Wave Rock.

Dalla foto potete intuire anche voi, quanto la natura si sia superata anche questa volta.

Mi sentivo sommersa dalle rocce, quelle striature di più colori davano l’idea del movimento, dell’onda. Ho provato a salire camminando sulla pendenza, trovandomi puntualmente a dover indietreggiare.

Mattia ha preso la rincorsa, riuscendo a salire di un paio di metri. Gli ho fatto una foto nella bocca dell’onda.

Lui la voleva da lì.

Io invece, mi sono arresa alla sua forza. La guardavo e mi lasciavo travolgere. Era possente e ho provato anche quella sensazione di impotenza che provo quando la forza dell’oceano mi vuole trascinare.

È difficile descrivere tanta stranezza.

Davanti alla potenza devi arrenderti, guardare, lasciarti assuefare e non pretendere di controllare, gestire o comandare.

Non c’è ragione da cercare.

Non puoi sempre pensare di immaginare e di prevedere i passi dell’universo. L’immaginazione va ad attingere comunque da realtà già viste e vissute. Non crea mai nulla di totalmente nuovo.

La natura può decidere di incurvarsi a formare un’onda anche se non si tratta di acqua, può colorarsi di rosa e formare un lago, può riunire miliardi di conchiglie in una sola spiaggia.

Tu devi stare a guardare.

Sì, e devi farlo in silenzio.

Wave Rock è un sito naturale in mezzo a innumerevoli chilometri quadrati di steppa. Continuando il breve percorso segnalato con delle frecce in legno, siamo arrivati in cima a quell’ammasso di roccia rossa e da lassù si poteva godere di una vista stupenda.

Mi sentivo un po’ il Re Leone quando guarda la savana dall’alto. Era impressionante come da lì potessi avere una visuale completa di tutto ciò che c’era intorno.

Mi sentivo una Regina.

“Ma qui non ci sono i leoni?”

…ho chiesto a Mattia.

“No, solo canguri!”

Mi ha risposto.

Mi sono fatta una risata andando oltre il reale, volevo a tutti i costi pensare che in quella distesa di erba bruciata, vi potessero vivere anche tigri, leoni, ghepardi e zebre.

E poi…

Io di canguri VIVI non ne ho ancora visti.

Sono ancora libera di lasciar galoppare la mia fantasia, popolando questa terra con decine e decine di animali qui mai vissuti.

La vista da lassù potete immaginarla come un quadro che raffigura una distesa di diversi colori chiari e scuri, verde, marrone, giallo, arancione e bianco. Ogni sezione di colore, su quel dipinto, ha una forma geometrica ed è separata da linee nette.

Finisce un colore, ne inizia un altro.

Al centro dei campi, costruzioni cubiche di fieno mi facevano capire che qualcuno si era preso cura del terreno. Lo notavo anche dal segno lasciato dai trattori, lunghe strisce a colori alterni.

Marrone chiaro,

marrone scuro,

marrone chiaro,

marrone scuro.

Erano ben identificabili le aree appena state soggette ad incendi. Erano tante. In quel caso erano bianche, con tronchi neri spezzati e rami senza vita disidratati.
Alcuni alberi però, forse i più giovani, avevano resistito. Avevano avuto più forza. Non avevano più la corteccia a proteggerli ma solo lo strato subito sottostante. Facevano impressione perchè quella nuova corteccia in fase di rinascita, brillava. Era di color bronzeo e con i raggi del sole rifletteva una luce particolare, luccicante.

Avevamo sentito qualche giorno fa di incendi divampati in queste zone. Le temperature sono alte e la siccità la senti sotto la pelle.

Mi ha fatto effetto vedere che il fuoco si sia spinto velocemente fino al ciglio bloccando sicuramente la viabilità dell’unica strada. Quando ci immaginiamo un incendio, lo vediamo comunque circoscritto ad un area, ad un bosco.

Qui no.

Quando inizia a bruciare, rischia di non fermarsi mai. Non ho idea di quanta acqua sia servita e quanti vigili del fuoco siano intervenuti per bloccare il divampare delle fiamme.

Ho l’idea solo di quel che ho visto.

Un’idea che poche ore fa, non avrei mai potuto pensare di avere.

Aprite la mente e siate pronti a viaggiare.

Erica, anzi Atmosferica.