. Dovevo avere la certezza che da sola sarei potuta partire per qualsiasi viaggio dentro e fuori e che l’Australia non mi avrebbe fatto paura. Anche nel posto più lontano ce l’avrei fatta. Sono partita per una questione personale che dovevo risolvere, dovevo parlarmi e ascoltare ogni mia singola parola. A volte anche a voce alta.

Forte come la musica, ad altissimo volume.

Una sfida lunga sette mesi che si chiude oggi con un sorriso e gli occhi pieni di luce. Stringo i pugni dalla gioia e salto sulla valigia con due piedi per riuscire a chiuderci dentro tutto quello che di più bello e profondo sono riuscita trovare e raccogliere sul mio cammino. Non voglio perdere niente, devo conservare tutto.

Queste sono delle confidenze molto personali, lo so. Non so nemmeno se, leggendo, sia per te facile arrivare fino a lì. Fino al nodo. Fino al punto più profondo che sto toccando qui e ora. Sì perché l’Australia mi ha ancora, per poche ore. Mi sta urlando ora frasi di addio e un saluto memorabile. La sto ascoltando, la sto guardando. Come dice questa canzone, mi ha anche dato tante mani da stringere e le sarò grata per tutta la vita perché con queste mani, ho costruito la mia essenza, la mia rete, il mio nido, il mio rifugio. Ho donato quel che avanzava, tenendo per me il mio segreto potere. Quello per me indispensabile per stare bene. Poche sono le persone a cui l’ho regalato. Non me ne volere ma mi sento speciale.

Lei mi ha permesso anche di guardarmi dentro, mi ha portato in posti magnifici che solo quando sarò a casa guarderò con occhi consapevoli. Non credo di essere sempre stata presente, non penso di essere riuscita a rimanere al passo tra immagini ed emozioni. Tra luoghi e consapevolezza. Molto spesso non capivo la grandezza dello spettacolo che avevo a pochi metri dal mio naso, pensavo fosse normale. Ma non per questo è stato meno intenso, sia chiaro.

Sai, quando di fronte a te hai migliaia di chilometri deserti, è talmente difficile guardare lontano che riesci solo a guardarti dentro. È il posto più vicino da mettere a fuoco. Quando invece ti siedi davanti all’orizzonte, vedi questa linea infinita che taglia il cielo ed è talmente difficile capire la meraviglia di tutta quella infinità, che la cosa più facile da fare è arrivare all’orizzonte dei tuoi pensieri. Lì dove forse non eri ancora stata.

Sempre come dice la canzone, stavo toccando il fondo prima di partire. Non mi rendevo conto ma forse inconsciamente ne ero totalmente consapevole. Questo viaggio è stato la cura, mi ha dato la consapevolezza della mia potenza e dell’energia instancabile che mi riempie senza scappare mai. Mi appartiene e tra noi c’è un legame profondo. Mi piace, ora, guardare quel fondo dall’alto. È come se stessi galleggiando e il fondale sotto di me sia profondissimo, quasi lontanissimo. So perfettamente che un’ondata improvvisa potrebbe di nuovo farmi mancare l’aria tirandomi verso il basso, ma questa è la vita. Non è possibile eliminare la cattiva sorte, come la buona. Resta una vita intera da vivere ora, resta la voglia di rimanere a galla indipendentemente dalla forza del mare. Nel mio oceano ora c’è il sole, vedo pesci colorati e so nuotare senza fare fatica.

Quest’acqua limpida ora la porto con me, in Thailandia.

Erica, anzi Atmosferica.

Il posto migliore in cui stare…

Quando cerco il centro e il punto di equilibrio dove niente mi fa pendere dal lato più pesante, mi siedo a terra. Eccomi qui a scriverti dal pavimento di casa, da Sydney.

Potresti sederti sulla luna, identificare l’Australia, individuare la costa est e fare uno zoom su Sydney, Kent Street, 361/146, piano 22. Sono qui. In questo modo arriveresti qui, nel piccolo punto di questa grande terra, il punto in cui sono seduta cercando il mio posto.

Qual è il mio posto?

Proprio non lo so. Mi viene da dirti che il mio posto sono io. Il mio posto è il mio cuore, sono la mia anima e i miei occhi. Per il resto nulla è mio e nulla lo è stato.

Ho qualche giorno per raccogliere gli ultimi incontri, le ultime parole e gli ultimi sguardi. La parte più dura ma la più preziosa perchè sono certa che tutto quel che arriverà in queste ultime ore, sarà mio. Per sempre.

Sono scombussolata ma con i piedi ben saldi a terra. Non preoccuparti. Mi sono scritta una lista delle ultime cose da fare in modo da non arrivare all’ultimo giorno confuso a non saper che pesci pigliare. Sto per partire di nuovo. Te lo giuro.
Non riesco a definirti in poche parole il mio stato d’animo ma è anche bello sentirmi così. Mi piace.

Come sempre mi lascio travolgere dalle emozioni e ascolto canzoni in base ai giri strani che la mia mente decide di percorrere. Le seguo, musica e anima, viaggio con loro. Mi lascio trasportare in profonda tristezza ed immensa felicità. Sono dispiaciuta per quel che lascio ma curiosa di vedere quel che mi aspetta, chi mi aspetterà.

Chi lo sa.

Per unire il Mondo in un’immagine, pochi minuti fa guardavo questa foto che vedi in copertina. Qui dentro vedo tutto più piccolo, trovo equilibrio, riesco ad unire le varie strade, le emozioni frastornanti che pretendono troppo spazio. State calme! L’ho scattata ieri a Bondi Beach in un pomeriggio freddo e leggermente ventoso. In questo mare vedo l’acqua che unisce le terre, nella sabbia vedo la stabilità e la concretezza alle quali ogni oceano trova base e nel cielo, beh, nel cielo vedo tutto quel mistero che avvolge il Mondo, ovunque.

Ogni posto è pieno di cielo. Ogni posto è pieno di mistero.

Questa foto mi fa riflettere soprattutto ora in cui mi lascio cullare da un momentaneo e giustificato senso di perdizione. Presto lascerò l’Australia ma ovunque nel mondo potrò decidere di portarmi davanti ad un’infinita distesa d’acqua che bagna la terra.

Ovunque sarò, potrò stare bene.

Ovunque andrò, avrò ben chiaro che sarò io il posto migliore in cui stare, ancor meglio se di fronte al mare.

Erica, anzi Atmosferica.