Ricapitolando, prima del grande passo.

Lasciamo Norseman per procedere verso la East Coast.

Sì, lo sto dicendo veramente, lo sto davvero scrivendo.

Questa è una comunicazione ufficiale.

Salutiamo l’ultimo paesino del Western Australia, con un filo di magone e un forte grazie per tutto quello che, insieme agli altri luoghi visitati, ci ha regalato. Norseman è una piccola frazione situata esattamente al bivio, è una scommessa, un nuovo inizio per chi decida di svoltare verso quella lunga strada che percorre il deserto, il niente, il nulla più assoluto per un migliaio di chilometri. È un arcobaleno, un tramonto rosa, la desolazione e il disagio.

Ve ne avevo già parlato…ricordate?

Vorrei elencare insieme a voi i segnalibri che hanno meritato e richiesto una pausa nella lettura di questo meraviglioso libro. Lasciata la città di Perth il 16 Gennaio, ci siamo diretti verso Wave Rock, nell’entroterra a est.
La meta successiva è stata l’area sud della costa occidentale dove avremmo cercato lavoro in Farm per mettere insieme il giusto gruzzolo per proseguire il viaggio. Le prime soste presso Manjimup e Margaret River, non ci hanno offerto nessuna possibilità di lavoro visto che le stagioni della raccolta non erano ancora iniziate. Una forte perturbazione ha fatto ombra per una decina di giorni, periodo in cui non abbiamo sottovalutato l’idea di esplorare le meraviglie della zona. Dunsborough, Busselton, Augusta e Cape Leeuwin sono state le cittadelle prescelte da aggiungere al nostro itinerario, ognuna con una curiosità da offrire. Di nuovo alla ricerca di lavoro, ci siamo spostati a Pemberton dove nel giro di due giorni ci siamo trovati ad imballare Avocados e soggiornare per tre settimane in compagnia di un simpatico gruppo di Backpackers. Durante la breve, ma non per questo povera, stagione lavorativa, non sono mancate gite di intere giornate ad Hamelin Bay e a Bunbury.

Spettacolari.

Ripreso il viaggio il 17 Febbraio, abbiamo proseguito sulla costa sud del Western Australia, procedendo verso Est. Tappe d’obbligo sono state quelle di Greens Pool, Denmark, Albany ed Esperance.
Da quest’ultima, è stata nostra decisione quella di spostarci verso nord nell’entroterra abbandonando alle nostre spalle l’oceano e la sua grandezza. Ci siamo diretti così a Kalgoorlie dove una miniera d’ORO ha attirato la nostra curiosità facendoci decidere di deviare appositamente.
Ora siamo Norseman, in partenza alla volta della costa est.

So perfettamente di aver gettato nero su bianco troppi nomi senza molta creatività ma l’ho fatto per chi volesse ripercorrere velocemente il nostro viaggio, per chi stia per partire da Perth con la stessa idea e per chi si sia connesso recentemente con la mia storia.

Inserendo i nomi di questi principali luoghi toccati, potreste farvi un’idea ben chiara del tragitto percorso, individuando anche il punto in cui ci troviamo oggi, il bollino rosso di non ritorno.

Un’altra partenza ci vede protagonisti insieme ad amici inglesi e avrò modo di parlarvi di loro prossimamente, sperando di riuscire a trovare una buona connessione per comunicare. Da oggi si volta pagina e si scrive un nuovo titolo, un’esperienza di traversata ci vedrà protagonisti insieme ad emozioni nuove e inimmaginabili.

Il cosiddetto “Nullarbor” è identificato come un’area piatta e desertica, percorsa da una strada ESATTAMENTE DIRITTA per 146.6 km. Nessuna svolta, nessun cartello in un paesaggio arido e secco.

Il NULLA….RBOR

APPUNTO…

🙂

Beh ragazzi, ci sarà da ridere. Sono abbastanza su di giri e sento l’adrenalina in corpo. La sensazione è un po’ come quella del salto nel vuoto, sentirò il cuore in gola e l’infinito addosso.
Riserve di acqua, benzina, olio e liquido refrigerante sono in abbondanza.

Con un nodo alla gola ora vi saluto. Ci sentiamo domani, o almeno spero.

Erica, anzi Atmosferica.

Il faro.

La punta sud della costa ovest, nella regione di Margaret River, è identificata dal Faro di Capo Leeuwin.

Questo angolo di Australia, nell’estremo sud-ovest, è dedicato alla memoria di tutti i marinai del mondo. La dedica fu fatta dal primo ministro dell’Australia occidentale, John Forrest, il 10 dicembre 1896 durante l’apertura ufficiale.

In questo caso qualche dettaglio storico non mi sembra niente male.

Che ne dite?

Capo Leeuwin era spesso il primo approdo in terra australiana per le navi che viaggiavano attraverso il Capo di Buona Speranza. Tanti eroi del mare hanno trovato la loro fine tra le onde impetuose dell’oceano e vedere quelle targhe con i loro nomi disposte in fila sulla parete, è stato di forte impatto.

Cape Leeuwin Lighthouse, la casa della luce.

Una costruzione tanto perfetta quanto luminosa. Il sole si rifletteva sulle pietre bianche, facendolo sembrare vivo.

Sembrava che volesse gridare: “Io devo regalare luce!!”

Le sue intenzioni erano chiare ed ero totalmente appagata dalla bellezza di quel che vedevo. Il cielo era di un azzurro tanto pieno quanto quel bianco. Arrivata lì sotto, mi sono seduta su una panchina, il giardino era potato con cura e le onde sbattevano sugli scogli rossi.

Da lì, il sole si nascondeva incoronando di una luce angelica la sommità del faro. Che stupore.

Mi sembrava di avere una visione paradisiaca. Il bianco, la luce, l’azzurro.

Poteva essere una rivelazione e io mi sono concentrata nell’ascoltare. Percepivo un’essenza divina in quel che vedevo e che sentivo.

Ho ascoltato la luce.

Erica, anzi Atmosferica.


Vi trascrivo qui di seguito il dialogo tra Elisabeth Gilbert e uno sciamano indonesiano. Mi sto ritrovando molto nella lettura di questo libro in cui la scrittrice, parla del suo viaggio di un anno alla ricerca della verità, della sua verità.
Molti di voi conosceranno il libro, o il film interpretato da Julia Roberts.

“Voglio avere un contatto duraturo con Dio” gli dissi. “Qualche volta mi sembra di percepire l’essenza divina di questo mondo, ma poi ne perdo il senso, distratta da piccoli desideri e piccole paure. Io voglio restare sempre accanto a Dio, ma senza farmi monaca o rinunciare interamente ai piaceri della vita. Voglio vivere nel mondo e godere delle gioie che ci offre, ma voglio anche imparare a dedicarmi a Dio.”
Ketut disse che mi avrebbe risposto con un disegno. Mi mostrò uno schizzo che aveva fatto durante una meditazione: una figura umana androgina, in piedi, con le mani congiunte in preghiera. Ma quella figura aveva quattro gambe, e al posto della testa un groviglio di foglie e fiori selvatici. Sul cuore era disegnato un piccolo viso sorridente.
“Per trovare l’equilibrio che stai cercando” mi rispose Ketut attraverso l’interprete “Devi diventare così. Devi tenere i piedi ben piantati a terra, come se avessi quattro gambe. In questo modo puoi vivere nel mondo, ma devi smettere di guardarlo con la testa, devi guardarlo con il cuore. Così conoscerai Dio.”

“Mangia, prega, ama -Una donna cerca la felicità” di Elisabeth Gilbert

Jewel Cave.

La grotta del gioiello, un gioiello di grotta.

Libera interpretazione.

Sembra una foto scattata a coralli sul fondale marino e invece no, ritrae il fondale della Jewel Cave.

Una luce color cobalto ha illuminato per un istante quella parte di grotta, facendomi mancare l’ossigeno nei polmoni.

Un respiro profondo per svegliarmi da quel breve incantesimo, mi ha riportato alla realtà.

Scendendo di 50 chilometri, percorrendo per intero la Caves Road (la strada delle grotte), ieri ci siamo fermati alla Jewel Cave, decidendo di sfruttare il secondo ingresso che avevamo a disposizione per visitare una seconda grotta a scelta tra le quattro.

Quando, due giorni fa, abbiamo visitato la Lake Cave, è stata decisione nostra acquistare un ticket per la visita di due grotte.

Ticket per persona: 22.50 dollari

Ticket per due escursioni: 40 dollari

Ci è sembrata un’ottima mossa pagare per due sfruttando lo sconto, nonostante non avessimo ancora ben chiari i nostri spostamenti dei giorni successivi.

Nessun problema, nel raggio di poco più di 100 chilometri, altri tre luoghi misteriosi. Ne avremmo scelto uno.

Decidendo di spostarci verso Augusta, vi dicevo, ci siamo fermati alla Jewel Cave.

La grotta più grande, scoperta anche quella negli ultimi anni del 1800. Mi ha impressionato l’enorme spazio sotterraneo che si è aperto una volta scesi in profondità. La guida questa volta era una simpatica signora dai capelli lunghi e neri che parlava un australiano stretto e veloce.

Con l’aiuto della sua torcia, illuminava le parti curiose di cui parlava, rendendo la comprensione più semplice.

La passerella in legno sembrava infinita e seguiva le insenature tra le rocce, creando un percorso incredibile e pieno di sorprese.

Questa volta, la roccia formava delle sagome davvero strane che mi sembrava fossero di cera. Il giallo, si trasformava a volte in color caramello.

Mi ha impressionato la radice di quell’albero che viveva sopra le nostre teste. A furia di cercare appigli e nutrizione, si era arrotolata su se stessa creando un lungo cordone color ebano che cadeva verticale, per almeno una ventina di metri.image

Lì sotto un tempo, c’era l’acqua che ha lasciato il suo segno sul fondale della grotta e la storia delle tigri della Tasmania è stata pazzesca.

Un centinaio di anni fa, due tigri sono precipitate nella grotta, trovando la loro morte dopo qualche giorno senza cibo. Di acqua ce n’era in abbondanza al tempo ma null’altro.

Il nome di Jewel, è stato assegnato per l’impressionante grandezza e per la luce riflessa da quelle formazioni preziose. In alcuni punti del percorso labirintico, la guida si soffermava nel creare diverse atmosfere con diversi colori di luce.

In ogni piattaforma in legno, ci sorprendeva giocando con dei tasti illuminati e ci indicava punti precisi dove poter scorgere diverse bizzarre forme.

Ho visto una stalagmite talmente grande da sembrare un totem, una ragazza che camminava dandoci le spalle e mostrando i suoi lunghi capelli lisci, ho visto Peter Pan che spiccava il volo e una cascata di roccia dalla superficie levigata.image image

Mille sorprese ad ogni angolo e cinquecento scalini che ci separavano dalla terra.

All’ultimo step, come vuole la tradizione, abbiamo provato l’ebrezza del buio.

Sapevo di essere appoggiata alla ringhiera, sapevo di essere al sicuro ma la sensazione di vuoto era forte.

Cercavo di chiudere gli occhi e di riaprirli con più forza per far sì che la mia vista si abituasse alla mancanza di luce. Credevo di iniziare a vedere qualche sagoma come accade quando ci troviamo al buio in una qualunque situazione.

È stato proprio in quel momento, che la guida ha detto che l’occhio non si sarebbe mai abituato da tanto era intenso quel nero.

Un minuto che è sembrato un’eternità. Un minuto che è bastato a fare un viaggio lungo una vita.

Jewel Cave, la grotta del gioiello.

Il vero bene prezioso è la luce.

Erica, anzi Atmosferica.

Lake Cave.

La grotta del lago, Lake Cave.

Arrivati a Margaret River verso l’ora di pranzo, il brutto tempo persisteva e una pioggerellina invisibile e insistente creava un’atmosfera autunnale.

I vigneti incontrati sulla strada erano fermi, nessuna possibilità di lavoro all’orizzonte. È stato strano vedere così tante aziende agricole totalmente deserte. Curate alla perfezione ma deserte.

Nell’articolo di ieri vi ho parlato di Margaret River come una regione piena di curiosità e posti da vedere. Bene, siamo qui anche per questo ovviamente.

Una volta fatto il check-in al campeggio, abbiamo curiosato sui numerosi depliants esposti in reception. Le quattro grotte disposte a pochi chilometri l’una dall’altra sulla costa, hanno subito attirato la nostra attenzione.

“Andiamo qui! Cave Lake!”

Già solo la foto aveva dell’incredibile ma volevamo vedere con i nostri occhi.

Una ventina di minuti di strada tra vigneti su sfondo grigio e foreste.

Alle 14.30 iniziava il tour guidato. Una simpatica signorotta bionda ci ha portati a scoprire quella meraviglia sotterranea raccontandoci passo per passo ogni curiosità. Due centinaia di gradini ci hanno portato giù ma non ancora sotto terra.

La guida ha introdotto la visita presentandosi e parlandoci della storia della grotta. Con stupore ho potuto apprendere che la scoperta di quello spazio nascosto, risale a pochi anni fa. Nel 1897 due amici si sono avventurati tra le insenature delle rocce con delle torce, solo 5 anni dopo la Lake Cave è stata aperta al pubblico, nel 1902.

Mi sono quasi sentita fortunata a far parte di quel pubblico.

La voglia di scendere ancora più giù era forte. Dopo alcune raccomandazioni, abbiamo proseguito il percorso.

Attenzione alla testa quando scenderete dalla prossima rampa di scale.

Superato quel punto non mancherà lo spazio.

Vietato toccare le rocce.

Ok, andiamo.

Una volta giunti alla successiva piattaforma in legno, già si vedeva una parte della grotta. Roccia bianca umida sopra la testa, formava stalattiti. La guida ha acceso le luci che seguivano il lato di una passerella. Quelle stesse luci permettevano di vedere l’acqua e di realizzare la grandezza degli spazi.

La passerella era illuminata fino ad un certo punto. Era chiaro che il percorso guidato, aveva la finalità di far concentrare noi turisti su quella prima parte. Era evidente che la grotta continuasse e che ci fossero altre piattaforme in legno ad attenderci.

Delle goccioline fredde mi colpivano la testa facendomi ogni volta sobbalzare. L’atmosfera di mistero mi creava uno stato di tensione.

Ma volete sapere una cosa?

Quelle gocce di acqua, vivevano tra le rocce della grotta da dieci anni.
Essendoci un tempo piovoso, mi veniva spontaneo pensare che fosse acqua piovana.

E invece no.

Acqua piovana di dieci anni fa che dopo tutti questo tempo, ha bellamente deciso di cadere sulla mia testa.

Pazzesco.

Dopo brevi spiegazioni, mantenendo sempre un tono di voce tranquillo, la guida ci aspettava al successivo spiazzo.image

Sporgeva dalla parete la roccia del drago. Stalattiti e stalagmiti si erano spinte a formare una forma umida che rappresentava a tutti gli effetti i lineamenti di un mostro delle caverne.

Mi sono concentrata per un momento e in effetti sì, era anche abbastanza inquietante. La mia immaginazione è arrivata anche a farlo muovere.

Erica, è fatto di roccia. Rilassati.image

Un’altra parte di grotta, illuminato il terzo pezzo di passerella, nascondeva una parete estremamente attiva. Le gocce d’acqua cadevano con una frequenza notevole fino a formare una stalagmite a forma di cervello.

The brain.

Sì, magari non riuscite ad immaginarla. La cosa che dovete fare è spaziare con la fantasia. Goccia dopo goccia, l’acqua si era sedimentata fino a formare una forma tonda, tridimensionale ovviamente. La caratteristica che faceva pensare al cervello era la superficie. Si erano formate delle ondine, delle pieghe naturali che rimandavano alla superficie cerebrale.
Un altro motivo per cui quella parte di roccia fosse chiamata così, era sicuramente il fatto che fosse l’unica tutt’ora attiva.

Un’altra formazione impressionante era quella delle colonne. Stalattiti (dall’alto) e stalagmiti (dal basso), si incontravano a metà strada dando origine a vere e proprie colonne portanti o sospese sopra il livello dell’acqua.image

Giunti all’ultimo step, la guida ha acceso tutte le luci che fino a quel momento avevano segnato la nostra strada. In un secondo momento ha illuminato solo il drago: da quella prospettiva sembrava ancora di più un vero mostro.

Poi ha spento tutto.

Un’emozione incredibile. Il buio pesto ci ha avvolto e la sua voce di sottofondo ci spiegava che quando la grotta è stata scoperta era così, totalmente al buio. Un uomo lì sotto, senza la luce, si troverebbe totalmente disorientato nel giro di venti minuti.

Ha smesso di parlare.

Io mi sentivo disorientata dopo trenta secondi. Non avrei mai mosso un passo senza la luce nonostante sapevo che la piattaforma in legno fosse abbastanza grande.

Spero di essere riuscita a portarvi laggiù insieme a me.

Erica, anzi Atmosferica.

Altro giro, altra corsa.

Un po’ come quando bisogna scegliere un ristorante per la cena, decidere se mangiare carne o pesce, assaporare un bicchiere di vino rosso o di vino bianco, ci siamo trovati stamattina a valutare se spostarci 200 chilometri verso nord-ovest (Margaret River) o se dirigerci 350 chilometri a sud-est (Albany).

Per noi è diventato normale dover macinare ogni giorno queste distanze.

Non l’avrei mai detto ma sì, lo sto dicendo.

Se penso a quante volte ho percorso centinaia di chilometri in Italia, mi rendo conto che è successo solo in occasione delle vacanze estive, oppure per fugaci week-end quando la voglia di toccare la costa ligure era tanto convinta da non badare allo stress del viaggio.

Qui invece solo pochi bivi fanno rallentare la corsa e lo stress non è un nostro problema. Una volta che ci mettiamo in strada, inizia ogni giorno un viaggio anche interiore continuamente stimolato dai paesaggi e dai testi di canzoni rappate o più tranquille.

Ieri siamo arrivati a toccare Manjimup, a sud di circa 150 chilometri da Donnybrook, la meta iniziale.

La grande perturbazione continua ad accompagnarci ed è strano anche questo.

Non credete?

Questo grande cielo, quando si arrabbia sembra ancora più grande. Mi viene inevitabilmente da pensare al tempo atmosferico in Italia. Quando in una città piove, capita che in un’altra distante anche solo 50 chilometri ci sia il sole.
Qui, il maltempo ci sta seguendo da due giorni, anzi no, sta semplicemente coprendo una vastissima area.

Piove, fa freddo e vi dirò che tra poco recupero un paio di calze.

Piedi freddi.

La giornata di ieri, è stata comunque una scoperta. Dalle porte di Donnybrook una Farm dietro l’altra. Ci siamo fermati alle prime due e le parole delle due bionde ragazze con cui abbiamo parlato, sono state chiare:

“La raccolta inizierà tra un paio di settimane.”

Piante di mele e pere disposte su lunghe file perfettamente allineate, vigneti immensi coprivano aree pianeggianti o piccole colline con terreno leggermente in pendenza. Ho visto campi di ulivi, prugneti, animali al pascolo come mucche marroni e maculate, pecore e cavalli.

Dicevo che sono state per noi scoperte, abbiamo finalmente visto con i nostri occhi come si presentano le tanto rinomate Farm. Molto semplicemente sono case, spesso belle case, che controllano piantagioni di diversi tipi, affiancate l’una all’altra. L’attività di ognuna era ferma.

Farm ferme.

🙂

Grandi cartelli scritti a mano, segnalano dalla strada la vendita di frutta per chi volesse fare rifornimento. Per noi sono stati solo segnali di un possibile lavoro.

Bene, dopo aver constatato che l’attività inizierà con l’arrivo di febbraio, abbiamo deciso di spostarci.

Margaret River è una meta turistica posizionata sulla costa a sud di Perth. Dalle previsioni meteo abbiamo visto che la perturbazione si spinge fino a lì e da guide informative, abbiamo letto che è il periodo per la raccolta dell’uva.

Se anche lì non troveremo fortuna, sfruttiamo comunque l’occasione di restarci qualche giorno per godere delle famose bellezze di quei posti.

Siamo tranquilli e pieni di ottimismo e pazienza cari amici lettori, grazie a Vando ci sentiamo invincibili.

Erica, anzi Atmosferica.