Shell Beach.

Era una spiaggia di conchiglie salate. Piccole e bianche, a punta o rotonde.
Erano milioni, miliardi o forse infinite.

Una distesa candida che facevo fatica a credere fosse reale.

Shell Beach, la spiaggia delle conchiglie.

Il sole batteva a picco sopra la mia testa, erano le due del pomeriggio, il momento più caldo della giornata, ma volevo resistere.
Protezione sulla faccia e, come al solito, litri di acqua.
Generalmente le temperature calde e insopportabili si alternano ai 30 gradi ventilati ma non era quello il caso.

Dicevo che quella spiaggia, in mezzo al niente, si bastava. Non aveva bisogno di null’altro per sembrare una meraviglia senza confini.

Per arrivare alla riva, una serie di dune, mi facevano perdere per un momento la visuale del mare. Quando sembrava fosse l’ultima, ne arrivava un’altra.

Su e giù, su e giù.

Sole troppo caldo. Sì, mi stava cuocendo.

Volevo bagnarmi la testa, dovevo mettermi una protezione ancora più alta.

“Mattia? Mettiamo la 100?”

Erica resisti.

Finalmente alla riva, abbiamo scoperto l’orizzonte. L’acqua era cristallina, molto bassa e calda. Per più di cento metri, potevi camminare verso l’infinito senza che il livello superasse la metà del polpaccio. Per questo motivo era calda.

Era calma. Onde inesistenti. Caratteristica predominante delle spiagge qui nei dintorni.

Francesca ha iniziato a camminare, la vedevo allontanarsi e farsi sempre più piccola. Io ho trovato un punto di pace a pochi metri dalla riva. Mi sono sdraiata a pancia in giù e non ero completamente sommersa.

A parte qualche voce di turisti francesi, tutto era in pace. Non guardavo verso l’orizzonte, ero parallela rispetto a lui e Mattia era a pochi metri da me. Per qualche minuto seduto, per altri sdraiato.

Silenzio.

Mi sono raccontata delle storielle sulla vita, giocando con le piccole conchiglie incastonate nella sabbia. Mi sono rilassata e non sentivo più il caldo. Stavo bene.

Francesca tornava. Camminava, camminava, ma non arrivava mai. Si stava avvicinando a noi ma era sempre lontana.

Scavando con la mano, ho scoperto la sabbia sotto le conchiglie. Era color creta, un grigio scuro, nettamente in contrasto con il bianco brillante.

Stringevo manciate di conchiglie tra le mani e le portavo fuori dall’acqua. Le guardavo, le scrutavo e ad ogni manciata, speravo di addocchiarne una diversa, speciale.

Non sapevo quanto tempo fosse passato, forse mezz’ora, forse dieci minuti. Per l’ennesima volta ero piena, sazia di acqua e natura.

Sale e conchiglie.

Storie e racconti.

Iniziavo a pensare di averne abbastanza quando Mattia mi dice:

“Io sarei a posto…”

“Anche io…”

Avevamo ascoltato il silenzio.

Avevamo imparato abbastanza.

Erica, anzi Atmosferica.