Il meglio di me.

Ecco che in un batter d’occhio, mi trovo a scrivervi dal Victoria, la Regione che ospita la città di Melbourne. In pochi giorni ci siamo lasciati alle spalle il Western Australia e il South, posizionandoci così ai posti di blocco per una nuova meta. La strada che ci separa dalla grande città si chiama Great Ocean Road e anche solo il nome può dirvi molto. È uno dei tratti più spettacolari dell’Australia a cui è difficile rinunciare scegliendo così di percorrerlo non badando a strade alternative, più brevi.

La connessione Wi-Fi in questo campeggio di Warrnambool è potente e stranamente di durata giornaliera. Posso così prendermi la calma di scrivervi e sbizzarrirmi più tardi sul web facendo un sano zapping tra siti di mio interesse.

Oggi me la godo.

Siamo partiti stamattina da Mount Gambier (Sembra anche a voi un nome francese?) dove abbiamo passato la notte e prima di riaccendere i motori, abbiamo visitato il Blue Lake. Un lago formatosi nella bocca di un vulcano che mette a tacere ogni possibile lamentela o borbottìo. Sulla ringhiera lucchetti colorati, di amici o innamorati, hanno attirato la mia attenzione diventando parte integrante del paesaggio, della visione.

Una giornata grigia e umida ci ha accompagnato fino a qui, per 187 chilometri verso sud-est.

Per combattere con il problemino di cui vi ho parlato ieri, mi sono piazzata alla guida, ricercando stimoli creativi nella concentrazione. Quando si viaggia, tutto passa veloce ma può succedere che pensieri birichini, vogliano essere ancora più veloci azzardando con un sorpasso sulla sinistra (Qui è vietato!!). Ti trovi così sorpreso e impotente davanti a un azzardo del genere, vai su tutte le furie ma devi placare l’istinto di accelerare per corrergli dietro.

È difficile ma devi, altrimenti finisci per farti male.

Nel tragitto abbiamo deviato per Portland, un paesino sulla punta di una piccola penisola, attraversando valli verdi coperte dalla nebbia. Eh sì, una fitta nebbia. Il paesaggio era collinare e la strada seguiva le sue curve, mucche nere nere pascolavano nutrendosi di sana erba e pecore grigie grigie si intonavano con il cielo. Non avrei mai pensato di imbattermi in banchi di nebbia del genere ma appunto per questo, è stato suggestivo. Sorprendente.

Sulla punta di Portland, ho visto l’orizzonte dell’oceano annebbiato e ho iniziato a “canticchiare” inconsciamente quella poesia di Carducci che la Maestra Enza mi aveva fatto imparare a memoria alla scuola elementare.

“La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar.”

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La prima strofa faceva così e continuavo a ripetere quella perché parlare de  “l’aspro odor dei vini” o dello spiedo che gira sui ceppi accesi scoppiettando, mi sembrava del tutto fuori luogo.

🙂

La Maestra Enza.

Che ricordi che ho rispolverato…

Mi voleva bene ed ero la sua seconda preferita dopo la Bonfanti, la sua cocca nonché mia migliore amica. Ricordo che quando aveva bisogno di un quaderno di italiano per ricordare a che punto si fosse fermata con la spiegazione la lezione precedente, chiedeva sempre il suo. Il mio lo chiedeva solo quando la Bonfanti era assente.

Iniziai così a scrivere come lei e a comportarmi come lei perché sotto sotto, avrei voluto essere io la cocca della Maestra Enza. Ricordo che era una signora di mezza età e portava occhiali da vista con lenti spesse spesse. Sulle sue labbra non mancava mai un filo di rossetto e sulle sue unghie uno smalto rosato. Quando si arrabbiava faceva abbastanza paura e quando si lasciava andare a momenti di dolcezza, mangiava il suo Pocket Coffee che custodiva golosamente nel taschino.

Al momento di imparare le poesie a memoria diventavo matta. Mia mamma mi aiutava e ricordo che ripetevo la stessa manfrina più e più volte, commettendo più e più volte gli stessi dannati errori.

Invece che dire…

“Va l’aspro odor dei vini..”

dicevo…

“Va l’aspro odore del vino…”

Banale errore che toglieva poesia alla poesia. Non riuscivo ad immedesimarmi nello scrittore, nella sua mente, nelle immagini da lui descritte. Studiavo come fossi una macchinetta, senza capire il significato di quei versi in rima che mi facevano impazzire per lunghe ore. Al momento dell’interrogazione, mi batteva il cuore, mi sudavano le mani e ripetevo meccanicamente quel che avevo ripassato fino alla noia, la sera precedente.

Volevo essere perfetta, almeno come la Bonfanti. Volevo prendere un bel voto e tornare a casa soddisfatta dalla mamma. Ogni volta però, qualcosa mi bloccava e non riuscivo mai a dare il meglio di me.

Vorrei incontrare la Maestra Enza, vorrei farle leggere una poesia scritta da me. Magari quella che ho scritto quando “Il deserto, mi ha parlato.” oppure quella che ho scritto su “Una panchina blu e bianca…” in quel poetico 4 Dicembre. Vorrei recitargliela e prendere finalmente un voto, il mio voto.

Il meglio di me.

Erica, anzi Atmosferica.

Il blocco dello scrittore.

Oggi sono totalmente bloccata.

La mia mente ripensa ad un simpatico aneddoto, accaduto circa un mese fa quando ancora lavoravo in Farm a Pemberton.

Matteo in uno dei nostri discorsi, ricordo che mi parlò di quanto fosse stupito dal fatto che io avessi qualcosa da dire ogni giorno. Questa sua riflessione, lo portò a rivolgermi una domanda:

“Ma se un giorno ti capiterà di avere il “blocco dello scrittore” che farai? Di che parlerai? Non scriverai?”

In maniera disinvolta e simpatica risposi:

“Beh, parlerò del “blocco dello scrittore” e cercherò di capire cosa mi lascia senza parole…”

🙂

Credo sia arrivato il giorno.

Non che non abbia nulla da raccontare, anzi avrei molto da dire, ma credo che i miei pensieri siano così fitti e nervosi da non farsi prendere, analizzare, selezionare. Sento un forte baccano nella mia testa, accentuato dal vento che mi sbatte in faccia entrando dal finestrino di sinistra.

Potrei provare insieme a voi, a capire il motivo di questo intasamento. Voglio provare a gettare l’amo e, se un po’ di fortuna mi assisterà, pescherò i pesci più grossi e sostanziosi… In questo mare agitato che non si dà pace. Mi sono resa conto di questa difficoltà quando, dopo aver scritto qualche riga, cancellavo e riscrivevo. Cancellavo e riscrivevo di nuovo. E poi ancora…

Vorrei parlare a voi Donne che mi leggete, vorrei scrivere del nostro viaggio che da Adelaide sta proseguendo verso sud e vorrei, attraverso la scrittura, spegnere questa forte insofferenza che mi chiede insistentemente un letto, una stanza, un armadio.

Procedendo con ordine, vorrei dire a tutte voi Donne che siete una potenza incredibile. Non dimenticate mai, e dico mai, quanto siete speciali per voi stesse, per le altre Donne e per gli Uomini della vostra vita. Se non ci fosse questa forte forza che mi tira verso il basso, oggi, riuscirei a trasmettervi più energia e motivazione ma vi chiedo di cogliere questa mia vicinanza espressa in poche righe e senza troppi giri di parole.

Tanti auguri a tutte voi e se per caso oggi non riceverete gialle mimose, fregatevene perché non sono dei banali fiori a determinare il vostro grado di importanza nel mondo e nella vita. Voi siete vita. Voi date la vita.

I fiori colorano una stanza di profumo, voi rendete il mondo migliore.

Vi dedico il tramonto di Adelaide, con i suoi colori e la sua atmosfera. Condivido con voi questa palla infuocata che illuminava i miei vestiti e l’acqua del mare, diffondendo una luce dorata nel buio della sera.

Il secondo argomento da affrontare è il nostro viaggio. Stiamo scendendo verso la città di Melbourne ma prima di toccare la meta, faremo delle soste lungo la strada. Ovviamente. Potete geolocalizzarci a Mount Gambier, a sud di Adelaide di circa 400 chilometri. Nonostante sia iniziata da qualche giorno la stagione autunnale, qui il caldo non si è ancora placato e finché lì da voi non smette di nevicare, penso che per la storia dei contrari, qui continuerà a persistere un caldo direttamente proporzionale al vostro freddo.

Il terzo argomento è quello della sofferente insofferenza che mi colpisce sempre senza preavviso. Sto ascoltando il mio corpo e i miei bisogni, sto parlando tanto nel mio silenzio e sto andando a fondo di parecchie questioni. Mi sto analizzando. Ormai è dal 28 Dicembre che vivo una vita nomade, dormendo in un Van Mitsubishi, caro e insostituibile Vando. Gli sarò per sempre grata dei meravigliosi posti che mi ha fatto vedere sfidando temperature ardenti e tempeste impetuose, ma il mio fisico inizia a cedere. Ultimamente sento il bisogno di sprofondare in un letto, di ripiegare ordinatamente i miei vestiti in un armadio e di avere un bagno tutto mio, senza doverlo condividere con le signorotte che sto incontrando nei campeggi di tutta Australia. Credo di aver bisogno di stabilità e di spazi solo miei dove potermi ritrovare e riordinare, rilassare e ascoltare. Dall’altro lato però, questo mio bisogno deve essere placato ancora per qualche giorno. Devo fare pace con corpo, anima e cervello perché non è ancora il momento…

Non posso fermarmi, non ora.

Erica, anzi Atmosferica.

A spasso per Adelaide.

Vi porto con me in perlustrazione nella città di Adelaide, South Australia.

Dopo una sveglia afosa e faticosa, abbiamo raggiunto il centro distante UNDICI insofferenti chilometri dalla West Beach, area in cui abbiamo campeggiato per tre notti. Il tragitto in mezzo al traffico lento e la cappa di smog causata dal tempo uggioso e umido, non erano di buon auspicio. Mattia, ad ogni semaforo più lungo di trenta secondi, faceva andare la gamba nervosamente tanto che, ad un certo punto, ha esclamato:

“Il mio livello di sopportazione è pari a ZERO!”

Sono scoppiata in una risata fragorosa delle mie, rendendomi conto che la mia sensazione si rispecchiava totalmente nella sua. Giuro che sarei scesa e me la sarei fatta a piedi, ci avrei messo meno. Dopo intere giornate a macinare chilometri senza trovare il minimo ostacolo o rallentamento, è inevitabilmente scaturito in noi questo odio irrefrenabile nei confronti delle comuni regole di circolazione.

Il sistema viario lo definirei rettangolare. È questa la forma della parte principale della città, attraversata da ordinate ampie strade che si intersecano perpendicolarmente. Un grande rettangolo, al centro del quale si trova Victoria Square, circondato sul perimetro da parchi verdi curati con precisione.

Dopo aver parcheggiato Vando, abbiamo iniziato la nostra lunga camminata che si sarebbe protratta per circa quattro ore, concludendosi con una bella abbuffata di sushi.

Quanto mi mancava!

Ho iniziato a camminare con il naso all’insù, cercando per chissà quale motivo, grattacieli o alte costruzioni. Niente di questo genere all’orizzonte. Dopo aver vissuto più di un mese a Perth, la mia mente associa ad ogni città, immensi e possenti palazzoni ma qui, nemmeno l’ombra.

L’area identificata come “China Town” non manca. Vie piene zeppe di negozi e ristoranti cinesi sono state le prime attraversate e fin lì, nulla di nuovo. Mi sembrava di stare in una qualunque città già conosciuta dove accessori di ogni genere vengono venduti a basso prezzo e dove non mancano insegne incomprensibili e negozi per turisti. A voce alta pensavo e sorridevo…

“Ma quindi?? Dove inizia la città?”

Ero curiosa di conoscere la sua identità, la sua faccia, senza avere di mezzo realtà insediate successivamente.

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Svoltato l’angolo, eccoci in Victoria Square. Delusione. La piazza era totalmente ricoperta da tendoni bianchi di forma tondeggiante che non mi permettevano di vedere dall’altra parte. Davanti a me vedevo una fontana che perdeva ogni magia a causa di quelle impalcature ingombranti che ho cercato di non inquadrare scattando la mia fotografia (come vedete in copertina) e, se alzavo lo sguardo, edifici alti quindici piani facevano da contorno. Sul perimetro della piazza viaggiavano a velocità lenta e ordinata un paio di tram che scorrevano su binari precisi e verdi.
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La nostra camminata prosegue così verso la via centrale, l’unica zona pedonale. Sia a destra che a sinistra, famosi marchi prendevano scena e parecchi artisti di strada intrattenevano il pubblico esprimendo le loro particolari doti.

Due di loro mi hanno colpito.

Lui e lei, due fratelli. Lui tredici anni e lei dieci. Circoscritta la loro area di esibizione con una corda rossa, invitavano i curiosi a disporsi vicini e lungo la riga. Lui aveva una buona parlantina e scherzava con i passanti proprio come fanno quelli di trent’anni più grandi. Recitavano una sorta di filastrocca per introdurre l’esibizione e per attirare quanta più gente possibile. Lei era piccolissima, indossava un top e un gonnellino rosa, che si abbinavano perfettamente alla sua scura carnagione. Seguiva il fratello in modo meccanico, sia nelle esclamazioni che nei loro passi di danza. Non sono riuscita a capire se lo facevano per passione o se la vita di strada li aveva obbligati ad inventarsi e reinventarsi. Lei era stanca, il caldo la indeboliva e tutte quelle capriole e torsioni erano per lei una fatica. Sapeva perfettamente quale mossa avrebbe seguito la precedente e si abbandonava tra le braccia di lui con totale fiducia e amore.

Una monetina se la sono meritata.

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Alla fine di quella via estremamente musicale e viva, abbiamo svoltato a sinistra. La strada terminava con maestose costruzioni tra alberi sempreverdi e siepi. Era l’Università di Adelaide che esprimeva bellezza all’interno di un parchetto aperto al pubblico.

Mi sono seduta su una panchina, dove la vista era coperta ma non disturbata dal verde che mi circondava. Mi sono per un attimo teletrasportata nei chiostri dove studiavo durante i miei anni universitari a Milano. Mi sedevo su un muretto, su un gradino, su una panchina e ricordo che leggere un’ora all’aria aperta, mi rendeva di più che tre ore incastrata in un banco e tra quattro mura. Mi piaceva. Respiravo in quel momento la stessa pace e la stessa atmosfera di conoscenza che in quei chiostri di Milano riempiva i miei polmoni. Sono rimasta seduta per una mezz’ora apprezzando il silenzio pulito che mi avvolgeva come le pareti di quei maestosi ed eleganti edifici.

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Ieri era domenica quindi nessuno studente all’orizzonte. Mi sarebbe piaciuto osservare l’andirivieni di ragazzotti australiani con le braccia cariche di libri e l’espressione orgogliosa. Gruppetti di ragazze che se la contavano sul marciapiede dopo aver posato le loro biciclette dipinte con colori pastello.

Mi sono immaginata questa ipotetica scena di un giorno infrasettimanale.

Tornando alla macchina la pioggia ha deciso finalmente di palesarsi senza più rimanere imbrigliata in nuvoloni neri e rumorosi. Mi sono spostata verso il ciglio della strada dove non sarei stata riparata dalla tettoia che copriva il marciapiede. Volevo sentire anche la pioggia di questa città e conservare dentro al mio cuore un ricordo particolare.

La pioggia di Adelaide.

Erica, anzi Atmosferica.

Hello from Adelaide.

Tanti cari saluti da Adelaide.

Questo nome suona bene nella mia testa, mi piace.

Sembra quasi una città italiana, mi viene facile pronunciarla a differenza di Perth. Sì perché è sempre stato un problema capire come posizionare la lingua per dire correttamente quel nome. Vi giuro, però, che ho sempre evitato di italianizzarlo dicendo “PEEERT” con la “E” spalancata e la “T” dura come quella di un “TRONCO”.

Chiusa questa parentesi, siamo arrivati qui nella prima città che si tocca nel South Australia, provenendo dal Western. Dopo migliaia di chilometri nel vuoto, mi ha fatto effetto incontrare semafori rossi e dover pazientare in mezzo al traffico. Per un istante mi sono sentita nervosa ed insofferente nel dover aspettare tutto quel tempo. Muovevo le gambe e continuavo a cambiare posizione sul sedile.

“Dai! Forza!! Circolate!”

Se avessi avuto super poteri, avrei sicuramente velocizzato i tempi.

Non ci siamo subito addentrati nel centro preferendo rimanere nella zona residenziale di periferia, dove abbiamo fatto una tappa necessaria al supermercato e prenotato tre notti in campeggio.

Ci troviamo quindi già a casa, il cielo è azzurro e il prato è curato da qualche individuo assai preciso. Vando è parcheggiato su una piazzola di cemento rosso, allineato perfettamente con altri Van e Roulotte. Si sta bene senza le maniche e con le braghe corte, ma non c’è il caldo che abbiamo patito in questi giorni durante la traversata.

I quartieri periferici sono tranquilli. In ampi viali alberati sono disposte con precisione grandi case piatte e larghe, garage puntualmente incorporato nel lato destro della villa e jeep rigorosamente parcheggiato davanti. Sono tutte di colore rosso, marrone o beige e sono tenute alla perfezione, precise, ordinate e apparentemente nuove, pulite e ricche.

Netto contrasto con le case degli ultimi paesi del Western Australia. Nulla a che vedere con quelle zone abbandonate e prive di luce dove vedere una persona seduta in giardino a leggere un libro, sarebbe stato un vero miracolo.

Siamo vicini all’aeroporto e attaccati alla West Beach. Mi prenderò il tempo per andare a curiosare dietro a questa fila di alberi e siepi che mi separano dal mare, come per fare molto altro. Poi vedrete! Sopra le nostre teste, quindi, prendono il volo aerei bianchi e arancioni. Che effetto vederli decollare. Ripenso inevitabilmente a quando ho spiccato il volo e mi trovavo schiacciata dalla pressione a quel sedile che, nel giro di trenta secondi, aveva già preso la mia forma. Guardavo fuori dall’oblò, felice e curiosa di sapere quel che sarebbe stato di me. Ero tranquilla, non avevo paura e mi sentivo comunque al sicuro.

(Avrete già capito che oggi sto andando a ruota libera. Non sto seguendo un filo del discorso, ma è proprio questo il bello. Seguitemi voi!).

Oggi abbiamo quindi viaggiato per 309 chilometri, la distanza che separava Port Augusta da Adelaide. Inutile ribadire che sono state tre centinaia di spazi deserti, gialli e secchi. Due sagome al lato sinistro della strada hanno catturato la mia attenzione.

“Mattia rallenta…”

Ci avviciniamo, erano due ciclisti.

Papà erano due ciclisti!

Lui e lei, erano affaticati e molto attrezzati. Un sorriso di soddisfazione è comparso sul loro viso, quando hanno capito di essere i protagonisti della mia fotografia. Hanno alzato un braccio per salutare e per comunicare gratitudine. Non so da dove siano partiti, non so per quanti chilometri abbiano pedalato. Tenendo conto che nei 1900 chilometri che li precedevano, c’era il deserto più secco e aridamente assoluto che ci possa essere, credo proprio siano partiti da Perth. In questo momento staranno ancora pedalando ma devo dire che ormai sono decisamente a buon punto.

Stima e rispetto per loro.

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Ne approfitto e vi faccio vedere anche il maratoneta incontrato ieri nel tratto da Ceduna a Port Augusta. Ve ne ho parlato nell’articolo precedente e penso che vedere la sua immagine, renda la sua descrizione ancor più toccante. Alle sue spalle potete vedere la strada già da lui percorsa e vi invito a fare una riflessione: prendete quel tratto di circa un chilometro e moltiplicatelo per 1986 volte. Ecco, quell’uomo sta conquistando passo dopo passo ogni singolo metro di quel rotolo bollente che si stende sotto ai suoi piedi.

Un mito.

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Penso che la tenacia, la forza di volontà e lo spirito di avventura di queste persone, superi l’inimmaginabile.

Sono senza parole.


Nei giorni passati, mi sono arrivati parecchi messaggi indiretti da voi che leggete. Vorrei fare un appello a tutti gli amici di amici, parenti di parenti, cugini di cugini, amiche di sorelle e amici di genitori, dicendo che avrei il piacere di parlare direttamente con voi! Sarei curiosa di scambiare due parole con ognuno di voi, avendo così il riscontro che desidero.

Potete scrivermi qui sotto lasciando un commento, oppure se volete lasciarmi un messaggio, un’impressione o una critica in privato, potete farlo sia attraverso la pagina Facebook di Atmosferica  sia con una semplice e-mail a erica.maddaloni@gmail.com

A domani!

Erica, anzi Atmosferica.