Questo è il bello.

Un nuovo articolo per festeggiare l’inizio di una nuova realtà, una nuova avventura che prospetta crescita e cambiamento.

Tutto deve sempre cambiare.
Nulla sarà mai fermo.

Il viaggio del “Chissà dove arriverò”,
il viaggio del “Parto da qui”,
è iniziato pochi giorni fa, a Milano, alla fermata Missori della metropolitana.

Settembre e Ottobre,
Due mesi pieni di alti e bassi,
sali e scendi,
energia mancante,
disaccordo emozionale,
accordo astrale,
difficoltà nei volti,
aspettativa negli occhi.

Dal 2 di novembre tutto questo mi ha portato sulla strada del “Da oggi inizio”
e sulla sedia di una scrivania.

La mia.

Un’agenzia di branding dove lo studio del marchio e dei colori sono il centro del mondo ed il primo pensiero giornaliero, quello precedente allo sbadiglio. Io sto dalla parte della gestione del progetto, della supervisione del tutto, dove le responsabilità senza tempo sono sinonimo di impegno.
Fondamentale è il rispetto delle tempistiche, il contatto con il cliente e l’interpretazione delle sue esigenze.

Tutto pane per i miei denti.
Tutta questione di precisione e comprensione, assertività accomodante, puntualità nelle consegne.

Quante parole difficili.
🙂

Sono qui e vorrei fermarmi a guardare il mio posto, il traguardo raggiunto dopo un percorso, dopo giorni di corse e fatica, di grinta mai persa ma qualche volta assopita.
Sono qui e cerco di guardarmi ferma e non già in movimento, mi osservo da fuori e non dall’interno, voglio focalizzare per una frazione di secondo questa realtà di colpo materializzata, diventata improvvisamente “La mia giornata”.

Mi viene in mente il termine in inglese “journey”, una parola che in italiano significa “viaggio” ma che ricorda il suono di una “giornata”.

Appunto.

È proprio vero che non è mai finita.

Mai accadrà di arrivare.

La giornata stessa è un infinito viaggiare.

Questa riflessione mi perseguita dai tempi dell’Australia, della Thailandia, dal mio trascorso in un posto del mondo dove ad andare veloce era solo l’asfalto sotto le ruote, oppure in un altro posto dove avevo tempo, tanto tempo per pensare, riflettere, spaziare.

Ora qui fuori la luce del giorno si riflette nei vetri azzurri del palazzo di fronte e il tramonto scende sulle case, alle 16.45 sempre puntuale. Guardo fuori e la speranza si è fatta realtà, le mille domande trovano risposta nella normalità e io lavoro, con tutta la forza che ho.

Lavoro per il mio futuro e per la mia crescita, lavoro per la mia realizzazione, incastro ogni mia cellula assecondando le mie esigenze,

e quelle degli altri.

È il caso di iniziare a comprendere che la vita va veloce e inutile è cercare di stare dietro alla sua interminabile voglia di arrivare.
È bello e giusto starci dentro, guardando attorno e godendo il momento.

In tutto ciò, vorrei dirti che non appena ho creduto di avercela fatta,
ho iniziato a chiedermi se ce la farò.

Questo è il bello della vita,

Questo è il bello del “Crescerò”.

Erica, anzi Atmosferica.
(Perennemente in viaggio…)

Sydney, il mio film.

Vedo Sydney in tutta la sua possenza, la vedo che scorre tra le immagini veloci di un film.
Non posso fare altro che schiacciare il pulsante “STOP” e osservare, rivivere quella scena insieme ai due attori che giocano con un pallone, lì nel perfetto verde del Royal Botanic Garden.

Un giardino, un parco, un museo di natura parcheggiato ai piedi della città ed affacciato sul mare, sulla baia.
Era infinito e pieno di stradine. Alle radici delle piante un piccolo cartellino diceva il nome e una descrizione. Beh, un giardino botanico, appunto.

Guardando queste immagini veloci, rivivo per un momento le mie passeggiate e sento ancora il profumo dei fiori. Ricordo che durante il mio periodo a Sydney la temperatura era gradevole e quel pomeriggio il sole splendeva alto nel suo cielo sempre immenso.
Dico “quel pomeriggio” perché sì, solo una volta decisi di spingermi a passeggiare tra le piante e le fontanelle di quel parco.
Quel giorno avevo bisogno di ossigeno e aria, quella che non riuscivo a respirare tra i grattacieli che fanno da sfondo. Avevo bisogno di svagare e liberare i pensieri, in giornate in cui tutto sembrava ovattato.

Li vedi i palazzi?

Beh, sembrano nuovi, moderni, quasi dorati.
Non trovi?
Si vede la torre più alta di Sydney, ci sono salita. Girava in continuazione su 360 gradi e lassù, in cima, c’era un ristorante. Tu stavi seduto al tavolo e nel frattempo giravi per la città. Una vera figata.

Pensando a Sydney ritorna il profumo di casa e il pensiero di quelle molle nel materasso che a volte non mi lasciavano dormire. La moquette tanto odiata tappezzava tutte le stanze della casa e quella vista su Darling Harbour ogni sera aveva una luce diversa. La ricordi? Che tramonti, che colori. Ho visto anche qualche alba. Ritorno alle serate con gli amici e alle mattinate a spalmare marmellata su croccanti fette di pane. Quanti ricordi, tutti qui nel cuore.

Guardando queste scene mi sento ancora lì e mi ritengo fortunata. Ho avuto un’idea geniale nel decidere di fermarmi a Sydney per qualche mese, l’ho studiata e vissuta in un momento che ad oggi rivivo come quello “giusto”.
Sto realizzando ora, Sydney…cara.

L’Opera House che simboleggia la città, il vento tagliente e le nuvole sempre troppo bianche.
Io lì ci sono stata.
Io lì ho vissuto.
Vorrei quasi quasi bucare lo schermo e dire a quegli attori che lo so bene dove stanno giocando. Mi sento lì con loro e la sensazione è stranissima.

“Ehi belli, ci sono anche io! Passatemi la palla!”

Ricordo come Sydney mi ha fatta sprofondare in solitudini, mancanze, sofferenze e domande senza risposte. Per non parlare delle malinconie, ora del tutto saziate, guarite. Ricordo quando mi guidava in lunghe passeggiate che seguivo con piacere anche dopo ore di lavoro e con le vesciche ai piedi. Mi faceva incontrare persone e artisti di strada, mi regalava emozioni uniche che non posso spiegare a parole ma posso solo rivivere, annusare.
Sorridere.
Che immenso piacere.

In momenti come questi mi sento piena di esperienza e vita, quei mesi di vita in quella città, sono stati estremamente forti, vivi, difficili e affollati. Ho vissuto normalmente ma forse di normale non c’è stato proprio niente. Ho messo in discussione la mia persona, la mia crescita e la voglia di conoscere ogni mia singola cellula.
Sydney è stata all’altezza ed è stata forte abbastanza.

Sydney si è fatta spesso odiare ma ora, la guardo attraverso questo maledetto schermo con grande ed immenso amore.

Un giorno, presto o tardi che sia, mi vedrà tornare.

Buonanotte Italia, ora vado a sognare.

Erica, anzi Atmosferica.

“Nuovo Articolo”

Quando seguo la mia mano e l’ispirazione, vado a cliccare quel bottone che dice “Nuovo Articolo” e capita, come oggi, che io inizi a scrivere solo per il piacere di farlo, per la curiosità di vedere che ne viene fuori.

È divertente, è una scommessa, una prova e una sorpresa. Quanti pensieri stanno lì senza essere ascoltati, quanti desideri rimandati e quanti piccoli sogni nascosti dietro a quelli più grandi.
Quando scrivo, questo non può accadere, seguo le mie mani e ogni tasto schiacciato aiuta a pensare al presente, alla piccola azione che il corpo svolge “qui ed ora”. La scrittura è la mia psicologa, la mia più intima confidente e, ogni tanto, sento il bisogno di parlarle.

Sono giorni difficili, molto difficili.

Lo dico e lo ammetto perché non scappo da una sensazione di malessere e insoddisfazione, di insofferenza ed energia incostante.
Sto provando ad ascoltarmi, senza buttarmi giù. Sto cercando la pazienza in ogni angolo delle mie giornate, dove mi trovo a girovagare senza uno scopo ma per un motivo.

La realizzazione dei miei sogni.

La consapevolezza del mio potere.

La continua spinta che mai deve mancare.

Sono determinata in questo, più che mai.

Mi sono ripromessa che devo rendere ogni giorno speciale e degno di essere chiamato “vita”. Il proposito che deve realizzarsi nelle ventiquattro ore è molto semplice:

“Ogni giorno deve succedere qualcosa.”

E se non succede?

Beh, devo farlo succedere io.

Una e-mail, una chiamata, un messaggio, una cena che porta un buon messaggio, un sapore nuovo o un pianto isterico, una grassa risata o un incontro inaspettato, un nuovo taglio di capelli o, che ne so, un’idea nuova di vita e sogno.

Una bella emozione che mi faccia pensare:
“Oh, questa è vita!”

Deve accadere quel qualcosa, devo essere soddisfatta della mia giornata di ricerca, l’ennesima.

Non arriva subito ciò che chiediamo, non bisogna aver fretta. Probabilmente è necessario affrontare situazioni e cogliere occasioni, prima di arrivare lì, dove sarebbe bello arrivare.

I grandi atleti, prima di vincere si impegnano in estenuanti allenamenti, i bravi medici, prima di salvare vite studiano per lunghi anni. Non serve solo impegno ma anche vocazione, serve la chiamata che faccia da luce, motivazione, grinta, passione.

Nel frattempo, mi impegno affinché ogni giorno sia un prezioso ricordo del domani, un pezzo del mio percorso e un insegnamento da custodire.

Solo così, ce la potrò fare.

Io ci credo e continuo a sognare.

Erica, anzi Atmosferica.

“Qualcosa che non c’è.”

Quando scrivo ho bisogno di sintonizzarmi sulla giusta frequenza.
È come se le mie parole, andassero ad incastrarsi, accordarsi perfettamente al ritmo del mio cuore, e del tuo.
Non penso ci siano altri modi per spiegare.
Riesco a esprimere i miei alti e bassi, solo quando riesco a seguirli e a posizionarli nelle frequenze della scrittura.
Anche lei ha un ritmo, il mio.

Difficile da capire?

Per te nulla è difficile.

Potrei spiegarti che se ti piace leggere ciò che scrivo, significa che siamo sintonizzati sullo stesso canale. Riusciamo a parlare la stessa lingua o, meglio, sei in grado di capire la mia.
Mi permetto quindi, di continuare senza facilitazioni.
Sei forte!

Pensa che succede anche che io vada a rileggere pezzi scritti da me, dalla mia mente, e mi trovo sorpresa da tutti quei giri strani che non mi sembra nemmeno di percorrere tra i pensieri.
Viaggi di riflessioni lunghe e contorte che spesso vanno perse.
Chissà dove.
Tra la scrittura, invece, nulla sfugge.
Nulla passa inosservato.
Non esiste il “non detto”.
Non esistono paure, non sono ammesse mancanze di coraggio o sincerità verso se stessi.

Non c’è spazio per le esitazioni.

Non scrivo da parecchio.

Succede che ti incontro per strada e ricevo da te buoni riscontri, mi dici che spesso vai a controllare se ho pubblicato “Qualcosa”, mi fai sentire che i miei messaggi ti sono arrivati e che mi apprezzi per quel che sono riuscita a comunicarti. Anche io apprezzo te.
Mi dici che dovrei scrivere un libro (GRAZIE!!), che sono migliorata nel tempo e che non devo fermarmi.
Non posso fermarmi.
Non mi nascondi una lacrima di commozione, mi confidi che ti sono stata di aiuto in brutti momenti o che ti ho fatto viaggiare stando fermo quando anche tu eri curioso di farlo o quando avevi bisogno di scappare, riflettere, cambiare.

Per questo vorrei ringraziarti e dirti che ogni volta che sento il nome “Atmosferica” uscire dalla tua bocca, il cuore si commuove e collego tutto a quello, a questa raccolta di parole che forse solo parole non sono state.
Molto di più.
È assurdo come sia riuscita a parlare con te, senza nemmeno immaginare che tu leggessi veramente.
Tu, la mia compagna di banco delle elementari.
Tu, la ex-fidanzata del mio ex-fidanzato.
Tu, che credevo di starti sulle palle.
Tu, che mi hai scritto calde confidenze durante una gelida notte d’inverno.
Tu, che mai avrei pensato di ricevere un “Grazie” da te.

Questa è una figata pazzesca, grazie alle parole ho mantenuto neutralità e spontaneità, ho viaggiato insieme a te senza mai sentire il tuo peso o l’ingombro del tuo bagaglio.

Beh…

Grazie a te.

Oggi ti scrivo per dirti che se quel “Qualcosa” sta mancando da tempo, è solo per il fatto che sto cercando la mia frequenza nel mondo.
Sto crescendo, mi sto evolvendo.
Sto seguendo i miei battiti, sto lavorando su continui sali-scendi di emozioni, oggi le energie ci sono, domani forse saranno un po’ meno.
Devo preservarle e distribuirle in maniera intelligente.
Ogni giorno è una scommessa.
Ogni attimo è una ricerca.

Non è semplice tornare, non è un cambiamento facile da affrontare.
Non è mai finita.

Non mi sentirò mai tornata del tutto, fino a quando non realizzerò pienamente quel che è stato.
Che ho fatto?
Dove sono andata?
A volte mi sento
mai tornata,
altre,
mai partita.
Vedo cose uguali, altre cambiate e distanti anni-luce da ciò che sono.
Sono diventata.

In questi giorni mi succede di addormentarmi viaggiando nei colori australiani, parlando con amici di viaggio o osservando la vita a Sydney. Passeggio tra la natura, ascolto il rumore del mare pucciando i piedi a riva, guardo il cielo e il solito gabbiano.
Mi risveglio pensando che sono qui, nel letto di casa che non è ancora comodo come un tempo.
Che strano.

Per questo volevo scriverti oggi.

Scriverò,
mai fermerò queste mani.

Sto semplicemente tornando.
Sto decidendo come proseguire il mio viaggio, anche se, sto lasciando potere alla vita.
Solo lei ha la capacità di creare e distruggere, di unire e separare.

L’universo.

La scrittura sarebbe una lente di ingrandimento, un’analisi dettagliata di una fase che ora deve scorrere liscia senza subire rallentamenti.

C’è scritto: “NON DISTURBARE”

Sto seguendo il corso delle cose e questo non mi permette di trovare la giusta frequenza per quel “Qualcosa” che, come dice Elisa, ora “non c’è”.

Erica, anzi Atmosferica.


Elisa – “Qualcosa che non c’è”

“E quindi? Adesso dove vai?”

Ore 8.08
Treno Italo,
Alta Velocità,
Roma Termini – Milano Centrale

Ti ho salutato dalla costa orientale della Sardegna e ora mi trovo qui, seduta al posto numero 4, della quinta carrozza in partenza dalla capitale.

Una mina vagante, una vagabonda. Il concetto di base e la radice di ogni parola, denotano il fatto che io stia vagando.
Alla ricerca di cosa?
Bella domanda.

O forse lo so.

Sono riuscita a creare una similitudine pensata ad hoc per le mie sensazioni, dinamiche di ritorno o forse di continuo viaggio.
Chi lo sa.
Mi paragono senza problemi ad uno scimpanzé che, aggirandosi tra persone e città, si trova totalmente diseducato nel vivere scene di normale convivenza, condivisione e comprensione.
Un animale selvatico abituato ai suoni della foresta e dei grilli, a vivere solo e senza aiuti, senza ritmi imposti ma solo seguendo flussi naturali.
Tutto questo si tramuta in una difficoltà di base che accomuna ogni situazione, nella voglia di continuare a viaggiare, di vivere in movimento, per rimandare continuamente l’impegno dell’adattamento.

Una settimana rigenerante di pura e selvaggia Sardegna, è stata seguita da Roma e dalla sua sabbia bollente ma comunque morbida. Ho cercato di dipingere a modo mio scene e paesaggi, ho creato affreschi e verdi selvatici, ho catturato immagini che possano fare da ponte tra quel che era, e quel che è.

Il nodo della questione, è che sono in difficoltà e che non voglio farmi risucchiare dalla solita banale quotidianità che quasi mai comprende sani colpi di testa o picchi di estremo coraggio. Vorrei non perdere questa mia indole, non potrei vivere senza scatti di cuore e stimoli adrenalinici.

La gente mi chiede quale sarà la mia prossima meta, mi dice che non mi devo fermare, che non posso farlo ora.
Spesso vorrei poter non sentire e ascoltare solo quel che arriva da dentro, non ciò che viene da fuori.
Non me ne volere ma in questi casi penso sia semplice dire:

“E quindi? Adesso dove vai?”

Beh, io non lo trovo per niente semplice, anche un po’ ingiusto. Spero sempre di ricevere domande più aperte di queste ma puntualmente non accade. Per quanto possa sembrare una domanda che urla libertà, è comunque chiusa in un preconcetto.
Chi ha viaggiato deve continuare a farlo, deve continuare a riempirsi gli occhi di vita.
Chi non lo ha fatto, è scontato che rimanga chiuso nel suo nido.

Beh, non credi sia limitante?

Non so cosa accadrà alla mia vita ma penso sia giusto che chi voglia esplorare, si senta libero di farlo con la propria anima.
Me compresa.

Milano, ore 11.34

Grazie vita.

Erica, anzi Atmosferica.

Il richiamo.

Mi trovo di nuovo in un campeggio, questa volta dormo in una roulotte. Guardandole dal fuori, mi hanno sempre attirata, avrei sempre voluto dormirci almeno una volta. Mi sono sempre sentita come una bambina che volesse provare un gioco nuovo, un’esperienza in roulotte.

Che figata!
Chissà come sarebbe stato.

Senza nemmeno accorgermene, mi trovo in una delle zone più wild e selvagge della Sardegna e dormire in una piccola casetta con le ruote. All’esterno una veranda di plastica arancione crea una cappa di caldo nelle ore di punta, ma la sera diventa molto accogliente e fresca. Santa Lucia e La Caletta, realtà piccole e strettamente paesane che si affacciano sul mare. Tra loro, una lunga spiaggia fa da unione e oggi l’ho percorsa tutta. Cinque chilometri a bordo piscina.
Sabbia bianca, mare cristallino, ombrelloni colorati e forti folate di vento. Niente di commerciale, niente che avevo già visto in Sardegna. Questa nuova faccia, mi stupisce.

Tutto nuovo.

Ecco che questa vita da campeggio mi ricorda quella Australiana, quella fatta di niente e di tutto, quella del lungo viaggio e dei mille campeggi lungo la strada. Una vita fatta di rumori naturali e bagno comune, la resina degli alberi e piccoli vialetti piastrellati che fanno strada tra tende e bungalow. Sento che questo habitat sia parte di me e mi piace ritrovare queste sensazioni in un posto vicino a Casa, in Italia.

Chi l’avrebbe mai detto che avrei preferito la vita da campeggio, a tutte le altre vite.

Varie vicessitudini tra bed&breakfast e piccoli appartamenti, mi hanno fatto optare per la soluzione più essenziale, la meno dispendiosa, la mia. Devo ancora accettare di rivedermi tra quattro mura di legno di una roulotte senza cucina, devo accettare che sono anche questa e che dopo pochi giorni di ritorno, sono venuta a ritrovarmi e ricercarmi, qui.

Ad ascoltarmi.

Sto seguendo i miei impulsi, chiamalo istinto o sesto senso, sto agendo e viaggiando di pancia ora che ho ancora tempo per farlo.
Questa vita mi riporta al contatto con il vero, alla base e al primario. Appena ho sentito il minimo rischio di perdere tutto questo, sono scappata. Non sono riuscita ad integrarmi subito con la realtà di sempre. Quella di città, quella di persone e tante domande, quella di caffè al bar e treni senza aria condizionata.

Mi dovrò impegnare ma non voglio soffrire.

Mi sono rifugiata tra aghi di pino e una spiaggia bianca, i grilli non fermano mai i loro strani canti e la notte si dorme bene, è fresco e silenzioso.

Questo è il posto giusto in cui stare.

Adesso.

Amo lo Yoga sulla spiaggia, le musiche verso sera e la pace che regna come un accordo comune. Tramonti assurdi e giochi di colore, alberelli selvaggi e cielo aperto. Non voglio niente di ricco, niente di sofisticato o comodo.
Voglio solo questo. Un letto che in fin dei conti è in un bosco senza tetto.

Ancora qualche giorno qui, sarà la cura.
La Sardegna ha sempre disinfettato le mie ferite e ascoltato le mie richieste. È sempre stata impeccabile nella sua bellezza e comprensione, mi ha sempre chiamata a sé quando non ci sarebbe stato altro posto in cui andare.

Erica, anzi Atmosferica.

Il vuoto e “La sera del ritorno”.

Ho altro da raccontare, altro che riguarda il mio ritorno. In questi giorni pieni di spostamenti, viaggi in treno e chilometri di cemento, sto cercando di ritrovare il mio posto nel mondo, in Italia.

Un angolo di pace che mi faccia sentire libera.

Continuo a pensare ad una bellissima serata trascorsa in compagnia di Zie e Amiche, qualche giorno fa. Ero tornata da forse 72 ore e una riunione di saluto e connessione nuova, è stata l’idea di Mamma. Un altro modo per darmi il benvenuto, un gesto amorevole per farmi sentire a casa.

Qualche pasticcino, una sana Macedonia e una bottiglia di prosecco per festeggiare. Questi erano i condimenti che rendevano il tutto più colorato e gustoso, frizzante e dolce. Il giardino di casa faceva da sfondo e delle candele colorate allontanavano le zanzare riscaldando l’Atmosfera.

Dopo i primi minuti di confusione e domande accavallate, il creativo Papà Elio è intervenuto con la sua idea. “Facciamo un gioco, mettiamoci in cerchio e ognuno farà una domanda quando sarà il proprio turno!”

Una risata generale è sfociata nell’accordo pieno, ha creato ordine e curiosità. Ero curiosa anche io, mi sentivo al centro dell’attenzione ma con molto piacere.

Il giro delle domande è partito subito in senso anti-orario. Di fianco a me, Papà osservava la scena dal mio stesso punto di vista. Forse accadeva per la prima volta. Guardavamo con gli stessi occhi, ascoltavamo con le stesse orecchie.

Vorrei condividere con te alcune domande e di seguito le mie risposte. Trovo giusto doverti rendere partecipe di una nostra serata, in cui meritavi di esistere anche tu.

“Hai mangiato qualcosa di particolare?”

Ho risposto che non ho mai assaggiato cibo che mi abbia fatto mancare il fiato. Nulla che mi abbia rapito le papille gustative. Certo, il cibo thailandese piccante mi ha tolto il respiro per ovvi motivi, ma per il resto non sono rimasta mai troppo stupita da quel che avevo nel piatto. In Australia sono arrivata a detestare frutta e verdura, avevano sapore e consistenza chimica e non sapevano di natura. Non troppo.
Non ho mai assaggiato la carne di canguro, non ce l’ho fatta. Per tutto il tempo del mio viaggio, ho mangiato solo carne bianca. Non mi sono mai imposta diete particolari, mangiavo quel che mi andava, quel che il corpo chiedeva.
In Thailandia, invece, mi sono depurata e purificata. Verdure cotte e crude, grandi insalate di frutta e riso ovunque. Una vera goduria per il mio palato.

“C’è mai stato un posto che hai chiamato ‘Casa’?”

No. Sydney mi ha cullata e coccolata, mi ha fatta sentire a casa ma non l’ho mai intesa come la mia città. Mi sentivo ad ogni modo ospite anche perché non ho mai pensato di non tornare in Italia.
Piazze, muretti e panchine, mi richiamavano nei momenti di solitudine in cui volevo sentirmi bene. Guardavo al cielo e vedevo le punte dei palazzi, possenti.
Mi piaceva ritornare nei miei angoli di pace, mi piaceva vedere Sydney in tutti i suoi specchi e colori, mi sentivo bene ma non a Casa. Sarà sempre nel mio cuore quella città, tanto cattiva all’inizio ma piena di amore alla fine.

“In un momento di tristezza hai mai pensato di tornare a casa?”

No. Ero sempre consapevole che ogni momento di tristezza e malinconia, era stato preceduto da un momento di benessere e sarebbe stato seguito da un’altro stato d’animo positivo. Credo che affrontare e superare negatività, sia sinonimo di maturità e voglia di conoscersi davvero. Bisogna essere in grado di guardare il proprio malessere dall’esterno cercando di non identificarsi in lui.
Io ci ho sempre provato, con la consapevolezza di voler tornare a casa per felicità.

“Qual è il tuo obiettivo ora? Dove vuoi andare?”

Il mio prossimo traguardo è quello di trovare pace nel niente. È difficile tornare in una realtà dove in ogni fase della vita si ha sempre avuto uno scopo, ma ora la sensazione di appartenenza non è più così forte. Il mio obiettivo è quello di trovare un equilibrio prima di agire per una costruzione, un progetto di lavoro.
Tutti si lamentano del fatto che si lavora troppo e che lo stress porta a correre continuamente, affaticando l’anima al pensiero del futuro.
Accade questo, sì, ma nel momento in cui non si ha nulla da fare, si entra facilmente in crisi, ci si sente persi senza una sfida giornaliera.
Di cosa ci si lamenta allora?
Voglio imparare a godermi un momento di vuoto senza dimenticare che ora sono piena di me, come è giusto che sia.
Da fine agosto, farò fruttare le mie energie e con la dovuta calma, penserò ai miei progetti.

“Chi è stata la persona che ti è rimasta nel cuore?”

Ilaria. Con lei ho avuto un bellissimo scambio di emozioni e insegnamenti. Lei mi ha insegnato una magica dolcezza fatta di fiori e conchiglie colorate, mi ha dimostrato che quel mondo ormai poco conosciuto ed esplorato esiste davvero, basta solo costruirlo giorno dopo giorno. Basta crederci.
Io a lei ho dato un pezzo della mia positività e della voglia di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno, le ho voluto dire che “Tutto andrà bene!”.

“Sei rimasta in contatto con Mattia? L’Ingegnere…”

Certo, Mattia è tornato nella sua amata Brescia a Maggio. Una buona opportunità lavorativa lo ha fatto diventare Ingegnere a tutti gli effetti, è sereno.
Sicuramente andrò a respirare la sua realtà bresciana e sarò ben contenta di ospitarlo a Lecco, la mia cittadella sul Lago.

“Cosa ti ha segnato di più nel ritiro spirituale?”

Penso che la convivenza con la giungla sia stata per me la prova più snervate. Continuamente in tensione, cercavo di trovare pace anche se, puntualmente, saltavo in aria al minimo rumore o visione strana. Animali e umidità, caldo e temporali, buio e insetti.
La parte più difficile è stata questa. La giungla e il mistero del silenzio.

“Hai mai avuto paura?”

Sì. Quando abbiamo iniziato la traversata della spianata deserta in Australia, alla prima sosta siamo stati travolti da un temporale ventoso, persino le pentole perdevano il contatto con il suolo e Vando traballava e tremava come una foglia. Lì ho avuto paura, mi sono sentita piccola, indifesa ed impotente nei confronti dell’inaspettata forza della natura. Era appena iniziato un viaggio di migliaia di chilometri vuoti, lungo la costa sud dell’Australia. Si era appena aperta una scommessa e per un momento ho temuto di non essere pronta a vincere o comunque a combattere.
Dopo la tempesta è uscito il sole. I colori sono tornati accesi e le nuvole a fare da cornice.

Ecco queste sono alcune delle domande. Le più importanti. È stata un momento di condivisione emozionante che credo rimarrà tra i miei ricordi come “La sera del ritorno.”


Ora sto partendo di nuovo. Un aereo sta per decollare, il mio cuore sta per volare. Devo ancora abituarmi alla sensazione del vuoto, è vero. Forse è per questo motivo che non riesco ancora a fermarmi. Voglio sentire il petto schiacciato alla poltrona, voglio vedere le nuvole dall’alto. Sto seguendo il mio istinto che non vuole ancora frenare la corsa. Forse non sono fatta per rallentare o forse non è il momento.
Ora so che voglio scrivere e per farlo ho bisogno di stimoli giusti, voglio godermi il niente nei posti più belli, quelli che sono stati creati per me e per le mie storie.

E comunque,
il vuoto,
in cielo,
si sente meglio.

Erica, anzi Atmosferica.

Welcome Home!!!

Ti scrivo dal salotto di Casa.

La Mamma spalma pesto su bruschette croccanti esprimendo in ogni piccola azione la voglia di coccolarmi e di farmi sentire amata. Le direi che mi sento molto amata da sempre, anche quando la distanza che ci separava attraversava mezzo mondo.

Il viaggio di ritorno è stata una montagna russa.
Un’altalena di emozioni e tensioni, interminabili ore di volo fatte di instancabili pensieri. Canzoni. Mezze dormite e mezzi film.
Non riuscivo a non avere paura.
Seduta in quel metro quadrato, ho deciso ad un certo punto di farmi una bella ramanzina.

Non potevo avere paura di tornare, non era il caso di arrovellarmi in pensieri e domande che potessero aumentare preoccupazioni. Stavo tornando a Casa dalla mia famiglia, non potevo continuare a creare stress nella mia mente, mettendola in continua difficoltà.
Arrancava.
Era affaticata.
Non respirava più.

Cosa faccio quando torno?
Chi ci sarà a prendermi in aeroporto?
Starò bene in Italia?
Come sarà vivere?
Mi sentirò libera come mi sono sentita sino ad oggi?

Penso che la sensazione di Libertà, sia il bene più prezioso che possiedo oggi.


(Nel frattempo mia sorella Eliana ha iniziato la sessione di addominali e glutei in giardino. Nonostante sia quasi sera, la luce è ancora intensa e il sole tiepido).


Insomma.

Ero incazzata nera con me stessa, stavo per l’ennesima volta intrappolando le mie emozioni in circoli viziosi.
Avevo promesso a me stessa di non farlo più.
Ancora una volta, dovevo lavorare, analizzare, riflettere e trovare la chiave.

Non sono stati d’aiuto lievi ritardi dei tre aerei con cui ho volato. Le preoccupazioni e i brevissimi scali non fermavano la corsa e l’idea di essere sempre più vicina all’Italia mi faceva tremare. Forse mi aspettavo qualcosa di diverso. Temevo una brutta sorpresa.
Non ti so dire di che genere e forma, ma temevo.

Hai presene quando hai qualche presentimento negativo?

Atterrata a Malpensa dopo più di venti ore di viaggio ero stravolta. Per me erano le sei di mattina ma l’ora Italiana mi teneva indietro di cinque ore. L’aereo è atterrato in ritardo e la bella sorpresa è arrivata.

Anche quella brutta.
Ennesima dimostrazione che la vocina ha sempre ragione.

Al ritiro bagagli sono rimasta fiduciosa fino all’ultimo secondo.
Il rullo scorreva davanti ai miei occhi e le valige erano di tanti colori, ma non del mio. Temevo di non vederlo uscire da quel buco nero e la sensazione negativa che mi legava lo stomaco, alla fine aveva avuto una ragione.

Bagaglio perso.
Rimasto a Bangkok?

Forse.


La British Airways farà di tutto per rintracciare la mia valigia bianca.


Dopo aver denunciato l’accaduto, ho iniziato a correre verso la scritta “EXIT – USCITA”. Era la una di notte ed ero l’ultima rimasta, ero sola, camminavo nel lungo corridoio, lasciando l’ufficio del “Lost and Found”.
Ridevo da sola.

🙂

Il brutto era passato.
Dietro quella porta scorrevole, poteva solo che esserci qualcosa di estremamente bello e meraviglioso.

“Chissenefrega della valigia, amo la mia famiglia!”

Parlavo da sola.


“UH UH UUUUH!?!”


Appena subito dopo il mio ululato del richiamo, ho ricevuto risposta!
La mia famiglia era lì, un cartello lungo tre metri diceva:
“WELCOME HOME!!!”
…io ho sentito finalmente il corpo libero da ogni tensione.
Le sorelle si sono avvinghiate al mio collo, le zie riprendevano la scena, la mamma era emozionata e il papà ironizzava già sulla perdita del mio bagaglio.

“Tranquilla! Te la prendo io la valigia!

Ah no, non ce l’hai!”

🙂

Felicità!
Gioia!
Amore nell’aria!


Meraviglioso tornare a Casa e ritrovare i divani nella stessa posizione, la stessa tovaglia sul tavolo della cucina e lo stesso odore di famiglia. Casa mia. Le tende arancioni, i cuscini colorati e l’acqua Rocchetta.

Una cosa diversa però c’era.

Appeso al muro un pannello pieno zeppo di fotografie, le mie.
Il frutto della creatività del Papà. Il frutto del mio viaggio e del suo.
Del nostro e del tuo.

IMG_0946

Welcome Home.
Ogni tuo cielo è stato anche il nostro.

Erica, anzi Atmosferica.

Mi prometto…

Me la sto facendo sotto.

Si può dire?

Una domanda della Mitica Zia Angi mi ha fatto riflettere e mi ha spinto a svuotarmi di parole ancora una volta. È solo scrivendo che riesco a sentirmi meno ingolfata di pensieri e questo inizio singhiozzante ti può far capire quanto sia intasata fino alla punta di ogni capello.
Magari non lo stai percependo ma devi credimi se ti dico che le mie mani si bloccano continuamente.

Tra poco torno.
Parto o torno?

Non lo so.
Sicuramente sarà bellissimo.

La domanda che mi è stata rivolta è la seguente:
«Cosa temi di più del tuo ritorno? Il “troppo pieno” o il “troppo vuoto”?»

La mia risposta è uscita naturale.
Le ho detto che temo il passaggio dal “troppo pieno” iniziale al “troppo vuoto” successivo.
In realtà non ho paura di tornare, non temo nulla perché sono dell’idea che se semini del buono, non potrà altro che fiorire ciò che meriti.
Semplicemente in questi giorni di cielo continuamente capriccioso, mi sto facendo delle promesse molto chiare e sarò intransigente con me stessa se solo mi azzarderò a non rispettarle.
Mi sto chiedendo calma e di non sottovalutare mai la potenza che ho scoperto dentro me. Mi prometto di non dimenticare mai il percorso che ho fatto per arrivare ad avere un saldo equilibrio e una forte indipendenza emotiva. Il “troppo pieno” iniziale sarà colmo di affetto, famiglia, uscite con le amiche e interminabili chiacchiere con le persone importanti.
Non sarà mai “troppo”.
Mi sento super richiesta e ho il cuore che esplode dalla gioia e dalla voglia di riabbracciare anime speciali che mi hanno accompagnata giorno dopo giorno, non perdendosi nemmeno un passo del mio cammino.
Mi prometto, inizialmente, di saziare la mia fame di coccole e occhi, di sguardi amici e profumi nuovi, di lasagna e pasta al pesto, di odore di casa e amore.
Mi prometto di non pensare a null’altro.
Non ci sarò per nessuno.
Anzi…

Ci sarò per tutti, finalmente.

Arriverà poi il giorno in cui la mia vita tornerà a scorrere sui binari di una quotidianità, di una calma fatta di piccole cose e sarà quello il momento in cui decidere che strada prendere.
Mi prometto di non precludermi niente ma di mantenere sempre il senso delle mie scelte.
Mi prometto di fermarmi se sarà opportuno farlo e di rispettare i limiti di velocità.
Erica, anzi Atmosferica.
Chi diventerà?

Me lo chiedo spesso ma giusto per il gusto di farlo.
Perché mi va.
🙂
È divertente ed elettrizzante.

Sogno una vita fatta di libere scelte e sogni.
Mi prometto di avere pazienza nell’attendere risposte dall’universo.
Prima o poi quelle arrivano.
Parlo di conoscenze che aprono porte, parlo di segnali che appaiono come grandi luci di emergenza, parlo di input che arrivano nel momento del bisogno, quando tutto potrebbe sembrare piatto e poco stimolante. Anche quello farà parte del gioco, tutto accade per un motivo e presto o tardi esso si paleserà.

L’organizzatrice che è in me vuole sfondare nel mondo della comunicazione.

Quando dico che voglio “sfondare” significa che voglio arricchirmi di persone e lavorare per i sogni altrui.
Non voglio diventare ricca.
Organizzare eventi, matrimoni, importanti convegni.
Quello sarebbe pane per i miei denti.
Questa è Erica.
Mi vedo elegante e sorridente, professionale e precisa, mi vedo capace e sicura nel trasmettere sicurezza.
È giusto pensare che tutto è possibile.

Mi prometto di non perdermi mai e di provarci sempre.

Poi c’è Erica, anzi Atmosferica.
A lei piace scrivere e fotografare.
Anche in questo caso, le piace sognare e far sognare.

Quanti messaggi ho ricevuto pieni di ringraziamenti, ricchi di belle parole e complimenti.
“Grazie perché attraverso le tue parole mi fai viaggiare.”
“Grazie perché con le tue fotografie mi fai sognare ed esplorare luoghi che vedo troppo lontani.”

Erica, anzi Atmosferica, vuole continuare a coltivare questa passione e a far fiorire idee di motivazione nel cuore delle persone.

Vorrei essere di aiuto, di ispirazione o di esempio.
Vorrei portare a spasso per meravigliosi luoghi chi, per i più svariati motivi, non può viaggiare.
Vorrei essere una valvola di sfogo, una porta aperta sul mondo in cui, chi vuole, può entrare.
Vorrei essere una vetrata affacciata su una verde vallata da cui poter guardare la natura e l’infinito.

Mi prometto di darmi del tempo e di vivere questi ultimissimi giorni di piena solitudine al meglio.
Mi prometto di non lasciarmi prendere troppo dalla tempesta di pensieri, leggere paure, ambizioni, progetti.
Mi prometto di non correre mai e di camminare nel tempo presente guardando il cielo con grande fiducia.

Questo cielo che sempre generoso mi ha dato e parlato,
che delicato non mi ha mai schiacciato,
che premuroso non mi ha mai abbandonato,
ma che,
soprattutto,

sempre fedele non mi ha mai tradito.

Erica, anzi Atmosferica.

Voglio vivere così.

L’isola di Koh Samui è gelosa del mio tempo e della mia energia. Non so come dire, vuole tutto per sé, mi vuole tutta per lei.

Quando sono arrivata qui, qualche giorno fa, l’ho trovata diversa rispetto ai primi di giugno, quando l’ho incontrata per poche ore. Ero di passaggio. Mi aveva trasmesso buona energia ma non era così bella e ben agghindata. In una telefonata raccontavo al papà che è come se, durante la mia permanenza a Koh Phangan, si sia fatta elegante per il periodo di alta stagione. Un po’ come quando ci si veste bene per andare a cena, perche quella è l’occasione per sfoggiare il più bel vestito, un trucco leggero ma che valorizzi occhi e sorriso e un giusto accessorio che renda il tutto personale e particolare.

Beh, l’isola di Koh Samui, a distanza di venti giorni, l’ho trovata così. Pronta per una cena importante anzi, galante.

Le strade non sono messe così male, le luci delle insegne funzionano, ho visto che hanno aperto un nuovo supermercato e la spazzatura è stata ripulita. Forse questo accade una volta all’anno, giusto giusto per i mesi di Luglio e Agosto. Il resort in cui alloggio ha sfoggiato le tovaglie più belle e ha aggiustato i due ventilatori all’ingresso, le bancarelle sono ben fornite e più ordinate. Tutto è molto più invitante.
Beh, sono felice di averla conosciuta anche sotto queste vesti perché vedo in lei grandi potenzialità, una grande bellezza semplice e naturale.

Beh, di natura stiamo parlando.

Ma non solo.

Le persone sono accomodanti e gentili, qualsiasi cosa di cui tu possa avere bisogno, è sempre possibile, fattibile, immediatamente e senza esitazione. Prestano tanta attenzione ai turisti e alle loro necessità anche se, come ti ho già detto, io non mi sento per niente turista.
Sono parte integrante del tutto.
Sono qui.
Arrivo dall’Australia, proseguirò verso un’amata Italia, ma ora sono qui.
Anima, corpo e cuore.
Nulla di turistico.

Io voglio parlare con la Thailandia, interpretare i suoi versi e capire le sue smorfie. Gli isolani, qui, recitano una parte. Gli piace giocare al gioco dei poveri che si rapportano ai turisti.
Sempre e comunque ricchi.
È lì che calcano la mano sui prezzi, cercano di guadagnare il più possibile e puntano sul fatto che la loro moneta vale poco.
Tieni presente che 1000 Bath, corrispondono a 25 Euro.
Bene.
Pensa che un bel vestito, di un buon tessuto e qualità, costa circa 1200 Bath.
Appurato questo, ti dico anche che giusto stasera ho scambiato due chiacchiere con Soe, un ragazzo thailandese che lavora qui di fronte al mio albergo, nel ristorante del fratello, da ormai 5 anni.
Perfetto.
Il suo stipendio mensile è di 8000 Bath e l’affitto gli viene a costare 500 Bath al mese.
Posso venirti incontro, ti traduco il tutto in Euro così facciamo prima.
Guadagna 200 Euro al mese e paga 12,5 euro di affitto.

Questo deve farti capire come qui, il turismo sia tutto e per due/tre mesi all’anno, ognuno punta al massimo guadagno perché questa è l’occasione.
La volta buona per fare i soldi, la cena galante, il momento giusto per indossare il vestito migliore e decorare il viso con un filo di trucco.

Un mondo di contrasti, ricchi resort confinanti con angoli sporchi e catapecchie puzzolenti, persone povere ma piene di colori, strafottenti turisti che “Cosa vuoi che siano 1000 Bath…”, ammaliatori thailandesi che cercano di invitarti a cenare in lussuosi ristoranti sul mare e altri locali affacciati sulla strada che fanno da mangiare per il pubblico ma più che ristoranti sembrano piccole realtà famigliari dove la cucina del locale è la stessa di quella di casa.
Assurdo.

Ho capito che i thailandesi ricchi tengono l’unghia del mignolo molto lunga.

Ma quanto saranno ricchi i ricchi?

Io so di essere ricca almeno quanto loro ma sto facendo di tutto per sentirmi povera, per respirare la loro aria, per sguazzare nella loro acqua, per mangiare la loro gustosa e salutare cucina.
Io sto nella realtà thailandese, non in quella che attrae i turisti.
Voglio capire come si vive con il salario di quel ragazzo che per un turista, è il budget giornaliero.

Sì, magari perché sceglie di spenderli per una costosa bottiglia di vino a bordo piscina, nel più bel resort della Thailandia, senza capire niente di cosa la Thailandia sia.

Pensaci.

Voglio vivere così.

Erica, anzi Atmosferica.