Into the Wild.

Due anni lui gira per il mondo: niente telefono, niente piscina, niente cani e gatti, niente sigarette. Libertà estrema, un estremista, un viaggiatore esteta che ha per casa la strada. Così ora, dopo due anni di cammino arriva l’ultima e più grande avventura. L’apogeo della battaglia per uccidere il falso essere interiore, suggella vittoriosamente la rivoluzione spirituale. Per non essere più avvelenato dalla civiltà lui fugge, cammina solo sulla terra per perdersi nella natura selvaggia.

Christopher McCandless – Into the Wild


Attraversa fiumi e pianure infinite, si lascia trasportare da un treno merci e si trova in una città di grattacieli. Los Angeles. Guarda le gigantesche costruzioni con stupore, cammina disorientato per la strada e si trova a chiedere l’ora ad un passante in giacca e cravatta che gli risponde guardandolo schifato. La faccia sporca, lo zaino pesante, troppa confusione, i capelli sporchi di viaggio e natura e lo sguardo perso nelle luci della città.

Non ha una lira, non conosce il domani e si trova a chiedere informazioni ad una nera signora dai capelli corti, allo sportello di accoglienza di un dormitorio. Lei gli regala un cioccolatino, gli offre un letto e lo rende felice.

Quella è per lui vita.

La sera, da quel quartiere malfamato, si trova ancora una volta a guardare i possenti grattacieli da lontano, seduto su un marciapiede, casa di tanti senzatetto per i quali, un letto non c’era. Ha respirato in quel momento la differenza abissale tra la povertà e quel qualcosa di tanto grande ma per lui inutile, la ricchezza. Si scontravano senza parlare, nel silenzio assordante di quella notte.

Proseguendo la sua passeggiata notturna, passa davanti ad un locale. La gente parla costruendo rapporti di pura facciata, finti, di convenienza, dialoghi ubriachi riempiono le bocche di vino rosso e vodka liscia, la musica copre le voci, uomini corteggiano donne solo per dimostrare una virilità inesistente davanti agli occhi degli amici che guardano divertiti e lui, intanto, segue tutto con gli occhi pieni di odio.

Che rabbia.

Tornato in dormitorio, ringrazia la nera signora per la sua gentilezza, prende il suo zaino e riparte.

La stessa notte.

È troppo incazzato per restare.


Si trova ora in Alaska, nell’azzurro bus abbandonato diventato la sua casa, un rifugio dal freddo e dall’infinita natura selvaggia. Nel mezzo del niente, nascosto dietro a dei cespugli. Sta male, ha fame ma non è riuscito a cacciare nessun animale. Una pianta velenosa gli ha causato un forte malessere.
Pensa di morire intossicato.

Si trova così a ripensare a tutte le persone incontrate, alle strane situazioni che lo hanno arricchito e segnato. Quell’anziano avrebbe voluto prenderselo in casa come fosse suo nipote, la sua famiglia si stava tutt’ora chiedendo dove fosse finito, quella ragazzina lo aveva abbracciato con il cuore a duemila, la coppia hippie lo aveva trattato come un figlio offrendogli cibo, compagnia ma soprattutto amore.

Si sente solo e pieno di sconforto per pensare alla vita di domani. In quello stato di terribile vuoto, dove ogni energia manca, ha la forza di prendere in mano la sua penna nera e il suo diario, ha la lucidità di scrivere:

“Happiness is only real when shared”

“La felicità è reale, solo se condivisa”


Il viaggiatore alla ricerca di se stesso, si è forse spinto troppo lontano. È andato in un posto sperduto dove non ha saputo cercare la propria vita prima della propria anima. La fame di conoscenza, ha messo in secondo piano gli altri bisogni fisiologici che prima o poi avrebbero gridato aiuto. Leggeva e non cacciava, scriveva e il tempo passava. Quel bus abbandonato è stato probabilmente la vera casa che non aveva mai avuto, un rifugio dove scavare a fondo.

Ha trovato la fine guardando il cielo e piangendo lacrime di gioia.
In Alaska.

La vita è una continua ricerca e non avrà mai una risposta finale e certa, conclusiva, chiarificatrice. Bisogna sapersi mettere in gioco, accettare le sfide e una volta trovata una risposta, passare alla domanda successiva. La vita deve essere uno stimolo continuo e non deve mai essere intesa come un cammino, nel deserto, senza una meta.
Senza direzione.
Senza acqua.
Senza.

Deve essere un atto di coraggio, una scommessa sì, ma non un gioco d’azzardo.

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Erica, anzi Atmosferica.

Il meglio di me.

Ecco che in un batter d’occhio, mi trovo a scrivervi dal Victoria, la Regione che ospita la città di Melbourne. In pochi giorni ci siamo lasciati alle spalle il Western Australia e il South, posizionandoci così ai posti di blocco per una nuova meta. La strada che ci separa dalla grande città si chiama Great Ocean Road e anche solo il nome può dirvi molto. È uno dei tratti più spettacolari dell’Australia a cui è difficile rinunciare scegliendo così di percorrerlo non badando a strade alternative, più brevi.

La connessione Wi-Fi in questo campeggio di Warrnambool è potente e stranamente di durata giornaliera. Posso così prendermi la calma di scrivervi e sbizzarrirmi più tardi sul web facendo un sano zapping tra siti di mio interesse.

Oggi me la godo.

Siamo partiti stamattina da Mount Gambier (Sembra anche a voi un nome francese?) dove abbiamo passato la notte e prima di riaccendere i motori, abbiamo visitato il Blue Lake. Un lago formatosi nella bocca di un vulcano che mette a tacere ogni possibile lamentela o borbottìo. Sulla ringhiera lucchetti colorati, di amici o innamorati, hanno attirato la mia attenzione diventando parte integrante del paesaggio, della visione.

Una giornata grigia e umida ci ha accompagnato fino a qui, per 187 chilometri verso sud-est.

Per combattere con il problemino di cui vi ho parlato ieri, mi sono piazzata alla guida, ricercando stimoli creativi nella concentrazione. Quando si viaggia, tutto passa veloce ma può succedere che pensieri birichini, vogliano essere ancora più veloci azzardando con un sorpasso sulla sinistra (Qui è vietato!!). Ti trovi così sorpreso e impotente davanti a un azzardo del genere, vai su tutte le furie ma devi placare l’istinto di accelerare per corrergli dietro.

È difficile ma devi, altrimenti finisci per farti male.

Nel tragitto abbiamo deviato per Portland, un paesino sulla punta di una piccola penisola, attraversando valli verdi coperte dalla nebbia. Eh sì, una fitta nebbia. Il paesaggio era collinare e la strada seguiva le sue curve, mucche nere nere pascolavano nutrendosi di sana erba e pecore grigie grigie si intonavano con il cielo. Non avrei mai pensato di imbattermi in banchi di nebbia del genere ma appunto per questo, è stato suggestivo. Sorprendente.

Sulla punta di Portland, ho visto l’orizzonte dell’oceano annebbiato e ho iniziato a “canticchiare” inconsciamente quella poesia di Carducci che la Maestra Enza mi aveva fatto imparare a memoria alla scuola elementare.

“La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar.”

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La prima strofa faceva così e continuavo a ripetere quella perché parlare de  “l’aspro odor dei vini” o dello spiedo che gira sui ceppi accesi scoppiettando, mi sembrava del tutto fuori luogo.

🙂

La Maestra Enza.

Che ricordi che ho rispolverato…

Mi voleva bene ed ero la sua seconda preferita dopo la Bonfanti, la sua cocca nonché mia migliore amica. Ricordo che quando aveva bisogno di un quaderno di italiano per ricordare a che punto si fosse fermata con la spiegazione la lezione precedente, chiedeva sempre il suo. Il mio lo chiedeva solo quando la Bonfanti era assente.

Iniziai così a scrivere come lei e a comportarmi come lei perché sotto sotto, avrei voluto essere io la cocca della Maestra Enza. Ricordo che era una signora di mezza età e portava occhiali da vista con lenti spesse spesse. Sulle sue labbra non mancava mai un filo di rossetto e sulle sue unghie uno smalto rosato. Quando si arrabbiava faceva abbastanza paura e quando si lasciava andare a momenti di dolcezza, mangiava il suo Pocket Coffee che custodiva golosamente nel taschino.

Al momento di imparare le poesie a memoria diventavo matta. Mia mamma mi aiutava e ricordo che ripetevo la stessa manfrina più e più volte, commettendo più e più volte gli stessi dannati errori.

Invece che dire…

“Va l’aspro odor dei vini..”

dicevo…

“Va l’aspro odore del vino…”

Banale errore che toglieva poesia alla poesia. Non riuscivo ad immedesimarmi nello scrittore, nella sua mente, nelle immagini da lui descritte. Studiavo come fossi una macchinetta, senza capire il significato di quei versi in rima che mi facevano impazzire per lunghe ore. Al momento dell’interrogazione, mi batteva il cuore, mi sudavano le mani e ripetevo meccanicamente quel che avevo ripassato fino alla noia, la sera precedente.

Volevo essere perfetta, almeno come la Bonfanti. Volevo prendere un bel voto e tornare a casa soddisfatta dalla mamma. Ogni volta però, qualcosa mi bloccava e non riuscivo mai a dare il meglio di me.

Vorrei incontrare la Maestra Enza, vorrei farle leggere una poesia scritta da me. Magari quella che ho scritto quando “Il deserto, mi ha parlato.” oppure quella che ho scritto su “Una panchina blu e bianca…” in quel poetico 4 Dicembre. Vorrei recitargliela e prendere finalmente un voto, il mio voto.

Il meglio di me.

Erica, anzi Atmosferica.

Se Vuoi, Puoi.

“Parecchi chilometri più avanti, ormai quasi arrivati al primo obiettivo, veniamo colpiti in piena faccia da una visione. A bocca aperta fissiamo un po’ più avanti, a sinistra. Scopriamo il punto di incontro tra il foglio piatto di terra gialla che ci ha accompagnato fino a quel momento ed il mare. Rallentiamo e prendiamo una stradina laterale. Facciamo qualche centinaio di metri e arriviamo al bordo. Ci fermiamo. Siamo estasiati. In trance. La spianata bruciata termina bruscamente e precipita in mare, trasformandosi in scogliere mozzafiato dai colori stratificati, costantemente picchiate dalla forza delle onde che vi si infrangono senza pietà. Da un lato il cielo è ancora carico di nuvole scure ma dall’altro il sole è tutto impettito perché vuole colpire il mare, dandoci la possibilità di osservare avidamente le mille sfumature di azzurro che racchiude in sé. È tutto così selvaggio, crudo, mai toccato dall’uomo, millenario. I confini dell’Australia, quelli più aspri ed esposti, alti, impenetrabili, invivibili. Il vento ci scompiglia i capelli, il sole ci ferisce gli occhi ma non ce ne preoccupiamo. Quello che abbiamo di fronte è quello che tutti sognano di vedere prima o poi nell’arco della propria vita.”

“La storia di un’Immigrata allo Sbaraglio” di Francesca Cabaletti

Sono queste le parole che Francesca Cabaletti, nelle vesti di Immigrata allo Sbaraglio, utilizza nel suo libro per descrivere quella magica immagine che si presenta senza preavviso davanti ai suoi occhi, e a quelli di suo marito, durante la traversata del Nullarbor Plain, il deserto. Credo che sia riuscita a descrivere magnificamente e senza sforzo lo spettacolo che quella visione le abbia scaturito fuori e dentro, un insieme di colori e forze vitali che si incontrano in un punto.

Quel punto.

Chi l’avrebbe mai detto che mi sarei trovata anche io a percorrere quella stessa strada infinita.

Chi l’avrebbe mai detto che avrei potuto constatare la potenza e la verità di quella descrizione che mi aveva tanto affascinata quanto lasciata incredula.

Mi sono trovata così ad inserire parole chiave nella sezione di ricerca del libro digitale che tengo gelosamente nel mio telefono, per andare a rileggere spezzettoni in cui lei descrive con tanta precisione ed emozione quell’indimenticabile esperienza. Quell’infinita traversata. Quelle strane emozioni che risultano incomprensibili fino a che non le si vive in prima persona.

Ora, rileggendo le sue parole, tutto è comprensibile, credetemi.

Ricordo che prima di partire, mi ritrovavo a leggere i suoi libri e i suoi articoli nei miei viaggi in treno che mi portavano al lavoro o la sera, prima di dormire. Fantasticavo dando colori e profumi alla mia immaginazione, chiedendomi se mi sarebbe stato possibile, un giorno, toccare con mano quella sabbia o sentire sulla mia pelle la salsedine trasportata dal vento impetuoso.

Leggevo senza riuscire a programmare perché la pianificazione della partenza era già troppo ingombrante ma, dentro di me, sapevo che mi sarei portata là dove il cuore batte più forte e la vita sembra quasi un sogno. Prima o dopo, mi sarei trovata in quel punto, dove ti rendi conto che tutto è possibile, anche il dolce incontro tra un’arida pianura ed un mare pieno di rabbia.

Mi sono così trovata anche io in quel posto, percorrendo la stessa stradina laterale di rossa terra battuta. Mi sono trovata anche io ad incassare potenti emozioni causate da giocosi scherzi della natura.

Uh…come si diverte.

Nel momento in cui stai respirando, ti colpisce con una folata che ti sposta di mezzo metro. Nell’attimo in cui stai per schiacciare il bottone sulla macchina fotografica, ti accorgi che il cielo ha cambiato improvvisamente colore e rimani lì a guardare pietrificata dimenticandoti di immortalare l’immagine. Nell’istante in cui pensi di aver osservato abbastanza, il mare esprime il suo disaccordo ricoprendoti di schizzi il viso.

Tutto questo è da vivere.

Questo è il motivo per cui sono qui.

Per vivere.

Sono qui per fare mie queste sorprese. Sono qui perché questa terra ti apre talmente tanto che non puoi più pensare di nasconderti dietro a inutili paure, ai “Potrei” e ai “Vorrei”. Sono qui perché se tutto questo esiste, è giusto che vada vissuto e io personalmente, non ci avrei mai rinunciato.

Ringrazio Francesca Cabaletti che nel suo libro autobiografico , ha stimolato all’ennesima potenza la mia voglia di scoperta e di ricerca, mi ha detto in tutte le salse che avrei potuto volare se solo avessi osato e che le storie del “Potrei” e del “Vorrei” sono tutte cazzate.

Quel punto di incontro ne è la testimonianza.

Se Vuoi, Puoi.

Erica, anzi Atmosferica.

Non è un sogno.

Siamo in viaggio.

Vi scrivo dal sedile di sinistra, quello ricoperto da un asciugamano fantasioso mentre una pioggerella vaporosa si posa sulla grande finestra davanti a me. Piedi appoggiati sul cruscotto e, nonostante il brutto tempo, sento il mio corpo pieno di adrenalina. Il volume della musica è fissato come sempre sul 45 e anche se sono canzoni ascoltate fino alla nausea, oggi mi sembrano tutte nuove.

Guardando fuori da questa finestra che dà sul mondo, mi vengono in mente le parole di un personaggio che compare in “Waking Life”, guardato in campeggio con Matteo pochi giorni fa. Un film pieno di massime condivisibili, riflessioni importanti e assiomi di vita, che affronta il tema del Sogno. Quello che parlava era un uomo alla guida della sua macchina la quale aveva tutte le sembianze di una piccola barca a motore bianca e azzurra.
Da qui, mi sento un po’ quell’autista e anche se non sto guidando, la scena e i miei pensieri si avvicinano ai suoi e al sogno.

Vi trascrivo qui di seguito le sue parole, consigliandovi ovviamente la visione di questo film. Ormai lo sapete che mi piace darvi idee e spunti! Come dice Matteo, noi siamo la somma delle nostre esperienze e delle persone incontrate. Siamo una rete in continua espansione composta di emozioni altrui, consigli, suggerimenti e condizionamenti oltre che di tutto ciò che ci appartiene dalla nascita, dal sangue. Siamo un concentrato di quel che abbiamo visto, incontrato e vissuto e sarebbe bello, un giorno, unire tutte le nostre reti fino a formare un reticolato di condivisione che racchiuda il mondo intero.

“Io credo che il veicolo debba essere un estensione della propria personalità.

Questa è la mia finestra sul mondo, ogni istante è uno spettacolo diverso. Io magari non lo capisco, magari non sono neanche d’accordo con questo mondo, ma sai una cosa? Lo accetto e continuo a galleggiare.

Il viaggio non richiede una spiegazione, ma solo dei passeggeri.

È come arrivare su questo pianeta con una scatola di pastelli, c’è chi ha la scatola da otto pastelli e chi quella da sedici. Ma quello che conta è quello che fai, con i pastelli, con i colori che ti hanno dato. Non state a preoccuparvi di colorare fuori dai contorni, colorate fuori dai contorni, dico io, ma anche fuori dalla pagina! Non mettetevi limiti!”

Tratto dal film “Waking Life”

Mi rimarrà nel cuore Matteo insieme a tutti gli altri amici incontrati a Pemberton.

Triste ma magica Pemberton.

Ieri sera Stefania ha cucinato per tutti, era un mio grande desiderio. Lei ha un’attitudine particolare ai fornelli e quando la vedo concentrata, percepisco un talento innato. Penne con ragù (non mangiavo un piatto di pasta così buono da tre mesi) e patate bollite saltate in padella con sale e spezie. Ha cucinato per dodici persone ma non è stato un problema, è una grande.

Per chiudere in bellezza, ho deliziato gli altri con fragorose risate stando al gioco delle loro battute. Dovete sapere che ultimamente non ero più Erica ma…

…A SFERICAAAA…

😂

Vi garantisco che è stato un divertente pit-stop lungo tre settimane. Ognuno di loro mi ha lasciato qualcosa ampliando la mia rete e io spero di aver fatto lo stesso con loro.

GRAZIE SFERICIIII…

🙂

Intanto Vando corre, tra poco toccheremo la prima tappa. Solo due ore di strada, poco più di 200 chilometri tra folte foreste secche e poche distese aride popolate da mucche nere.

Null’altro fuori ma l’infinito dentro.

Erica, anzi A SFERICAAAA!!

Vivere il Presente.

La vera importanza del “Vivere il Presente” spesso sfugge divagando in pensieri appartenenti al passato o a situazioni mai vissute proiettate nel futuro e per questo idealizzate.

Un argomento difficile che richiede molta attenzione a chi, seguendo lo scorrere dei pensieri passivamente, non si sia mai chiesto dove sia giusto direzionarli per ottenere un umore più stabile e il benessere fisico.

Sapete, amici, è uno di quei giorni in cui seguo la testa viaggiare, ricordi poco piacevoli riaffiorano e l’immaginazione va a creare scene di un ipotetico futuro in cui mi vedo crescere e diventare Donna. Un senso di inevitabile impotenza mi fa sentire piccola trascinandomi in luoghi mai visti, spazi troppo grandi e in cima a grattacieli altissimi.

Un giorno di riposo e subito, appena mi sdraio, sento la mente rilassarsi e poi agitarsi, distendersi e poi accartocciarsi, cercando molti appigli con cui meglio potrebbe camminare, inventare, rielaborare e desiderare, proiettare e fuggire, sognare. Vorrei fermarla e chiederle una pausa, vorrei dirle di non correre troppo lontano perché ora non posso seguirla e devo stare qui, nel mio piccolo Presente Attimo.

Mi trovo in Australia, lontana da quello che, secondo la mia opinione, è il mondo reale fatto di sofferenza, fatica emotiva, delusione, gioia, obiettivi e motivazione, determinazione, tenacia, battaglia, guerra. Sono qui anche per cercare dentro di me quell’importante frazione di secondo, che si chiama Presente, dove è possibile trovare la pace e una chiara idea di chi sono e chi voglio essere, senza farmi travolgere dal senso di sofferenza legato a momenti vissuti nel passato e dal senso di ansia che proietta immagini nel mio futuro.

Sono queste le due sensazioni e stati emotivi che, a mio parere, ognuno dovrebbe combattere esercitandosi nel vivere a pieno il Presente, unico e irripetibile. Ci perdiamo facilmente, non è vero? Dando per scontato quel cielo che sta sopra la nostra testa, lo immaginiamo di un colore quando invece è di un altro. Guardando una foresta, la interpretiamo come un ammasso di alberi ma mai come un’altruista creazione che unisce e tiene insieme.
Scivolando tra le acque di un fiume, ci sentiamo freschi e bagnati senza pensare alla lunga strada percorsa sognando un giorno, di tuffarsi nel mare.
Ascoltando una canzone, cerchiamo di imparare suoni e parole, non pensando all’arte di quel musicista o compositore.

Non andiamo mai oltre in ciò che viviamo. Non vediamo null’altro se non quel che guardiamo. Non sentiamo null’altro se non quel che ascoltiamo. Non riflettiamo su ciò che si nasconde sotto un inaspettato Ti Amo.

Siamo paralizzati nei pensieri passati, nelle finte proiezioni future senza provare nemmeno per un attimo a scavare nella terra sotto ai nostri piedi,

ora,

adesso.

Mi viene in mente quindi un esercizio che mi ha sempre consigliato il mio Papà. Concentrarsi nel respiro e nelle sensazioni che questo provoca al nostro corpo, ascoltarlo e seguirlo, è la tecnica migliore per concentrarsi sul Presente. Solo quando riuscite a liberare del tutto la mente, vi sentirete più leggeri vedendo con occhi nuovi la realtà che vi circonda. Inspirate con il naso come se i vostri polmoni siano una brocca d’acqua. Riempitela partendo dal fondo e arrivate fino all’orlo. Proprio quando sta per strabordare, è il momento di farla uscire, piano piano, fino a svuotare.
Vi assicuro che funziona, io lo faccio sempre anche solo per un minuto al giorno e la sensazione che dona è appagante, garantita.

Non sono una professionista, non sono qui per insegnare ma per condividere con voi ciò che mi rende meno pesante quando la testa condiziona il benessere. Non sono una maestra ma una studentessa, sono chiamata alla lavagna perché interrogata dalla Vita.

Non aspiro a grandi voti, voglio risolvere solo questa difficile equazione che deve dare un risultato di uguaglianza e nulla di più, lo faccio con voi perché l’unione fa la forza.

Con emozione, vi trascrivo di seguito le parole scritte da Elisabeth Gilbert, nel libro che come sapete mi accompagna nel mio Presente.

Erica, anzi Atmosferica.


“Quando chiedo alla mia mente di restare immobile, è incredibile come diventi subito 1) annoiata, 2) irritata, 3) depressa, 4) ansiosa o 5) tutte e quattro le cose insieme.
Come la maggior parte degli umanoidi, sono oppressa da quella che i buddhisti chiamano <<scimmia mentale>> – i pensieri che dondolano da un ramo all’altro, fermandosi solo per grattarsi, sputare e ululare. Dal lontano passato al futuro imperscrutabile, la mia mente oscilla senza sosta, soffermandosi su decine e decine di idee al minuto, indisciplinata e fuori controllo. Di per sé non sarebbe grave, il problema è la tensione emotiva che si accompagna al pensare. I pensieri felici mi rendono felice, ma – oplà! – ecco che con un salto vado a finire in un pensiero angosciante, che mi rovina il buon umore; oppure è il ricordo di un momento di rabbia che mi irrita, così mi scaldo e mi saltano i nervi, o ancora la mia mente decide che è il momento giusto per commiserarsi, ed ecco puntualissimo il senso di solitudine. Dopotutto, tu sei quello che pensi. Le tue emozioni sono schiave dei tuoi pensieri, e tu sei schiavo delle tue emozioni.
L’altro problema di questo continuo dondolarsi sulle liane della mente è che tu non sei mai dove sei. Stai sempre scavando nel passato, o indagando nel futuro, ma raramente sei fermo nell’attimo presente.”

“Mangia, prega, ama” – Elisabeth Gilbert

Fato e Libero Arbitrio.

Buongiorno lettori e nuovi amici!

Mi sono appena ritagliata il mio angolo arieggiato per scrivervi. Sono le undici di mattina e il sole è abbastanza caldo come non lo era da qualche giorno. Mi trovo in campeggio, la mia attuale casa a Pemberton, seduta sulla famosa sedia in plastica bianca, all’ombra di un albero. Qualcuno di voi, che mi segue con constanza, si starà chiedendo:

“Ma non dovevi andare a Perth?”

🙂

Esatto! Sarei dovuta andare in città ieri dopo il lavoro ma, dopo dieci ore e mezza ad imballare Avocados, ci ho rinunciato. La vocina interiore, con la quale sto instaurando un’amicizia profonda, mi ha chiesto di non andare e di evitare un viaggio di quasi quattro ore quando ormai stava calando la sera. Me l’ha chiesto gentilmente e non ha dovuto nemmeno insistere. L’ho ascoltata senza fare storie e senza indecisione.

Sono quindi rimasta con Mattia nella frazione Little Italy del campeggio dove, una decina di tende vuote, si godono la quiete. I nostri compagni di quartiere sono partiti ieri nel pomeriggio, lasciando le loro abitazioni incustodite.

“Tranquilli, è tutto sotto controllo!”

Oggi, un senso di insofferenza mi schiaccia il petto e sto cercando di comprenderlo ed assecondarlo. Avevo il desiderio di rivedere Jason, Paolo e Gianpi. Dovreste ricordare i tanti aneddoti che li hanno visti protagonisti nelle mia permanenza a Perth. Beh, sto forse rendendomi conto che non li rivedrò più per davvero e che quest’occasione che il destino mi aveva servito su un piatto d’argento, è ormai persa. Il Fato ha fatto una proposta, il Libero Arbitrio l’ha rifiutata.

Ecco, forse la causa della mia insofferenza l’abbiamo scoperta insieme.

Che ne dite?

Cascasse il mondo, domani andrò a tuffarmi nell’oceano. Ho bisogno di bagnarmi con acqua salata e liberarmi nell’infinito dell’orizzonte. Caspita è diventato difficile stare lontano dal mare. Voglio vedere pesci, barche e gabbiani. Sarà bello.

Vi riscrivo qui di seguito le parole di Elisabeth Gilbert che ho letto ieri sera. Tutto torna ed è impressionante come il suo libro mi stia accompagnando in ogni stato d’animo. Mi propone la riflessione che sto cercando, mi spiega tutto con bellissime metafore e risponde a tante domande.

Buona lettura e buona domenica!

Erica, anzi Atmosferica.


“Anche il destino per me, va considerato come un rapporto tra due parti – un gioco di equilibrio fra grazia divina e forza di volontà. Ciascuno ha il controllo di una metà del proprio destino; quella metà è nelle sue mani, e le sue azioni avranno conseguenze misurabili. L’essere umano non è una marionetta in mano agli dei, né è completamente artefice del proprio destino; è un po’ le due cose insieme. Siamo come acrobati in bilico tra due cavalli che corrono fianco a fianco – un piede sul cavallo chiamato Fato, l’altro sul cavallo chiamato Libero Arbitrio. E la domanda che dobbiamo porci ogni giorno è: qual è l’uno e qual è l’altro? Di quale cavallo devo smettere di preoccuparmi, perchè comunque non è controllabile, e su quale devo concentrarmi, per dirigermi verso la meta?

Quello che voglio dire è che, mentre molte cose del mio destino sono imperscrutabili, ce ne sono altre sotto la mia giurisdizione. Ci sono biglietti della lotteria che posso comprare per aumentare le possibilità di vittoria. Posso decidere come passare il tempo, con chi interagire, con chi condividere il mio corpo, la mia vita, i miei soldi e la mia energia. Posso scegliere le parole e il tono di voce con cui parlo con gli altri. Posso decidere come valutare le circostanze sfortunate della mia vita – se vederle come maledizioni o come opportunità. E, soprattutto, posso scegliere i miei pensieri.”

“Mangia, prega, ama” – Elisabeth Gilbert

Il confine.

Stamattina ore 8.30 ho alzato la mascherina che uso da qualche giorno per non svegliarmi con la luce puntata negli occhi. Sì è stato il regalo di Jason per il mio compleanno. Una simpatica mascherina di Tiffany con tanto di brillantini, legata ad un’immagine cartonata del volto dell’attrice. Non avrebbe potuto avere idea migliore! Stavo già pensando di comprarmela per evitare di costruire ogni sera tende artigianali con asciugamani e felpe.

Dicevo… Ho levato la mascherina e il cielo a ovest era limpido e azzurro. Il tempo di preparare Vando per il viaggio e si stava già comprendo. Da est avanzavano grandi nuvoloni grigi e il freschino non mi ha permesso di liberarmi della felpa.

Se fino a cinque minuti prima l’idea era quella di andare in gita a Penguin Island, è bastata quella visione unita ad un brivido di freddo per cambiare programma.

“Mattia!? Direi di ribaltare le nostre intenzioni. Niente Penguin Island… Direzione Donnybrook alla ricerca di lavoro. Che ne dici?”

“Concordo pienamente!”

Bene, come al solito non c’è stato bisogno di grandi discussioni per trovarci d’accordo.

Ci siamo preparati, abbiamo dato un’occhiata all’olio per controllare fosse al giusto livello e via… Vando era pronto. Noi pure.

Dopo aver fatto tappa Cappuccino Take-Away e aver rubato 10 minuti di connessione Wi-Fi al bar per controllare la strada con calma, siamo partiti.

Ora siamo in viaggio.

J-Ax ci sta dando un po’ di carica e canto per stemperare un po’ la tensione.

Sì perché mi sento abbastanza agitata. Sto per l’ennesima volta uscendo dai confini della normalità o della routine di viaggio. Mi sento come se stessi andando ad un colloquio di lavoro senza sapere con chi dovrò parlare.

Donnybrook è un paese a sud di circa 200 chilometri ricco di aziende agricole tutte specializzate nel Fruit Picking (raccolta della frutta) e nel Fruit Packing (imballaggio della frutta). Ci presenteremo e chiederemo lavoro cercando il contatto diretto con il contadino o il responsabile in loco.

Ne so quanto voi.

Per la raccolta è giusto andare a cercare nel posto giusto durante la stagione giusta e sembra che ci siamo dentro in pieno.

Mele, avocado e pere dovrebbero andare per la maggiore in queste zone.

Per quanto riguarda il pernottamento, anche lì ci sono diverse alternative. Potremmo andare in campeggio, dormire in ostelli o in Working Hostel. Questi ultimi sono dormitori dove i gestori sono convenzionati con le Farm.

Della serie: “Tu dormi da noi pagando vitto e alloggio, e noi ti mettiamo in contatto con le aziende agricole dei dintorni.”

Avendo Vando, vorremmo evitare di spendere soldi per dormire in ostello. Lui è tanto comodo e confortevole. Non ci separeremo da lui molto facilmente.

Vi dicevo che sto di nuovo uscendo dai confini. Tutto nuovo. Lavorare la terra sarà un’esperienza diversa. Vedrò animali di ogni genere, conosceremo viaggiatori provenienti da ogni luogo.

I serpenti no, quelli preferirei non incontrarli.

Non so quanto ci metteremo a trovare un’occupazione, non so quanto sarà la paga. Sappiamo che dovrà aggirarsi intorno ai 20 dollari all’ora ma se verremo stipendiati a cottimo, allora lì dipenderà dalla nostra capacità e resistenza.

Vando corre sull’asfalto. Il cielo è colmo di gonfie nuvole che corrono insieme a lui. Il sole non c’è e abbiamo fatto bene a lasciare Rokingham senza aspettare un altro giorno.

Beh… Io sono carica e voi??

Concluderei con una citazione tratta da una serie televisiva che la maggior parte di voi avrà seguito con passione.


Ad un certo punto devi prendere una decisione.
I confini non tengono fuori gli altri, servono solo a soffocarti.
La vita è un problema e noi siamo fatti così.
Quindi, puoi sprecare la tua vita a tracciare confini, oppure puoi decidere di viverli superandoli.
Ma ci sono dei confini che è decisamente troppo pericoloso varcare.
Però una cosa la so: se sei pronto a correre il rischio, la vita dall’altra parte è spettacolare.

Dr. Meredith Grey (Ellen Pompeo)
dal film “Grey’s Anatomy” di Serie TV

Take your time.

Non avere fretta.

Abbi sempre la fermezza di goderti ogni momento anche quello apparentemente più noioso. Dalla noia nasce creatività, nascono nuovi sogni e ispirazione. Abbi la forza di fermarti e di tenerti immobile, non pensare che ci sia qualcuno o qualcosa ad aspettarti. Niente aspetta ed ognuno va per la propria via. La cosa che devi fare è vivere lentamente, passo dopo passo ogni scoperta sarà meravigliosa se priva di aspettative.

Impara a vivere il presente. Non proiettarti nel futuro, tu sei Adesso e Ora.

Gli imprevisti faranno parte del gioco, ma tu GIOCA! Non prenderti mai sul serio, take your time e non avere fretta.

Tanti episodi ti guideranno in strade del tutto nuove, sconosciute ed inaspettate. Finirai con il fare sempre ciò che non ti eri prefissato e la vita sarà una continua piacevole scoperta.

Non pensare agli altri, pensa a te stesso. Prima di tutto esisti Tu.

Ho proposto ai miei compagni di viaggio di leggere insieme “Il monaco che vendette la sua Ferrari”, quel libro di cui vi avevo già parlato. Fino ad ora rimane il migliore che io abbia mai letto.

Quando abbiamo tempo, voglia e la giusta connessione, ne leggo un capitolo a voce alta. Cerco di dare l’intonazione giusta e di rendere l’ascolto piacevole.

Ieri, al calare della sera, ho letto qualche pagina e loro ascoltavano in silenzio, appassionati. Eravamo sdraiati, uno di fianco all’altro e Vando ci coccolava. Franci teneva gli occhi chiusi, Mattia era talmente attento che non sentivo nemmeno il suo respiro. L’idea di offrire loro la lettura mi gratifica, sono certa che non lo dimenticheranno e che darà a loro interessanti spunti di riflessione come li ha dati a me.

Poi in mezzo a tutta questa meraviglia ha un altro sapore.

È tutta un’altra storia.

Nonostante io l’abbia già letto pochi mesi prima della mia partenza, rileggerlo ora mi sta regalando tutt’altre sensazioni. In alcuni passaggi mi sembra di non averlo mai nemmeno sfogliato, rimango colpita da frasi che prima erano scrosciate via, senza fermarsi. Mi sembra nuovo.

Durante la lettura serale di ieri, mi ha colpito questa parte:

“Ad un tratto Julian mostrò una certa inquietudine, come se si sentisse a disagio: ‘John, prima d’ora non avevo mai aperto il cuore a nessuno. Ti chiedo scusa… è solo che tra quelle montagne ho provato un tale senso di purificazione, un così travolgente risveglio dello spirito nei confronti delle forze universali, che non posso fare a meno di far partecipi gli altri di quello che so.”

“Il monaco che vendette la sua Ferrari” – Robin S. Sharma

Questa citazione  mi ha rapita e riempita. Ho rivisto nelle “montagne” le Dune di Lancelin, ogni parola ha dato voce alla mia anima e stavo leggendo a loro, sto scrivendo a voi e “non posso fare a meno di far partecipi gli altri di quello che so”.

Mi sono un attimo inceppata con la lettura. Mi rendevo conto di essere distratta perché faticavo a dare l’intonazione giusta. Mi sono fermata e scusandomi ho detto ai ragazzi che dovevo prendere nota di qualche riga appena letta.

È proprio vero che ogni libro ha un diverso messaggio per te in ogni momento della tua vita. Anche a distanza di pochi mesi può regalarti altro.

Ancora una volta, prendetevi del tempo.

Take your time.

Questo libro vi regalerà bei silenzi.

Erica, anzi Atmosferica.

“Avere o essere?”

Si può avere amore? Se così fosse, l’amore dovrebbe necessariamente essere una cosa, una sostanza che si può avere, custodire, possedere. La verità è che non esiste affatto l’amore come cosa: si tratta di un’astrazione.

In realtà, esiste soltanto l’atto di amare; e amare è un’attività produttiva, che implica l’occuparsi dell’altro, conoscere, rispondere, accettare, godere, si tratti di un persona, di un albero, di un dipinto, di un’idea.

Significa portare alla vita, significa aumentare la vitalità dell’altro, persona od oggetto che sia.

Erich Fromm – Avere o essere?

Oggi lascio a voi ogni commento.

L’amore è “Avere o Essere?”


Erica, anzi Atmosferica.

Una Cottesloe Introspettiva.

Dopo una notte di sonno poco tranquillo e profondo, mi sono alzata e sono uscita sul balcone. Il vento era tiepido, all’ombra faceva quasi fresco ma poi ho pensato che soprattutto qui, dove abito io, le correnti di vento sono più forti e non devo dimenticare che stiamo al tredicesimo piano. Quassù siamo allo scoperto e quasi quasi tocchiamo il cielo.

I miei pensieri mi hanno suggerito così di fare una bella colazione con thè verde e pane tostato con marmellata di fragole. Ho cercato una posizione comoda che favorisse la mia scrittura e ho dedicato l’articolo all’ Immigrata allo Sbaraglio, cosa che desideravo fare da qualche giorno mentre ricercavo l’ispirazione giusta.


QUI potete vedere il bel pensiero che mi ha dedicato!

Ha condiviso sulla sua pagina Facebook il mio articolo.

CHE GIOIA! 🙂


Soddisfatta del mio articolo, cavalcando l’onda dei miei pensieri, ho deciso di regalarmi una giornata di riflessione. Avrei preso il treno per Cottesloe e avrei deciso minuto per minuto cosa fare e dove cercare i miei momenti e angoli di pace.

Sono qui da qualche giorno ormai e non vi nascondo che la mia testa e il mio cuore sono un’altalena di emozioni. Alti e bassi si susseguono senza lasciare spazio ad un momento di spensieratezza. Ho la fortuna di conoscermi bene e riesco a gestire ogni stato d’animo, il trucco è non ostacolarlo. Ho imparato con il tempo che bisogna saper vivere a pieno ogni bella e brutta sensazione per conoscersi, per riuscire a capirsi.

Bene.

Treno per Cottesloe.

Direzione Freemantle – Blu line – Biglietto 4.50 AUD

Let’s go.

Durante il viaggio, durato circa 15 minuti, ho cercato di capire dove la mia testolina volesse portarmi. Senza farmi troppe domande, ho aspettato di scendere dal treno.

C’era un cartello che diceva:

←←  CITY CENTRE

COTTESLOE BEACH →→

Ok, Erica. Dove vuoi andare?

Vuoi vedere il mare?

Sì.

Ok, allora vai a destra. Semplice.

Per arrivare alla spiaggia ho camminato una decina di minuti. È stata davvero la scelta giusta. Qui di seguito vi faccio rivivere con qualche foto, in ordine cronologico, la mia passeggiata verso il mare.

Davanti a me una lunga strada dritta, leggermente in salita.

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Un tipico quartiere da film. No?

Continuo… nel cammino…

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Alla mia destra le case, alla mia sinistra questo immenso campo da golf.

(Il mio papà si starà leccando i baffi)

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Eccolo! Lo VEDO! L’oceano!

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Trovato.

Il mio angolo di pace sui gradoni in erba che erano proprio lì, a ridosso della spiaggia di sabbia fina. Mi sono sdraiata e ho cercato di ascoltare i pensieri. Tante le domande ma anche tante risposte.

La risposta è sempre dentro noi, bisogna solo saperla ascoltare.

Devo prendermi del tempo per capire se davvero è qui che voglio stare. Come vi avevo già detto la città è calma e pacata e potrebbe rischiare di diventare troppo malinconica per me.

Sono una persona dall’energia scoppiettante, sempre attiva e sorridente nei confronti della vita. Forse Perth non mi sta dando quello che cerco perché non sono abbastanza in connessione con lei. Sto cercando di capire se voglio stare sul mare o se preferisco la città. Se andare altrove o se puntare tutte le mie forze qui. Se fare un’esperienza più a contatto con la natura piuttosto che stare in una città che non sento, ad oggi, mia.

Sono in Australia. Mi sento in Australia non a Perth.

Non preoccupatevi però. Saprò cavarmela! Saprò capirmi e non appena avrò la soluzione a tutte le mie incognite, sarete i primi a saperla.

Siete tantissimi a seguirmi e a leggermi, mi lasciate a bocca aperta! Ogni giorno mi date una piccola spinta per rendere la mia giornata unica e per gustare ogni piccolezza della quotidianità.

Sento di essere in un momento di profondo cambiamento o forse sto solo cercando di acquisire consapevolezza di quello che sono. Ma è tutto sotto controllo amici, il sole splende, la temperatura è gradevole e i miei compagni di casa sono molto simpatici.

Lewis soprattutto mi fa morire dalle risate! Come si muove combina dei pasticci! Ieri sera ha vuotato mezzo barattolo di yogurt da un litro nel frigorifero!

Lewiiiiisssss!! AHAHAHAHAH! Sei un disastro!

Le risate con lui sono davvero SUPER!


Vi saluto con le parole di Deepak Chopra, e mando un grande bacio a Francesca.

Per mantenere oggi in movimento l’onda fluida della felicità, trova il tempo di apprezzare la bellezza nell’esperienza della realtà ordinaria. Una brezza tiepida, il gusto del tè, il suono dei bambini che giocano. Ogni cosa può diventare un’occasione per prendere nota che la felicità è uno stato interiore di consapevolezza.

Più metterai in contatto il dentro con il fuori, semplicemente notandolo, più starai rinforzando e amplificando il sapere che piacere e felicità sono sempre con te. Con il passare del tempo ti accorgerai che facendo slittare l’attenzione dal mondo là fuori al mondo qui dentro, concedi a te stesso l’abilità di entrare nello stato della contentezza e della felicità ogni volta che vuoi.
Namastè
Deepak Chopra
Buona giornata di riflessione e felicità!
Erica, anzi Atmosferica.