Presentazioni generali.

Allora la situazione è la seguente:

Ore 21, Giuseppe e Fabio guardano quella genialata pazzesca di “American Pie” mentre Victor taglia cipolle e pomodori come se non ci fosse un domani. I miei occhi lacrimano da far paura, mi sono appena alzata a spalancare la porta-finestra del balcone per far circolare ARIA. Non si respira più ma a quanto pare, Keyla non è disturbata da tutto ciò e continua a dormire sonni sereni. Victor dice che questi due chili di cipolle e pomodori servono come condimento per pasta, carne, riso…
(parole sue)
…e come ben sai, la domanda sorge spontanea:

Ma Perché?

🙂

Questo melting pot di culture mi diverte ogni giorno di più. Nelle più banali circostanze, noto modi di fare e reagire totalmente diversi tra loro. Quella di mettere Italiani, Francesi, Brasiliani e Colombiani in una casa, potrebbe anche essere l’idea per un esperimento etnico, culturale.
Divertente!

Nella vita casalinga sono molto solitaria perché mi piace avere i miei spazi e i miei tempi. Mi piace decidere quando cenare, quando riposare, quando fare una doccia e quando uscire. In questo sono diventata ancor più sfuggente di quanto già lo ero rima della mia partenza. Ultimamente però, sto cercando di partecipare di più alla vita di casa e all’esperimento “America Latina vs Europa”.
🙂
Sì, si potrebbero identificare due macro classi all’interno della competizione ma di rado accade che Europei e Americani si trovino totalmente d’accordo tra loro. Il modo di cucinare, di parlare, di ascoltare musica o di affrontare un qualsiasi discorso. Il modo di vestire, di rapportarsi, l’ottimismo, la solarità, la simpatia, la leggerezza.
Insomma, sai bene che sono una grande osservatrice e potrei farti una tabella a doppia entrata di quattro colonne e innumerevoli righe, in cui ti potrei mettere per iscritto le caratteristiche di ogni micro-classe, con tanto di esempi pratici.

AHAHAHA

Scusa, non volevo essere così tecnica. Devi perdonarmi se ogni tanto esce la mia indole schematica ed analista che va a dominare in maniera drastica la parte creativa e più flessibile.

Scusa ancora.

🙂

Potrei dirti che i Colombiani sono sempre molto energici. Nella squadra “Colombia” compaiono Keyla e Daiana, quest’ultima è la piccolina di casa ma ha la potenza di un uragano e un sorriso bianco bianco.
Entra in attacco il Brasile con tre facce simpatiche. Fabio, Victor e Carlos sono dei ballerini d’hoc, hanno il ritmo nel sangue e in ogni momento una canzone da cantare. Entrambe le squadre rientrano nella categoria “Student Visa” e hanno quindi l’obbligo di seguire un corso di inglese per tutto l’arco della loro permanenza in Australia, che si tratti di pochi mesi o di anni. Molti di loro stanno anche lavorando, riempiendo così ogni minuto della loro giornata.
Gente impegnata!!
La Francia è in minoranza. Pauline è una ragazza di Parigi, laureata in biotecnologie e in Australia da quasi un anno. Simpatica! Mi trovo bene con lei anche se, l’inglese francese proprio non mi va giù.
🙂
La bandiera tricolore regala gioie continue alla casa. Risate contagiose e sketch imperdibili. Mi si affianca Giuseppe che va ad aggiungere colore con il suo accento meridionale.

Capisci quanta allegria?

Spagnolo, Portoghese, Italiano e Francese si uniscono in un mix di pura vida.

Eccoti presentata la mia Family Australiana.

Erica, anzi Atmosferica.

La mia verde dimensione.

Parco di Pyrmount. Parchetto.
Si svolge così il mio sabato pomeriggio di relax con gli amici. Ho seguito l’invito dei miei coinquilini e sono venuta a godermi il verde di questo grande prato incastrato tra il il porticciolo di Darling Harbour e la strada. Un quadrato di terra circoscritto in pochi metri e vicinissimo a casa.

Osservo Fabio, Victor e Giuseppe che si scambiano palleggi, una ragazza si esercita in acrobazie da barman qui dove il suolo è morbido e non c’è pericolo per bicchieri e bottiglie rotanti. Un ragazzo sulla panchina legge un libro, due amici asiatici mangiano sushi e bevono una Coca-Cola. Lui e lei fanno esercizi sincronizzati tutti vestiti di colori fluo.
Quanto mi piace osservare.
🙂
Mi rilassa.

Comunque…
Come stai?
Io molto bene!
Ieri non sono riuscita a scrivere perché mi sono lasciata trasportare dagli eventi. Finito lavoro alle due del pomeriggio, sono andata per negozi alla ricerca di un paio di fuseaux sportivi e super colorati. Avevo voglia di attrezzarmi adeguatamente per la mia nuova attività fisica. Un po’ come i ciclisti che devono indossare le loro tutine aderenti, i nuotatori un costume comodo, cuffia e occhialini olimpionici, i motociclisti senza la loro tutina in pelle non viaggiano e i calciatori non giocano senza scarpette e parastinchi. Il tennista deve avere la sua racchetta, il corridore le sue scarpe e la ballerina classica le sue punte.
Embè?
Io devo avere un paio di fuseaux super colorati, elasticizzati e adatti al mio nuovo yoga.

Così, dopo un bel giro per negozi e dopo aver valutato le varie offerte (troppe), ho optato per i migliori. Colorati di blu, azzurro, bianco e verde. Costosi ma troppo belli. E visto che le cose o si fanno bene, o non si fanno, ho abbinato un top traspirante. Una vera figata.
Appena li indosso mi viene voglia di mettermi nella posizione del guerriero.
La conosci?
🙂
Non la conoscevo nemmeno io fino a una settimana fa. Basta che digiti “posizione guerriero yoga” in un qualsiasi motore di ricerca e capisci.
Se mi conosci, oltre a capire ti fai sicuro una bella risata.

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Vabbè. Comprata l’attrezzatura adeguata, ero pronta. Alle 18 iniziava la lezione.

È stato di nuovo diverso. Terza lezione, terza maestra. Il fatto di provare diversi metodi e tipi di yoga mi piace. La linea guida di base è la stessa, poi cambiano i metodi di insegnamento e di approccio. Cambia la voce, la musica di accompagnamento e di conseguenza l’atmosfera.
Al termine della lezione la sensazione di leggerezza e apertura è pazzesca. Sento la testa sgombra da ogni pensiero pesante e i polmoni aperti, le gambe affaticate ma un benessere fisico e mentale che mi fa volare.

Tornata a casa, i coinquilini stavano preparandosi per uscire. Ovviamente dovevo unirmi al gruppo senza scuse quindi il tempo di mangiare qualcosa per cena e via. Ero molto aperta e dopo la prima mezz’ora di pura stanchezza, ho sentito l’energia tornare in circolo, la batteria di nuovo verde.

Il verde è il mio colore ultimamente.

Quarto chakra, ricordi? Quello del cuore.

Ad ogni modo, è stata una serata davvero piacevole. Ho conosciuto nuove persone e ascoltato storie. Ho ballato e mi sentivo incredibilmente bene! Riscontri positivi e buona energia, testa leggera e apertura.

Avrò trovato la mia dimensione?

I prossimi giorni saranno decisivi per scoprirlo!

Erica, anzi Atmosferica.

Tre emozioni.

Parola d’ordine di oggi è:
Emozionati.

Parola d’ordine nel senso che è un ordine.
Un imperativo.
Quando a scuola studiavo questo tempo verbale, la maestra diceva che generalmente è seguito da un punto esclamativo.

E allora…

Emozionati!

Piangi per te stesso, ridi di te stesso, sorprenditi e vivi la tristezza. Abbandonati ed emoziona te stesso. Sto sforzandomi di lavorare principalmente su questo, dopo aver superato giorni di piattezza emotiva ed emozionale. Quando ci ero dentro, non me ne rendevo conto come ora. Sto andando alla ricerca di forti emozioni che mi facciano liberare grandi respiri e perché no, piangere un po’.

…ti starai chiedendo…

“E come fai??”

Guardare un bel film è già un’idea. Fatti consigliare un titolo da un amico o da una sorella! Potrebbe anche essere un modo per creare contatto e connessione. Più di una volta mi è capitato di chiedere un titolo di una canzone, di un film. Quale modo migliore per emozionarsi pensando a una persona speciale?
Ho appena finito di vedere “Aloha”, conosci?
Beh, un paio di lacrimuccie sono scese. Mi sono lasciata travolgere dalla storia, dall’amore e dalle incomprensioni, dal linguaggio dei segni, dalle parole degli occhi e dall’adrenalina spaziale. Se hai voglia di emozionarti e spendere due ore piacevoli senza impegnarti in un film più complesso, te lo consiglio!

Per emozionarmi vado al mare.
Mi ci porto con un bus rosso, nella borsa un telo mare, una bottiglia d’acqua, gli occhiali da sole e un po’ di musica rilassante. Mi sdraio sul prato, mai completamente, e guardo l’orizzonte. Il chakra del cuore si apre, é quello delle relazioni e dell’apertura. Sai, a me si concentra tutto lì. Nella bocca dello stomaco. Quando sono arrabbiata, nervosa, chiusa, impaurita o tesa, sento un grande nodo lì, che blocca anche il respiro. Quando sono emozionata, felice, in sintonia con la natura, in pace con me stessa e in equilibrio con ciò che mi circonda, sento in quel punto un leggero turbinio di energia buona.

Verde.

Spazi ventosi e ariosi mi aiutano a liberare e sciogliere, mi aiuta cantare e ridere.

Il trucco sta nell’ascoltarsi. Metti una mano nel punto del quarto chakra e prova a sentire il tuo respiro, il tuo battito cardiaco. Chiudi gli occhi.
Quello è il punto dell’equilibrio. Il centrale di sette.

Un terzo modo per emozionarmi, l’ho trovato nello yoga. Non ti so dire se è la novità o se davvero mi emozionerà sempre ma le sensazioni che provo sono quasi indescrivibili.
Dico “quasi” perché vorrei provare a trasformare in parole.
Ieri ho provato una nuova tipologia, la maestra era un’altra e la sala piena. L’atmosfera era calma e soffusa, delle candele sulla lunga vetrata liberavano profumi e già ancor prima di iniziare, mi sentivo nel posto giusto. Un esercizio di stretching prima di quelli più faticosi, mi ha fatto entrare nella mia dimensione. Sono stupita perché nonostante si è in gruppo, ognuno vive la propria esperienza, strettamente personale. Lei ha intonato dei mantra che di tutta risposta il gruppo, cioè noi, doveva ripetere. Un canto in sanscrito che richiamava il contatto con l’universo. Lei aveva una voce profonda ed angelica, liberava un’energia unica.

Momenti di pura emozione.

Momenti in cui stai lì, sdraiata sul tappetino blu con un cuscino sotto la testa.
Momenti in cui ti chiedi…
“Ma davvero sto facendo tutto questo? Ma davvero mi sta facendo così bene? Ma davvero sono riuscita a raggiungere una tale sensazione di benessere?”

Tra sudore e respiri a bocca aperta, lo yoga risulta faticoso ma estremamente liberatorio. Ogni muscolo trova il suo momento e quel punto lì, alla bocca dello stomaco, si scioglie completamente. Si apre. Si libera.

Beh, queste sono le mie emozioni. Spero che anche tu abbia i tuoi segreti per liberarti dalla tensione di una “giornata no”, per sentirti in equilibrio anche dopo una litigata o per piangere quando è da troppo tempo che non versi una lacrima.

Se non ci avevi mai pensato, trova i tuoi angoli di pace in cui liberare le tue emozioni. Prenditi il tempo di vivere fino all’ultimo respiro ogni tua emozione.

Che sia gioia
che sia dolore
sempre di emozione si tratta.

Erica, anzi Atmosferica.

Cinque mesi.

Ehi!

Ehi!

Ehi!

Aspetta un momento…

Stavo per tralasciare una data importante o sbaglio?

Ma non mi dici niente?

Non mi avvisi?

La data ufficiale della partenza dall’Italia è il 12 di Novembre 2015 ma poiché sono approdata in terra australiana il giorno seguente, mi prendo la libertà di festeggiare anche il giorno 13.

Perché no.

13 Aprile 2016

Mamma mia.

Cinque mesi.

 Questi cinque mesi che finiscono, aprono la strada al sesto con troppe novità. Troppi cambiamenti ed equilibri persi e poi ritrovati. Salti nel vuoto intervallati da piccoli passi, giornate di pioggia e scoperte importanti.

Un mese fa ero a Melbourne.
Ricordi?
Sembra ieri.
Sembra troppo tempo fa.

Dammi cinque minuti per ripercorrere questi trenta giorni.
Mi sembrano trecento.
Mi sembrano un secondo.
Sto cecando di fare un passo indietro insieme a te.
Aiutami ti prego.
Dammi tempo.

Realizzare che oggi inizia il capitolo di lettura numero sei, mi fa un po’ effetto. Mi sento catapultata qui, a parlare del tempo che ha fatto una corsa.
Mi ha fregato.

Ma quanto corre?
Che fiatone.

Mi sento talmente impacciata da non trovare le parole. È come se avessi incontrato per caso una persona che non vedevo da tempo. Camminavo per la strada spensierata, quando all’improvviso ho sentito urlare il mio nome.

“ERICA??”

Mi sono voltata e…

Oh merda!

“Ma sei proprio tu?”

Che imbarazzo!

“Ma cosa ci fai qui?”

Forse mi sento arrossire perché è stato un mese trasformante. Ancora più degli altri già affrontati in riflessioni passate e puntuali. Sono imbarazzata perché non ho fatto in tempo a specchiarmi, a riconoscermi e l’amico incontrato per caso, mi vede così, spettinata e struccata, vestita a casaccio e per niente presentabile.

La fine del viaggio on the road con l’arrivo a Sydney, la vendita di Vando, la ricerca di una casa, un lavoro, persone nuove in una sconosciuta città, il senso di soffocamento, una realtà piena di tutto quando fino a quel momento il tutto era il deserto, il vuoto, il niente, il muto e il cielo.

Un mese ricco di trasformazione personale, ansia da città seguita dalla calma dell’anima, la mia. Mille incertezze ma la certezza di esserci, per me stessa. Troppi rumori e confusione. Una nuova sfida che giusto ora sto capendo di aver vinto. Sì perché anche qui ho vinto.

Ho vinto la Perdizione iniziale.

Sto costruendo piano piano una mia quotidianità, una routine scandita dagli orari lavorativi. Organizzo le mie giornate e passo del tempo in compagnia di amici, mi sono aperta a nuove scoperte come quella dello yoga o di gite fuori porta. Sto riprendendo l’energia che inizialmente mi mancava e le sto dando tutto il tempo di cui necessita per tornare in forma.

La città di Sydney mi ha sconvolta ma in senso positivo. Ho toccato il fondo una decina di giorni fa quando pensavo di aver perso ogni carica motivazionale. Non te ne ho parlato prima perché me ne sto rendendo conto ora. Se butto un occhio indietro, mi vedo spenta e priva di stimoli.

Ho cercato di non perdermi. Mi sono aggrappata ad un paio di persone senza che lo sapessero, ho aspirato un po’ della loro buona energia per ricaricare le batterie. Sono stata brava a non perdere tutta la carica rischiando di spegnermi, ho catturato sorrisi e colori caldi, ascoltato canzoni e mangiato dolci.

Dovevo solo portare pazienza. Dovevo darmi il tempo di abituarmi e amalgamarmi senza avere fretta di sentirmi adeguata e all’altezza di una città di dimensioni galattiche.

Cinque mesi.

Sydney.

Mi ritrovo qui come dopo un torpore, una fitta nebbia.
Ok, ora vedo bene.
C’è luce.

Il sesto mese sta per cominciare.

Erica, anzi Atmosferica.

La Mancanza.

Oggi mi viene da parlarti della Mancanza.
Non voglio farlo con aria triste o stile malinconico, anche perché sono emozioni che ora come ora non mi appartengono. Voglio parlartene con libertà, spiegarti cosa sento e cosa è diventata per me la Mancanza. Te ne voglio parlare ora dopo un periodo di riflessione, ho capito molto a riguardo e sono arrivata a conoscerla talmente bene che mi sembra quasi di poterla toccare con mano.
Ne percepisco la consistenza, l’odore e il sapore.
La Mancanza.

Quante volte, nella vita di tutti i giorni, si dice “Mi manchi”, quante volte si sente, o si pensa di sentire, la Mancanza di qualcuno dopo qualche giorno di separazione…qualche ora…

Quante volte…

In quel caso penso non si tratti di Mancanza vera.
Penso che sia l’insofferenza dell’attesa e l’impazienza che ci tiene sospesi fino all’incontro successivo. Quella persona, che sia la dolce metà o un genitore, che sia l’amica o una sorella, è per noi essenziale e fondamentale per completare quello che è il puzzle della nostra quotidianità. L’esprimere Mancanza, in quel caso, è un modo per dimostrare affetto, per far sapere che senza di lui/lei, il nostro puzzle sarebbe incompleto e quel pezzo mancante sarebbe insostituibile.

Voglio parlarti di una Mancanza diversa. Voglio dirti che quando hai a che fare con un puzzle nuovo, perennemente incompleto e terribilmente difficile, ogni giorno cerchi negli occhi delle persone i pezzi Mancanti, cerchi luoghi per prendere spunti di colore, sapori e profumi per completare, ma a fine giornata, il tuo puzzle è comunque ancora tutto da inventare.

Questo posto mi porta a sentire la Mancanza come fosse un sentimento mai provato, del tutto nuovo. Dopo questi mesi trasformanti,  tutto è cambiato.
Quando avevo a portata di mano tutte le persone per me importanti, non ci facevo caso e sottovalutavo molto di quel che ora sento vuoto, sordo e muto. Il mio puzzle era bello ed ero orgogliosa del disegno che ogni giorno ne veniva fuori. Una bella sorpresa. Un bel gioco.

La Mancanza, quella vera, si sperimenta solo con La Lontananza, quella vera.

Migliaia di chilometri ti tengono distanti dal profumo della mamma, ore di fuso creano squilibrio e senti delle voragini nello stomaco che non si possono saziare nemmeno con cucchiaiate di Nutella. Arrivi a renderti conto che di lei ti manca il suo sorriso, di lei ti manca la sua voce. Di lei ti manca il modo in cui muove le mani e di lei il modo che ha di guardare nel vuoto. Speciale. Strano. Singolare. Di lei ti manca la sua mano e con lei, se potessi, faresti una passeggiata sul lungomare, ora.
La Mancanza ti fa guardare intensamente delle fotografie silenziose fino al punto di volerne percepire profumi e suoni, ti fa stare a guardare un tramonto e ti fa pensare che forse sarebbe bello condividerlo, ti fa ascoltare una canzone e ti fa chiudere gli occhi facendoti immaginare la voce della tua sorellina, che l’aveva intonata chissà quante volte.
Quella canzone.
L’aveva cantata a te.

Vivo bene la Mancanza perché so che avrà fine. Non la vivo con sofferenza perché gliene sarò grata per tutta la vita. La sto ringraziando. Seriamente. Quando respirerò quel profumo e tra le mani avrò quelle mani, sarò la persona più felice del mondo. Ringrazierò la vita, il mio coraggio e questo viaggio per avermi insegnato il valore della semplicità e nessuno mai, potrà farmi scordare tutto questo turbinio di emozioni che mi ha travolta fino a non farmi respirare.
Come ora.
Mentre ti scrivo queste parole.

Ho detto che non voglio più dire “Mi manchi”.
Non sopporto più la monotonia di questa frase che non mi permette di esprimere il crescere della Mancanza, l’immensità dell’impotenza che sento nel dire due parole che rimangono lì, scritte su un telefono.
Rimangono ferme, astratte, senza sapore, senza odore.
Che schifo.

Che saranno mai in confronto a quel che provo davvero?
Come posso mandare un messaggio concreto che faccia arrivare tutto il mio amore vero?

Ho capito una cosa semplice.

Basta il pensiero.
Quello arriva sempre quando è sincero.

Tu lo sai che parlo di te.
Io sono riconoscente alla vita perché ci ha fatto incontrare.

Quando mi lamentavo per le sofferenze e i dispiaceri, quando parlavamo insieme di delusioni e sconfitte, non pensavamo a quanto eravamo fortunate a trovarci vicine, davanti ad un caffè, sotto ad una coperta o in riva a un lago.
Era normalità?
No, non credo proprio.
I nostri occhi si esploravano, le nostre voci si univano e se volevamo, potevamo toccarci. Potevamo annusarci. Potevamo abbracciarci.

Quanto eravamo fortunate?

Tu sai quanta potenza abbiamo nel cuore e quanto brilleremo insieme.

Sarà tutto nuovo.

Sarà semplicemente amore.

Erica, anzi Atmosferica.

Grazie Vita.

Sto tornando da Coogee.
Non voglio aspettare di arrivare a casa per scrivere perché devo fissare queste sensazioni adesso. Ora. Sul bus M50.
Dopo il lavoro, verso le due di pomeriggio, ho deciso bene di andare verso il mare. Ero già stata a Coogee in un pomeriggio nervoso e confuso, oggi avevo la serenità di ritornarci.
Già l’altra volta, avevo visto una scuola di Yoga, proprio lì, affacciata sul mare.
Una grande vetrata dava sull’oceano e sempre in modo confuso avevo pensato che sarebbe stato bello provare, salire quelle scale e chiedere informazioni.
Beh, non ero entrata. Non ero pronta.

Oggi, sono andata con l’intenzione di capire se stavo davvero meglio. Volevo vedere lo stesso mare e la stessa spiaggia, volevo riportarmi davanti alla stessa scuola e capire se davvero mi sentivo meglio. Più predisposta insomma.

Sono arrivata verso le tre e trenta, una mezz’ora di bus è passata leggera con le canzoni di Mengoni a tenermi compagnia. Caro Marco, sei ormai la colonna sonora dei miei viaggi. I pensieri erano leggeri. Stavo bene.

Mi sono rilassata per un po’ sul prato verde a ridosso della spiaggia, guardavo l’orizzonte e nel frattempo constatavo che ero in equilibrio con la vita. Una pace profonda e una calma piatta.

Ho ringraziato me stessa. Ero tornata dove dovevo tornare.
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Devi sapere che sono sempre frizzante e molto spesso vorrei riuscire a incanalare la mia energia senza disperderla in modo sbagliato o senza trattenerla nello stomaco.
La parola “Yoga” è volata alle mie orecchie più volte negli ultimi giorni, questa disciplina mi ha sempre incuriosita ma credo di non essere mai stata pronta.

Fino ad oggi.

È così che mi sono avvicinata alla scuola, un edificio verde su due piani. Sulla parete all’esterno sono riportati in maniera ordinata, originale e chiara gli orari di tutti i corsi. Gesso bianco su uno sfondo nero.
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Alle 17 sarebbe iniziata la lezione per principianti. Era il mio momento. Una voce silenziosa mi ha invitato ad entrare e in pochi secondi mi sono trovata dentro. Profumo e pace.

Quella vetrata che dava sul mare era come una visione perfetta. Quando mi immaginavo una sala dove praticare Yoga, non dico che sognavo proprio quella visione ma quasi.
Il mare, il sole, un parquet chiaro e cuscini a volontà.
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La maestra era, anzi, è una ragazza bionda e giovane. Il suo accento australiano era stranamente comprensibile e ben scandito. Seguivo le sue istruzioni partendo dalla respirazione.
Fondamentale nello Yoga e nella vita.

Posizioni faticose ma rilassanti mi distendevano i muscoli, le braccia facevano forza ma il corpo ringraziava. Lasciavo entrare l’energia da quella vetrata e la musica soft mi cullava. Rilassavo i polmoni e il collo, mi allungavo su quel tappetino blu.

Avevo bisogno di una guida, un’esperienza nuova. Pochi minuti sono bastati per entrare in un mondo tutto mio ma aperto all’ascolto.

Al concludersi della lezione, l’indicazione della maestra mi chiedeva di stare sdraiata con le braccia distese lungo i fianchi, i palmi rivolti verso l’alto e il collo rilassato.
Proprio in quel momento, quando la luce si è fatta soffusa, è arrivata lei che con le sue mani calde mi ha massaggiato le tempie.
Un profumo di olio essenziale mi è rimasto sulla pelle e mi è entrato nel naso.
Il sole stava salutando.
Un tocco magico. Giuro.
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Con le sue parole mi ha fatto concentrare su ogni singola parte del mio corpo. Dovevo liberare ogni tensione e sciogliere ogni nodo.
Piedi, caviglie, gambe, fianchi, pancia, petto, collo, braccia, mani, dita.
Con gli occhi chiusi dovevo sentire il contatto con la terra e ascoltare il mio corpo e il suo equilibrio.

Era quello che cercavo.

Namastè e Grazie Vita.

Erica, anzi Atmosferica.

Di nuovo pronta.

Domenica pomeriggio.
Ricorderò tutto.
Ho catturato ogni immagine e profumo, gli uccelli parlavano e le persone si confidavano. Ho riempito le mie tasche di fotografie e passi.
Ora ti racconto. Ora ti faccio vedere.

🙂

Royal Botanic Gardens.
Oggi mi sono sentita pronta per andare.
Un parco, un angolo di pace, un ritrovo e un incontro.
Le persone siedono sul prato verde, la città guarda da lontano e la baia coccola la quiete. A due passi dalla Sydney Opera House, si aprono i cancelli dell’immenso giardino a ridosso del lago.
Ops, del mare.
Una distesa di erba curata dona acqua alle radici di alberi, ognuno con un nome, e ad aiuole colorate.
Come ti dicevo la città guarda da lontano, è silenziosa e per nulla invadente. Rispetta il suono della natura e la vedi solo se alzi lo sguardo, se vai oltre.
La pulita passeggiata in riva al lago, ops…al mare, separa l’acqua dalla terra e se ti volti, vedi la super costruzione di punte triangolari e subito attaccato il ponte.
Pare una montagna russa.

Ho visto…
Un padre che giocava con la figlia.
Due amiche sedute su una panchina di legno.
Amici che scattavano una foto di gruppo.
Lei passeggiava con il cane.
Lui sedeva sul prato con le gambe incrociate.
Un bimbo leccava un gelato a due gusti. Cioccolato e fragola. Aveva tutta la bocca impiastricciata.
Tre ragazze facevano Yoga su verdi materassini. Che posizioni strane.
Una famiglia indiana mi ha colpito. L’ho guardata passare.
Un anziano signore offriva briciole di pane a volatili di ogni tipo. Era solo.
Due innamorati si tenevano la mano, parlavano francese.
Il sole stava tramontando dietro ad un palazzo.
Il giardino era in ombra.
Un giovane ragazzo teneva tra le braccia suo figlio. Avrà avuto un mese di vita.
Lui stava sdraiato con gli occhi chiusi, l’altro leggeva un giornale.
Una ragazza bionda stava affacciata al muretto, guardava il lago… ops, il mare.
(Ero io forse?)
Pensavo a quante cose si possono fare.
Altri due innamorati correvano vicini, erano tedeschi.
Un bambino piangeva, credo fosse stanco di camminare.
Lei sedeva su un asciugamano rosso, leggeva un libro.
Loro passeggiavano in silenzio, forse dopo un litigio.

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Ho camminato tra le viuzze. Ho cercato un’uscita che non fosse l’entrata. Era grande e ad ogni bivio, un’indicazione. Quante indicazioni!
Scalini di cemento salivano verso la città, seguivo la torre dorata di Westfield. Ogni volta che non voglio perdermi, quella è una direzione sicura. Vicino a casa.

Avevo il fiato corto, ad un certo punto. Solo dopo l’ultimo scalino ho guardato verso l’alto.
Che giramento!

Sono arrivata a casa. Ero soddisfatta. Ad accogliermi un cielo infuocato voleva dirmi:
“Brava, esplora!”
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Sto ritrovando un equilibrio che avevo perso?
Sto imparando a conoscere attivamente con grinta?
Mi rendo conto che ora assorbo molto di più quel che vedo. Da quando sono a Sydney, avevo un po’ perso questa sensazione.

Era come se la bottiglia fosse piena fino all’orlo. Non trovavo spazio per altro.
Dopo un viaggio del genere, ci ho messo un po’ per tornare ad essere una spugna asciutta pronta ad assorbire, una bottiglia vuota pronta a contenere.

Di nuovo.

Erica, anzi Atmosferica.

Bondi Beach e chiacchiere.

Nelle cuffie “Halo” di Beyonce e tra le mani una giornata da raccontare.

Spesso mi piace scrivere seguendo il ritmo di una canzone, fermarmi per ascoltare le parole o lasciarmi trasportare dallo scorrere della melodia. Oppure scrivo con il silenzio, l’assoluto silenzio, quando magari i pensieri non sono così rumorosi e una musica anche soft li potrebbe coprire.

Oggi ho trascorso un bellissimo pomeriggio in compagnia di una ragazza secondo me speciale. Bondi Beach è stato lo sfondo di una passeggiata lungomare proseguita fino a Tamarama Beach. Uno spettacolo, una chiacchiera dietro l’altra e un bellissimo sole tiepido.

Ilaria è un’archeologa ligure, sbarcata in Australia grazie alla vincita di una borsa di studio. Una persona solare e in dolce attesa, un piacevole incontro e una simpatica compagnia. Vive a Losanna e l’ho conosciuta per caso, come spesso accade quando non ci si aspetta niente ma si è aperti a tutto.

Ero a cena con un’amica da “Lentil as Anything”, tradotto “Lenticchie come Niente”, un locale alternativo di Newtown gestito da volontari. Solo o in compagnia, sai che ti troverai al tavolo con altre persone che non conosci, ordini uno dei tre piatti del giorno e prima di andare via, paghi la tua cena imbucando la tua libera offerta in una scatola posizionata all’ingresso. Un’idea unica e altruista che offre la possibilità di mangiare sano, abbondante e principalmente vegetariano, a chi voglia sperimentare e magari conoscere gente nuova.

Così è successo.
Ilaria si è seduta di fronte a noi quella sera e insomma…
Da cosa nasce cosa.

Ci siamo scambiate il numero di telefono e abbiamo fissato l’appuntamento a Bondi Beach. Una pista pedonale che segue il mare e le scogliere, offre relax e ossigeno. Un andirivieni di sportivi corrono al ritmo di musica e altri meno atletici, guardano all’orizzonte o si tuffano tra le onde schiumose. Il bus 333 ti scarica direttamente di fronte alla spiaggia piena di giovani e gente ancora vogliosa di piena estate, nonostante le temperature stiano iniziando ad abbassarsi. Il venticello solleticava la pelle, qualche brivido di freddo formicolava sulle braccia ma respiravo a pieni polmoni.

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Seguendo il percorso pedonale dalla spiaggia di Bondi si giunge a quella di Tamarama. Più raccolta, più tranquilla e per questo a mio giudizio più bella e rilassante. Una passeggiata curvilinea, piccole salite, discese e rampe di scalini di cemento, la rendono variegata e movimentata. La foto in copertina raffigura la classica immagine che si trova effettuando una ricerca sul web con parole chiavi “Bondi Beach”. Finalmente ci sono andata, quella foto l’ho scattata io da una prospettiva tutta mia, scegliendo l’inquadratura che più preferivo.

Finalmente!

Tra racconti di viaggi, realtà italiana e australiana, storie passate, famiglia, amici e sogni, ho trascorso un pomeriggio spensierato e interessante. Mi sono sentita turista ma a casa, in compagnia di una persona che aveva molto da dire, da condividere e curiosa di sapere di me, di scoprire cosa si nascondesse dietro ad un sorriso e degli occhi azzurri.

Come ho raccontato a lei, non ho mai avuto questa sensazione qui. Le ho parlato della superficialità dei giovani che ho conosciuto fino ad ora. È spesso mancata la voglia di andare oltre, di mettere in secondo piano domande sul tipo di visto, sulle intenzioni future.
Ma insomma!
Interessi, hobby, passioni, emozioni, sensazioni?

Con lei tutto ciò è uscito.
Sono felice di questo. Ho condiviso del tempo con una persona non banale che mi ha fatto scavare (non per altro è archeologa) nelle mie fortune e nelle mie esperienze. Mi ha fatto ripensare al bello e al brutto che sto raccogliendo da questa esperienza, mi ha fatto realizzare che un giorno tutto questo finirà e che ripenserò alla mia Australia con un cuore pieno di mare e sole, di viaggio, di pace, di chilometri e tramonti, di stelle, di città e paesaggi. Avevo per un attimo perso di vista il mio obiettivo, stava quasi diventando normale essere in questa terra. Lei mi ha fatto capire che sono fortunata ad avere del tempo da spendere qui, mi guardava con occhi curiosi e stupiti quando le ho raccontato del mio viaggio e proprio lì mi sono accorta di aver fatto una grande cosa, un grande giro.

Le ho detto che realizzerò la vera grandezza di quel che ho fatto, quando guarderò tutto da lontano. Quando un aereo mi porterà via e mi verrà voglia di andare ad aprire quel cassetto che porta l’etichetta di “Australia”, per tornare a sognare.

Le ho detto che renderò ogni giorno speciale, nonostante qui pochi capiscono cosa voglio dire. Le ho detto che ci vedremo in Italia, ci terremo in contatto e che magari andrò a trovarla in Svizzera dove vive in compagnia del suo fidanzato e dei suoi progetti sull’archeologia. Conoscerò il suo pargolo che nascerà in settembre e quando passerà da Milano, ci faremo una bella chiacchiera davanti ad uno Spritz sulla terrazza che si affaccia sul Duomo.


Grazie Ilaria per questa bella giornata.
Spero non ti disturbi l’idea di essere stata la protagonista del mio articolo di oggi ma, d’altronde, è il prezzo che pagheranno tutte quelle persone degne di nota che incroceranno la mia strada.

Erica, anzi Atmosferica.

Cara Zia Angi…

Ore 18 di questo venerdì pomeriggio. Come vedi, Buio.
Guardo questa immagine dalla mia stanza e mi sento persa. Oppure mi sento trovata. Non so, devo prendermi del tempo per ascoltarmi.

Come fai a “trovarti” se non ti sei “persa”?
“Perdere” per arrivare al nucleo, al nocciolo, all’essenziale, all’essenza di quello che siamo…
…Ma Sydney te lo permette?

Un bacione, Zia Angi.

Ciao Zia Angi,
vorrei ringraziarti perché con questo commento, hai scaturito in me una riflessione lunga tutto il giorno. Ora ti racconto quello che frulla nella mia testa e affronterei volentieri insieme a te questo vasto e complesso argomento chiamato “Perdizione”.

Quello che penso io è che tutti ci siamo persi, ci stiamo perdendo o ci perderemo. Tutti ci perdiamo ogni giorno. Anche solo immergendoci nei nostri pensieri ci perdiamo. Parlando per me, io intendo la perdizione come la qualsiasi situazione che mi presenta un bivio, una doppia scelta, un’incognita. Banalmente, ogni giorno è pieno di perdizione. Il primo momento è quello del risveglio. Anche in quel caso siamo davanti ad un bivio, ad una voce motivante che ci dice di alzarci dal letto perché fuori c’è il sole oppure ad una voce pigra che ci suggerisce di dormire ancora qualche ora.

La perdizione fa parte di tutti noi e di tutti i nostri momenti privati e condivisi. Bisogna riconoscerla e conoscerla, affrontarla e sceglierla, parlare con lei e rispondere alle sue domande.

Se ci pensi, cara Zia Angi, ci sono persone talmente perse da non aver mai avuto la forza e il coraggio di prendere grandi decisioni per la loro vita o per loro stesse. Decisioni di ogni tipo, facili o difficili. Quelle sono le persone che non sanno decidere se acquistare la maglietta nera o quella bianca, non sanno se hanno voglia di mangiare carne o pesce, non sanno rispettare un appuntamento e non sanno dare un consiglio ad un amico. Sorridono, ti guardano con occhi pieni di luce e vivono un po’ sulle nuvole, nel mondo delle favole dove niente va preso seriamente. Parlo di loro non per giudicarle negativamente, anche perché sto semplicemente dicendo che vivono una vita di perdizioni consecutive senza rendersene conto. Io mi perdo sempre e mi piace un sacco. Quello che ci differenzia è solo quel pizzico di consapevolezza. Quindi fondamentalmente sono persa quanto loro. Ci tengo a dire però, che sono le persone che forse vivono le emozioni più forti, affrontano la vita con sorpresa e perennemente in bilico. Forse a loro piace il senso del rischio e dell’inaspettato, fanno pazzie e grandi dimostrazioni, amano intensamente e regalano verità. Sono loro a non saper che strada prendere ma quando con fatica riescono a decidere, piangono dall’emozione nel vedere cosa si nasconde dietro l’angolo.

Ci sono persone, d’altro canto, che hanno talmente paura di perdersi e di trovarsi indecise o impreparate da programmare ogni singolo istante della propria realtà. Sono loro che hanno paura, non vogliono imprevisti, ancor prima di andare al negozio, scelgono che vogliono la maglietta nera, programmano settimanalmente il menù di pranzo e cena, arrivano dieci minuti in anticipo ad un appuntamento e ascoltano attentamente le confessioni dell’amico formando nella loro testa il consiglio di cui questo potrebbe necessitare, ancor prima che egli dimostri di averne bisogno. Come fossero a scuola e dovessero sostenere un importante esame. La spesa la fanno il sabato in tarda mattinata, la benzina una volta a settimana e le pulizie la domenica prima del giro al parco o al centro commerciale se c’è brutto tempo. Non disprezzo nemmeno queste persone. Dico loro che dovrebbero vivere in maniera meno schematica per assicurarsi una vita piena di tramonti arancioni, stelle cadenti e leggere risate con gli amici. Vorrei dire a loro che programmare ogni giornata con vere e proprie tabelle di marcia, è limitante.
E se il piano va storto?
Se si buca la gomma della macchina?
Se il treno è in ritardo?
Se l’appuntamento con il fidanzato salta?
Se Tizio non risponde al telefono?
Se un imprevisto di lavoro le trattiene in ufficio?
Se Caio fa una sorpresa e citofona alle 10.30 del sabato mattina proprio quando stanno uscendo per andare a fare la spesa all’Esselunga?
Non dovrebbe essere un dramma.
Dovrebbero essere semplicemente abili e felici nello stravolgere i piani e optare per un pranzo fuori con Caio, amico che non vedevano da una vita. Un caro amico.
Ed è qui che scatta la perdizione, è qui, che intervengono ansia, cattivo umore e nervoso.

MA PERCHÈ?

Cara Zia, sarebbe bello che ognuno si mettesse in gioco e decidesse di affrontare ogni giorno con la naturalezza e la predisposizione ad accogliere quel che viene. Sarebbe bello che ogni giorno sia inteso come un regalo e che ognuno acquisisca la consapevolezza che la perdizione fa parte di ognuno di noi e di ogni momento più o meno importante. Questa rende la vita frizzante, non banale, emozionante, curiosa e sorprendente. La rende sempre diversa, persa, in continua ricerca e ricalcolo. La rende bella.

Per quel che riguarda la fine della giornata, il momento di più grande perdizione, per me, è la gestione dei pensieri che scoppiano come fuochi d’artificio nella mia testa appena rilasso la schiena sul materasso e la testa sul cuscino. Il cervello rimane acceso, gli occhi aperti e una serie di scintillanti colori, mi fanno stare sveglia.
Per un po’.
Mi abbagliano, non mi fanno dormire, mi ipnotizzano in uno spettacolo ogni volta nuovo e io sono curiosa di seguirli, guardarli. Mi lascio travolgere. Mi piace la mia perdizione.

Alla tua domanda, cara Zia Angi, rispondo che Sydney lo permette.
Sì.
La risposta è sì.
Sydney offre tonnellate di perdizioni, permette di ritornare al nucleo, al nocciolo, all’essenziale, all’essenza di quello che siamo…
Ma sai Zia…
…questa città potrebbe chiamarsi anche New York, Londra, Madrid, Los Angeles, Melbourne, Parigi o Mosca.
Ogni città non può essere più forte del mondo che abbiamo dentro.
Resta sempre e comunque una città, troppo piccola per paragonarla all’immensità che è la nostra anima.

Ti abbraccio e ti voglio bene, tua Erica.

Perdere la strada.

Sto iniziando a valutare l’idea di non tornare a casa subito dopo il lavoro. La prima mezz’ora è ancora adrenalinica ma poi piglia la stanchezza e la voglia di relax. Vorrei far fruttare di più i miei pomeriggi, prima che arrivi il buio pesto alle ore DICIOTTO. Le giornate si sono accorciate, ieri sera me ne sono resa conto quando ho guardato l’ora e ci sono rimasta male. Già a quell’ora il cielo era scuro, illuminato solo dai colori dei palazzi e dagli aerei in decollo. Detto ciò, non escludo la possibilità di scriverti più tardi nei prossimi giorni, magari prima di dormire.

Ti porto in perlustrazione nel quartiere dello shopping sfrenato. Westfield apre le danze in Pitt Street, la via pedonale che offre famosi marchi come Zara, H&m, Forever21 e chi più ne ha, più ne metta. Se sei donna, puoi capire la mia disperazione nell’avere tutto questo bendidìo a pochi metri da casa. I negozi in questi giorni lanciano sconti da pelle d’oca, H&m svende tutto ciò che è rimasto della collezione estiva a 5, 10, 15 dollari. Una tragedia. Ormai l’autunno è iniziato, nelle vetrine cappotti e stivaletti vanno per la maggiore ma la temperatura è ancora alta.
Alle sei e trenta del mattino una felpa in cotone basta e avanza mentre, durante il giorno, la manica corta va ancora di moda.

🙂

Ti stavo parlando di Pitt Street. Sì, è una via tranquilla e piena di artisti a tutte le ore. Andarci per due passi, lasciando il portafogli a casa, è diventato un must degli ultimi giorni. Curiosare, prendere spunto, immaginarmi con indosso vestiti strepitosi, sentire l’aria della città che stimola il mio lato fashion, mi piace.
D’altronde oh, so’ donna.
Tutti quei giorni nel niente, nel deserto, a condurre una vita fatta di minimo e indispensabile, mi hanno resa oggi più cosciente di quel che sono anche sotto questo punto di vista. Mi sto immaginando donna, nel tram tram milanese, penso allo stile che più mi rispecchia e mi sto applicando per farlo uscire, per sentirmi bene, a mio agio, disinvolta e particolare.

Non voglio dire che in Italia non era una mia caratteristica o una mia passione  quella della moda ma voglio farti capire che non mi ero mai spogliata del superfluo per capire chi realmente sono. Non mi sono mai guardata dall’esterno con la voglia di rivestirmi, reinventarmi, proiettare sul mio corpo la mia vera essenza.

Non è facile.
Bisogna avere gusto e una forte personalità per non combinare pasticci e per uscire davvero.

Pitt Street, tra un negozio e l’altro, attraverso tunnel illuminati di colori e insegne abbaglianti offre la possibilità di inoltrarsi nel fantastico mondo sotterraneo di Westfield. Ci sono andata due volte e ancora non ho capito quanto sia grande. Una città sotterranea di negozi, ristoranti, agenzie di viaggi e bar, si dispone su tre piani. Tra scale mobili e balconi di vetro, risulta scintillante e sempre piena di gente. Camminando sotto terra, puoi sbucare fuori in vari punti della città, io sono arrivata a Town Hall, ti avevo parlato della piazza e del municipio. Ricordi?
Cercherò di capire quale sia la fine di quel labirinto, ad ogni bivio ci sono indicazioni stradali proprio come se fosse un vero paese.

Ma chi l’ha inventata Sydney?

Per George street, destra.
Per Market Street, sinistra.
Per York Street, ricalcolo percorso.
Appena possibile effettuare inversione ad U.

🙂

Oh santo cielo!

Che senso di perdizione!!

Beh, comunque è divertente. Quando ho tempo, mi piace perdermi.
Credo che perdere la strada, sia in assoluto il modo migliore per conoscere una città. Solo così puoi scoprire scorci suggestivi, angoli nascosti e passaggi segreti.

Per quanto riguarda la vita, beh…perdere la strada penso sia il modo migliore per conoscersi e ritrovarsi. Solo così puoi scoprire lati sorprendenti, emozioni mai provate e sensazioni nuove.

Se poi tutt’intorno ci sono negozi invitanti e saldi al 50%, benvenga.

Erica, anzi Atmosferica.